I versi di Alessandro Manzoni su Natale e nascita di Gesù

25 Dicembre 2025

Leggiamo assieme questi versi di Alessandro Manzoni tratti dagl'Inni Sacri, nella fattispecie dall'Inno Sacro dedicato al Natale.

I versi di Alessandro Manzoni su Natale e nascita di Gesù

I versi dell’Inno sacro dedicato al Natale di Alessandro Manzoni rappresentano uno dei momenti più alti della poesia religiosa italiana dell’Ottocento. In poche strofe dense e solenni, il poeta riesce a fondere teologia, Scrittura, tradizione liturgica e sentimento storico, offrendo una meditazione che non è solo devota, ma anche profondamente culturale e poetica. I versi:

«Oggi Egli è nato: ad Efrata,
Vaticinato ostello,
Ascese un’alma Vergine,
La gloria d’Israello,
Grave di tal portato:
Da cui promise è nato,
Donde era atteso uscì.»

Alessandro Manzoni e gl’Inni Sacri

si collocano all’inizio dell’inno e hanno una funzione fondamentale: proclamano l’evento della Natività come compimento della promessa, come irruzione della storia divina nella storia umana.

Il primo elemento che colpisce è l’uso dell’avverbio “oggi”. Manzoni non scrive “un giorno” o “allora”, ma “oggi”: un termine liturgico, che richiama direttamente il linguaggio della Chiesa. Nella tradizione cristiana, il Natale non è soltanto un anniversario, ma un evento che si rinnova nel presente. L’“oggi” manzoniano annulla la distanza temporale e rende il lettore contemporaneo della nascita di Cristo. È una scelta che trasforma la poesia in proclamazione, quasi in canto corale, più che in semplice racconto.

Subito dopo compare Efrata, nome antico di Betlemme. Alessandro Manzoni non sceglie il toponimo più comune, ma quello biblico e profetico, carico di memoria scritturistica. Efrata è definita “vaticinato ostello”, espressione di grande forza poetica: il luogo umile diventa “ostello”, cioè dimora, rifugio, spazio di accoglienza, ma soprattutto luogo annunciato dalla profezia. Qui Manzoni inserisce consapevolmente il riferimento al passo di Michea (V, 2), citato in latino: «Et tu, Bethlehem Ephrata, parvulus es in millibus Iuda…». La piccolezza del luogo è rovesciata dalla grandezza del destino: da ciò che è “parvulus”, piccolo, nasce colui che sarà “dominator in Israel”.

Questo rovesciamento è uno dei temi centrali dell’inno e, più in generale, della visione cristiana manzoniana: Dio sceglie ciò che è umile, periferico, marginale per manifestare la sua potenza. Betlemme-Efrata, “piccola tra i villaggi di Giuda”, diventa il centro della storia universale. Manzoni insiste su questo paradosso senza retorica, lasciando che sia la struttura stessa dei versi a suggerirlo.

La figura di Maria entra in scena con parole di straordinaria delicatezza: “Ascese un’alma Vergine, / La gloria d’Israello”. Il verbo “ascese” è particolarmente significativo. Maria non “compare” semplicemente, ma sale, si innalza: non per propria volontà, ma perché elevata dal disegno divino. La sua grandezza non è autonoma, ma derivata dall’obbedienza e dall’accoglienza. Chiamarla “gloria d’Israello” significa riconoscere in lei il punto culminante della storia del popolo eletto, il luogo umano in cui la promessa trova finalmente dimora.

Il verso “Grave di tal portato” esprime con straordinaria sobrietà il mistero dell’Incarnazione. Maria è “grave”, incinta, ma il peso che porta non è soltanto fisico: è il peso della storia, della redenzione, della salvezza. Alessandro Manzoni evita qualsiasi descrizione sentimentale o pittoresca; sceglie invece una lingua austera, quasi solenne, che rispetta la grandezza del mistero senza cercare effetti emotivi facili.

Il nucleo teologico dei versi è concentrato negli ultimi tre: “Da cui promise è nato, / Donde era atteso uscì”. Qui il tempo si ricompone. Il passato della promessa, il lungo tempo dell’attesa e il presente della nascita convergono in un unico punto. Cristo nasce “da cui promise”, cioè da Dio che aveva promesso, e “donde era atteso”, dal luogo stesso dell’attesa. La nascita non è un evento improvviso o casuale, ma il compimento di una storia di fedeltà.

La profezia di Michea

Il riferimento esplicito alla profezia di Michea rafforza questa idea di continuità. Il Cristo che nasce a Betlemme non interrompe la storia d’Israele, ma la porta a compimento. Manzoni, profondamente attento alla dimensione storica della fede, insiste su questo legame: il cristianesimo non cancella il passato, lo assume e lo trasfigura.

Dal punto di vista stilistico, questi versi mostrano la cifra tipica degli Inni sacri: una lingua elevata ma non oscura, solenne ma controllata, capace di parlare sia alla mente sia al sentimento. Alessandro Manzoni rinuncia all’enfasi barocca e all’eccesso ornamentale per costruire una poesia che somiglia a una meditazione corale, quasi liturgica.

In conclusione, i versi manzoniani sull’evento del Natale riescono a tenere insieme profezia e compimento, umiltà e grandezza, storia e mistero. Betlemme-Efrata, Maria, la promessa antica e l’“oggi” della nascita si intrecciano in un canto che non è solo celebrazione religiosa, ma riflessione profonda sul senso della storia e sul modo in cui il divino sceglie di entrare nel mondo: non con la forza, ma nella piccolezza, non nel clamore, ma nel silenzio di una notte.

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