Fondazione Prada presenta “Typologien”, un’estesa indagine dedicata alla fotografia tedesca del Novecento, in programma a Milano fino al 14 luglio 2025. Il progetto, ospitato nel Podium, lo spazio centrale della sede milanese, è curato da Susanne Pfeffer, storica dell’arte e direttrice del Museum MMK für Moderne Kunst di Francoforte.
L’ipotesi che la fotografia sia fondamentale nel definire fenomeni specifici, ma anche nell’organizzare e classificare una pluralità di manifestazioni visibili è sottolineato da Susanne Pfeffer: “La qualità unica, l’elemento individuale sembrano confluire in una massa globale, nell’onnipresente universalità delle cose. Internet consente di creare tipologie nell’arco di pochi secondi. È proprio il momento chiave, per gli artisti, di osservare questi fenomeni più da vicino”.
La mostra lo fa, guardando al passato: “Quando il presente sembra aver abbandonato il futuro aggiunge Pfeiffer – bisogna osservare il passato con maggiore attenzione. Quando tutto sembra gridare e diventare sempre più brutale, è fondamentale prendersi una pausa e usare il silenzio per vedere e pensare con più chiarezza. Quando le differenze non sono più percepite come qualcosa di altro, ma vengono trasformate in elementi di divisione, è necessario riconoscere ciò che abbiamo in comune. Le tipologie ci permettono di individuare innegabili somiglianze e sottili differenze”.
Typologien: l’insolito connubio tra fotografia e botanica
Il progetto applica alla mostra il principio della “tipologia”, nato nel XVII e XVIII secolo in botanica per classificare e studiare le piante, sviluppato dalla fotografia dall’inizio del Novecento e affermatosi in quella tedesca nel corso del XX secolo. Paradossalmente il principio formale proposto permette di stabilire analogie inaspettate tra artisti tedeschi di diverse generazioni e contemporaneamente di rivelare i singoli approcci alla fotografia. Lo spazio alla mostra è, perciò, rigorosamente diviso attraverso un sistema di pareti sospese in partizioni geometriche in modo da suggerire connessioni tra pratiche artistiche diverse, accomunate però dal principio di classificazione.
Si parte con la botanica, dal cui principio tassonomico la mostra ha mutuato il suo percorso espositivo e da Karl Blossfeldt, grande pioniere della fotografia di natura che, da autodidatta, iniziò sul finire degli anni Venti a raccogliere migliaia di immagini di fiori, piante e semi, riuscendo a sviluppare tecniche di ingrandimento che gli permisero di aumentare di trenta volte le dimensioni dei suoi soggetti. Dagli splendidi esemplari vegetali di Blossfeldt si passa ai fiori di Thomas Struth, scattati con totale oggettività, il fil rouge che ha animato e caratterizzato un secolo di fotografia in Germania.
Conoscere la Germania attraverso lo sguardo degli ultimi e delle città
Un’altra figura chiave scelta da Typologien per raccontare l’intensa e problematica storia della Germania del Novecento è August Sander: fin dall’inizio è chiara la sua volontà di fare della fotografia una professione ma ancor più un’arte nella quale la ricerca di verità e poesia permettono di dipanare quel filo sottile di memorie che unisce le generazioni, contribuendo alla storia di un paese.
Nel tempo resterà fedele ai volti che ne avevano tenuto a battesimo gli esordi. La sua predilezione andrà alla strada, agli sguardi di accattoni, reduci, invalidi, disoccupati, girovaghi, artisti del circo, gente ai margini che volutamente fa sfilare accanto a ordinati ritratti di borghesi e impeccabili divise. Un silenzioso dialogo, un accostamento perfino irriverente, agli occhi di molti, da cui traspare la devozione sincera di Sander per gli ultimi.
Sul finire degli anni Cinquanta, proprio le tipologie di Karl Blossfeldt e August Sander esercitano un ruolo fondamentale per Bernd e Hilla Becher che in quel periodo avviano un progetto di documentazione e conservazione dell’architettura industriale. I loro monumenti in bianco e nero, definiti anche “sculture anonime”, isolati su cieli monocromi, centrali, inquadrati in un identico formato e disposti su una griglia, si rivelano riferimenti essenziali per gli artisti post-minimalisti e concettuali americani ed europei, nonché un’eredità imprescindibile per gli artisti e i fotografi tedeschi delle generazioni successive.
Negli anni Settanta e Ottanta, grazie agli insegnamenti dei Becher, Gursky, Höfer, Ruff e Struth abbandonano progressivamente il radicalismo e il purismo in bianco e nero per esplorare, nelle loro serie fotografiche di ritratti individuali o di famiglia, nelle monumentali e dettagliate vedute urbane, nella spettacolare documentazione di siti culturali o turistici l’irruzione colorata dell’ordinario.
Fotografia tedesca: quando l’obiettivo coglie oggetti insoliti
A raccontare il Novecento tedesco sono anche gli oggetti quotidiani. Hans-Peter Feldmann , nei suoi lavori, documenta oggetti quotidiani ed eventi storici e combina un umorismo impassibile con un approccio sistematico all’accumulo, alla catalogazione e alla riorganizzazione degli elementi della cultura visiva contemporanea. Nelle sue serie fotografiche elabora tipologie personali e politiche adottando un approccio simile all’istantanea e scegliendo un’estetica commerciale.
Per Alle Kleider einer Frau (Tutti gli indumenti di una donna, 1975) fotografa in scatti di formato 35mm biancheria intima, collant, magliette, abiti, pantaloni, gonne, calze o scarpe posizionati su grucce appese al muro o su uno sfondo di tessuto scuro. Oppure un’inquadratura frontale e monumentale di uno scaffale da discount: ripetizione, colore e sovrabbondanza diventano struttura visiva.
Andreas Gursky trasforma, invece, il supermercato in un paesaggio astratto, dove il consumo diventa forma, ritmo e ideologia. Isa Genzken crea una serie fotografica intitolata Hi-Fi, in cui presenta pubblicità di dispositivi stereo giapponesi all’avanguardia organizzati in un immaginario catalogo commerciale e poi trasforma la ritrattistica tradizionale in un dettaglio fisiognomico e indaga con ironia l’assoluta singolarità e le infinite differenze individuali che il ritratto fotografico è in grado di registrare: in Ohr ( Ear) isola un dettaglio fisiognomico, l’orecchio di donne sconosciute, per indagare con ironia l’assoluta singolarità e le infinite differenze individuali che il ritratto fotografico è in grado di registrare.
Una mostra per conoscere il male del periodo nazista
Ma Typologien non è solo esercizio formale. È una riflessione sulla memoria, sul passato tedesco, su ciò che resta nascosto nella rappresentazione. Gerhard Richter lo fa con potenza e ambiguità: accosta immagini familiari a volti di terroristi della RAF (Rote Armee Fraktion) o della Riunificazione Tedesca, fotografie erotiche a scatti dei campi di concentramento. I suoi Atlas (presenti in mostra) sono collage, flussi visivi, superfici della mente. “La fotografia è la forma più perfetta dell’oblio”, ha dichiarato. Eppure, proprio per questo, spingendo al limite il principio dell’equivalenza tra le immagini e il loro processo di banalizzazione, riesce a dare vita a uno stridente contrasto e un’acuta presa di coscienza della repressione della memoria collettiva.
L’ultima sala: la rottura di un tabù
Più volte negli spazi della mostra il visitatore è avvertito del contenuto sensibile di certe serie fotografiche: da un lato lo sguardo imparziale e oggettivo che domina l’intero progetto potrebbe suggerire che non vi è alcuna differenza tra l’immagine di un frutto e quella di un cadavere, è però vero che il contesto, il dato storico, culturale e documentale della foto fissa alcune di quelle immagini in una precisa dimensione di tragedia umana e di aberrazioni ideologiche che, peraltro, furono generate proprio da progetti di tassonomia ed eugenetica.
Ed è questa la prospettiva che avvicina all’ultima sala: la cronaca di Hans-Peter Feldmann. Con le immagini che compongono Die Toten 1967-1993 (I morti 1967-1993, 1996-98), Feldmann commemora le persone uccise nell’ambito dei movimenti politici e terroristici della Germania del dopoguerra. Insomma, dalle parti di Fondazione Prada la fotografia si trasforma nel linguaggio del tempo. Non solo per ciò che mostra, ma per come lo mostra: frontalmente, in serie, con insistenza, senza fronzoli. Ogni immagine si inserisce in un sistema, in una sequenza, in una grammatica visiva che dice molto della cultura tedesca.