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Andrea Boyer, ”Ai giovani fotografi manca la gavetta e lo studio della fotografia analogica”

Il MIA, la tre giorni milanese dedicata al mondo della fotografia, si è appena conclusa. Eppure in Italia, la situazione in questo campo non sembra essere molto confortante, almeno stando alle parole di Andrea Boyer...

”Oggi è difficile essere un fotografo senza alle spalle una galleria, bisognerebbe essere dei geni”. Le parole di Andrea Boyer nella nostra intervista. Presente e futuro si scontrano nella vita di Boyer, il fotografo del tempo sospeso

MILANO – Il MIA, la tre giorni milanese dedicata al mondo della fotografia, si è appena conclusa. Eppure in Italia, la situazione in questo campo non sembra essere molto confortante, almeno stando alle parole di Andrea Boyer, il fotografo che arriva dalla pittura e che è in grado di fermare il tempo.

Le sue immagini vivono di un tempo in sospensione, quasi si trovassero in una sorta di limbo. Ci spiega qual è la sua visione?
La mia ‘visione’ è perfettamente sintetizzata nella sua domanda; appunto la sospensione del tempo. Nella staticità di quel momento trovo la possibilità di approfondire il contatto con la realtà, avendo l’occasione di vederla e non solo guardarla. Diluire il tempo per poterne essere padrone, per controllare ogni minimo particolare.

Le sue fotografie mi ricordano le nature morte di Caravaggio. Quali sono i suoi Maestri? Da chi o cosa viene ispirato?
Visto che ho anche un passato ed un presente pittorico, i miei referenti sono appunto Caravaggio per la drammaticità e la modernità di una luce che è ancora attuale dopo secoli di pittura e fotografia; Vermeer per l’attenzione al particolare e al controllo generale della visione oggettiva dei soggetti e delle ambientazioni; Bacon per la sua continua ricerca. Prettamente fotografici invece, Adams per la tecnica, Ghirri per la magia e la coerenza intellettuale.

Cosa vuol dire essere un fotografo in Italia oggi? E’ possibile sopravvivere senza una galleria alle spalle?
Difficile! È possibile ma difficile soprattutto per chi inizia; un genio forse potrebbe sopravvivere, ma non ne vedo in giro in un momento transitorio, come questo che stiamo vivendo.

I giovani e la fotografia: che rapporto c’è? Quali potrebbero essere gli strumenti e le iniziative più adatte per avvicinare questi due mondi? In particolare, che ruolo hanno riviste, blog e community del settore?
I giovani, mi sembra manchino, il più delle volte della gavetta dell’analogico. Mancano della ‘fatica’ mentale del ragionare per giorni su uno scatto, (la scelta della pellicola, lo scatto, lo sviluppo, la scelta della carta, la stampa) e come questa società ha loro insegnato, sembra che ci sia solo il desiderio bulimico di fare, ma poco di pensare. Sembra manchino del coraggio di essere diversi tra loro e quello che c’è già. Ho fatto parte, trent’anni fa del Circolo Filologico Milanese e pur portando avanti nel migliore dei modi il Gruppo, insieme, ognuno aveva l’irrinunciabile esigenza di essere diverso dagli altri, con orgoglio. Ora mi pare che la grande esigenza dei giovani sia essere tutti parte di un mondo in cui siano il più uguali possibile, come una sorta di auto-protezionismo; come se realizzare le stesse cose sia una sicurezza. Essere un gruppo che nasconde o amalgama il singolo al tutto. Mancano molte volte i contenuti, con invece una grande attenzione all’effetto.
In compenso continuo a scoprire giovani entusiasmanti soprattutto nei paesi dell’Est, con una poetica ed un’originalità in genere forte ma mai forzata. In tutto questo riviste, blog, ecc. danno molte informazioni che restano indispensabili, anche se poi, senza una preparazione critica alle spalle, rischiano di creare confusione nei fruitori; un infinito materiale che rischia di non essere assimilato ma solo guardato e non visto.

Ci può parlare della sua esperienza alla 54° Biennale Internazionale Arte di Venezia e a questa edizione del MIA? Aspettative? Progetti futuri?
Esperienze totalmente diverse, perché alla Biennale partecipavo con un lavoro pittorico e al MIA invece in veste di fotografo. La Biennale è una vetrina nella quale esiste praticamente solo la tua Opera, il MIA è anche un importante luogo d’incontro, di contatti, di aggiornamento e confronto con altri colleghi. Quindi le aspettative sono molto diverse, l’una, una sorta di affermazione personale, la seconda una proiezione verso altri progetti; ovvio che le aspettative siano sempre le più positive, ma credo restino sempre legate alla professionalità e alla serietà del proprio lavoro, non tanto al luogo dove si espone.
I progetti futuri, hanno come filo conduttore sempre il tempo, ma anche nella ricerca più ‘programmata’, l’incognita che può mutarla è sempre latente.

26 maggio 2014


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