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Lettera di Michela Quatraro al figlio

Caro, carissimo Mattia,

mi chiedo: “Quanto dolore si può sopportare?”. Non parlo di dolore fisico… o meglio non solo…. quando soffri senti anche dolore. Una fitta, un disagio, una sensazione di vomito perenne che ti intrappola… e non puoi sfuggire.

Esiste un dolore più grande di quello di una madre che ha dovuto partorire un figlio che sapeva già morto?
Mi hanno sempre sconvolto le notizie di morti premature di ragazzi in incedenti o per malattie, perché mi immedesimavo nelle loro mamme e pensavo a quanto dolore potessero provare…un dolore inimmaginabile. Come si può sopravvivere a un figlio?

Ora questo dolore lo sto vivendo…è il dolore che sta vivendo in me ed è alimentato di continuo dal ricordo, dai pensieri… Avrà mai fine?
No, di questo sono certa, la mia esistenza sarà un ergastolo di dolore.

Ci saranno momenti, giorni di gioia, sì, ma quel sottofondo di mancanza non passerà.
Sai, Mattia, prima avevo una paura terribile della morte… Ora no, non più, ora ho una paura terribile della vita. Se la morte significherà poter stare di nuovo con te, poterti abbracciare come in quei pochi istanti in cui ho tenuto tra le braccia il tuo corpicino addormentato… che paura posso averne più?

Ma la vita? Quella sì che fa paura… da un momento all’altro ti sorprende, ti spiazza, ti lascia senza fiato, senza forze e ti allaga l’anima di un dolore insopportabile…

Quanto dolore si può sopportare? Quanta sofferenza si può accettare? Come si può accettare la morte del proprio figlio? Ho sempre pensato che nessun genitore dovrebbe vivere l’esperienza di sopravvivere al proprio figlio. Se è naturale dover seppellire i propri genitori, non lo è affatto seppellire i propri figli. Non è naturale! Non è giusto!

Ma allora, perché? E’ inutile cercare una spiegazione…spiegazione non c’è! E allora cominci a cercare una colpa in te, qualcosa che hai fatto, qualcosa che hai detto… E’ una punizione? Se lo fosse, sarebbe una punizione troppo dura…

Non riesco a controllarlo questo dolore… all’improvviso si abbatte su di me. Spesso mi rapisce la mente e tutto ciò che succede attorno non lo vedo, non lo sento… Oppure ogni cosa si trasforma in un pretesto che scatena uno tsunami di dolore che mi travolge… Se è una giornata di sole, penso che il mio bambino non potrà mai vedere il sole… Se penso al mare, penso che il mio bambino non potrà mai godere della sua immensità… Se vedo un bambino muovere i primi passi, so che non vedrò mai il mio bambino vivere quel momento… Tutto, proprio tutto alimenta il mio dolore…
L’angoscia di sentirsi intrappolati dal dolore, la voglia di scappare dal dolore che non può essere soddisfatta, è questo che abita i miei giorni… Ma anche la paura di poter dimenticare quei momenti che tornano così spesso alla mente, la paura di poter scordare col tempo il tuo viso, i tuoi occhi chiusi, la tua bocca aperta come quella di un bimbo che dorme, le tue lunghe dita, i tuoi piedini….

“…la maturità, invero sovrumana, di un essere umano consiste nell’accettare le cose che non comprende” (“Avrò cura di te”Gramellini)
Mi dispiace, non sarò mai matura!
Mi chiedono spesso come sto e, per educazione, rispondo che sto abbastanza bene… La verità? Ubriaca di dolore, stordita dal dolore… A volte penso che tutto ciò mi condurrà alla pazzia…

Caro, carissimo Mattia,

la tua mamma non ti dimenticherà mai e, se Qualcuno ha voluto che tu non venissi al mondo, ti assicuro che tu sei venuto nel mio mondo, l’hai cambiato il mio mondo, i mesi che hai abitato in me, gli istanti che ti ho tenuto tra le braccia, le emozioni che mi hai regalato, vivranno sempre con me. Si può amare una mancanza…

La tua mamma

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