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Lettera di Giulia Del Nista

Caro signor G.,

una mia lettera è l’ultima cosa che ti aspetti da me, lo so. In realtà non credo tu ti aspetti alcunché da me, viste come si sono concluse bruscamente le nostre conversazioni. Visto l’idea che ti sei fatta di me.

Cercherò di non usare parole complicate per non raggirarti vilmente, come ancora credi (o dici di credere) che abbia fatto. Ti scrivo per evitare che tu mi senta parlare con quell’accento pisano campagnolo marcato, anche se è chiaro che questa te la sei inventata proprio per svilirmi visto che non hai la più pallida idea di come sia l’accento campagnolo pisano. Come del resto ti sei inventato tante altre cose su di te, per motivi che ancora non capisco e che non mi dirai mai.

Se per caso questa lettera passasse sotto i tuoi occhi, ti arrabbierai. Ti sentirai ferito, forse equivocato, forse raggirato.
O forse le sarai solo indifferente.
Ma non importa.
Questa non vuole essere una lettera di accuse. Nemmeno di scuse.

Questa lettera non la scrivo per te, che non l’apprezzerai, né per me, che probabilmente ne potevo fare a meno, ma per amore della verità.
Visto che ti faccio schifo, voglio almeno che ti faccia schifo per quello che è davvero successo, non per ciò che sei stato, lo ammetto, costretto ad inventarti per dare un senso a tutto. E che ovviamente fa uscire te totalmente privo di responsabilità ed io la pazza, la squilibrata, quella cui non andavano bene i tuoi orari di lavoro.

Avevo detto che non sarebbe stata una lettera di scuse, ma una scusa è dovuta, perché l’errore è stato mio. Non tanto nell’accettare di rivederti e persino di restare coinvolta, emotivamente e fisicamente, con te. Il mio errore è stato di credere di essere così innamorata da desiderare che la nostra storia proseguisse anche a distanza, nonostante la situazione “rivoluzionaria” in cui mi ero ritrovata.
Sai a cosa mi riferisco.

Ho capito solo più tardi che non era quello il momento, per me, di avere una storia, e comunque non una storia di quel tipo. E probabilmente non una storia con te.
Forse saremmo stati compatibili, in un altro momento, almeno per qualche tempo. Ci saremo convinti di nuovo di essere innamorati e lo saremmo rimasti per più tempo.
C’era una certa sintonia tra noi, è innegabile, anche allora, che abbiamo facilmente, ingenuamente, scambiato per amore.
Ma quello non era assolutamente il momento, per me, di avere una qualsiasi storia tanto più di avere una storia a distanza, una storia con te. Me ne sarei dovuta accorgere prima, invece di tirarla tanto avanti e passare per quella che non sono.

E quando l’ho capita, poi, sono stata così poco motivata da aspettare semplicemente che si esaurisse. Che tu te ne andassi nella convinzione di avere avuto tu l’ultima parola, di avermi lasciato tu.
Cosa che è avvenuta, eh, chi lo nega. Formalmente sei tu che hai posto la fine ad una cosa che non esisteva più da un bel po’, che, vista la brevità del suo svolgersi, probabilmente non è mai esistita.

Questa non sarà una lettera di accuse perché non serve a niente. Non serve a niente in generale, perché con le accuse non si arriva da nessuna parte, a meno che non siamo in tribunale.
E non serve con te, nemmeno se ne parlo in termini di “responsabilità” e non di accuse, che in effetti è un gran brutto termine.
Tu sei convinto di avere ragione e non ti metterai in discussione, mai, nemmeno di fronte alle bugie che pare continui quotidianamente a raccontare.

In fondo non è un problema.
Sono affari tuoi. Tu non mi riguardi più, come io non riguardo più te.
Questa ultima lettera, che probabilmente non leggerai mai, serviva a dare il mio punto di vista sulla storia.
Ti auguro sinceramente una splendida vita in cui tu possa realizzare tutte le aspirazioni di cui mi avevi messo al corrente.
Con empatia,

Giulia.

PS: io ho ancora da qualche parte il tuo libro su Milano. Se vuoi riaverlo, come sarebbe giusto, dimmi come fare per fartelo riavere.

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