Sei qui: Home » Caro, ti scrivo » Lettera di Giorgia Deidda

Lettera di Giorgia Deidda

Caro ti scrivo,
anche se il tempo scorre troppo velocemente. Non riesco a stringerlo e a farlo fiorire come vorrei. Sarebbe una bugia se ti dicessi che sono cresciuta come gli alberi, perché mi sento più fragile, ogni giorno che passa.
È come se tutto mi marchiasse a fuoco il suo atomo invisibile, come se dovessi precipitare nel vuoto.
E intanto blocco il tempo su questa carta, e scrivo di te tra questi spazi; sei tu quello che mi infonde il coraggio di prendere in mano una penna e scrivere di giorni inutili e di dolori troppo grandi.
Gli artifizi della mia testa si sono fatti universi, e guarda come cambio, da un giorno all’altro, così velocemente cambio anche io, cambi tu, cambiamo nel vortice che ci guarda perennemente.
Come è facile mutare volto, plasmarsi tra grida silenziose, e guardare speranzosi il baratro sotto di noi, la liberazione eterna.
Sei presente dappertutto. Non solo tra queste pagine.
Ti ritrovo in ogni centimetro della mia pelle, in ogni angolo della mia mente, sempre presente in me, sempre assente fuori.
Non è forse questa l’eternità? Non è questo l’infinito di cui ti parlavo l’altro giorno? L’inafferrabile ritorno di te, mentre sei qui ma non posso davvero stringerti. Materia che rinasce, materia invisibile, e poi così presente, così se stessa…
Ma esisti davvero? Sei frutto della mia mente? E non serve a niente interrogarsi se poi tutto si ferma. È il cambiamento che vogliamo, noi due. Il fuggire da sé stessi, dall’ora e qui che ci siamo creati con i nostri baci. Qualcosa che non dipenda da noi. Qualcosa al di fuori di tutto il prevedibile, ed anche dell’imprevedibile. Forse, qualcosa che assomigli alla tua assenza.
Sei rientrato per un momento nella mia vita e ti ho riconosciuto come fanno le anime fragili. Per un po’ siamo ritornati a guardarci con quella strana intensità piena di luce forte, di spettro micidiale, e per un po’ ho creduto. La mia plastica facciale si deforma sotto l’involucro d’acido delle lacrime e io ti aspetto, sempre più debole, sotto la pioggia.
Sono solo sprazzi di ricordi quelli che ci tengono legati a fitte reti. Non siamo il mare, noi siamo l’abisso. Siamo il naufragio che ogni tanto si ricorda. Il viaggio che non esiste più, ma che è stato.
Ricordo. Passione che riemerge. Pallida luce.
Siamo annegati, amore, non siamo che corpi morti con le mani intrecciate.
A volte molliamo la presa, a volte ci ritroviamo. Ma più nessuna scintilla, perché non brillano di luce propria. Siamo il riflesso di stelle esplose anni fa. Così doveva essere, così è.
I frammenti non si possono riassemblare senza che se ne intravedano le crepe. Reperti.
Ho provato a scappare, ma la rivista è troppo lontana. Sono condannata a rimanere qui con te. E fa terribilmente male non vederti respirare come un tempo, vicino ai miei seni, fa terribilmente male stare lì a guardarti. A guardarci morire piano.
Vorrei che ritornassimo quelli che eravamo.

Ma il passato, non si può ripetere…

© Riproduzione Riservata

Lascia un commento