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Lettera di Gabriela Ferrario

Ciao amica silente,

Perché silente? Mi sembra l’aggettivo più giusto per questo lungo periodo di sospensione della nostra amicizia .
Mentre a notte fonda ascolto un mix di canzoni di cantautori genovesi, mi sei venuta in mente. Questa malinconia, suggerita dalla musica, richiama ricordi in cui tu ci sei.

Giovani donne, pur con i nostri casini, eravamo capaci di condividere momenti di grande allegria e sostenerci nelle complicazioni della vita. Parlavamo, parlavamo e i problemi anche se non risolti sembravano subito più lievi.

Ricordi l’addio al nubilato di una amica che alla fine non venne? Ci ritrovammo noi due sole in quel locale, ben decise a festeggiare comunque. Fu una sera di parole leggere e di discorsi profondi, almeno fino a quando ci fu possibile mantenere una certa lucidità di pensiero, poi i ricordi diventano vaghissimi. Tu proponesti ad un certo punto di cambiare locale e ci accorgemmo che era notte fonda, una notte di chiacchiere felici.
Poi vennero nuovi amori, non facili, ma entrambe li avevamo fortemente voluti e non eravamo disposte ad arrenderci. Amavamo profondamente, senza calcolo di quanto si prende e quanto si dà.

Tu mi sei stata tanto vicina, mi hai ascoltato, incoraggiato, compresa. Mi hai visto ridere, piangere, diventare una furia ed uno straccio subito dopo.

Abbiamo fatto splendide vacanze insieme, i rispettivi mariti erano più che amici, abbiamo cresciuto i nostri figli e ci siamo ritrovate grandi.
Il lavoro, la casa, la famiglia, il tempo era sempre meno. Qualche cena da sole riuscivamo a farcela scappare, oppure ci riragliavamo una serata da te in veranda con una bottiglia di buon vino. Poi c’erano le telefonate, anche molto sul tardi, di ore, parlando di tutto e di niente. Era bello, era rilassante il momento serale della chiacchiera.

Lo sapevo da sempre, ogni tanto, tu avevi bisogno di startene per conto tuo, avresti chiamato presto e sarebbe stato come se ci fossimo sentite il giorno prima. Ma i giorni sono diventate settimane, poi mesi di silenzio.
Perché? Non lo so.

Certo ci sono stati gli auguri ai compleanni, a Natale, sieti venuti in chiesa al matrimonio di mio figlio…ma niente più chiacchiere.

Mi capita di domandarmi se ho involontariamente detto qualcosa di sbagliato. Sai, quando si diventa grandi, un eccesso di pudore ti impedisce di chiedere, non vuoi essere inopportuna. Così è passato il tempo ed ora non è più possibile colmarlo. Resta questa specie di vuoto, un limbo dove vagano parole non dette, emozioni perse, abbracci mancati.

Rimpianti? Si e mi viene un po’ il magone. Ho sbagliato, avrei dovuto chiamare io…un giorno o l’altro lo faccio.

Gabriela

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