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Lettera di Federica Margheri

Caro,

Ti scrivo, in una lingua che non è la tua, una lettera che non so quando ti tradurrò. Eppure queste parole sono importanti, per me. Essenziali, quasi, per mettere ordine al caos dei miei pensieri e poterti finalmente mostrare chi sono io, veramente.

Ho sempre pensato di poter esistere, come me stessa, solo nella mia lingua, questa. Come se ci fosse un legame inscindibile tra l’espressione verbale e la mia essenza. Non fraintendermi, riesco a parlare in almeno altre due lingue – ora faresti una smorfia… – ma, quando non lo faccio in italiano, sento la mancanza di un tassello essenziale. Una specie di arto fantasma; io senza un pezzo: vivente, pensante, parlante, ma anche mancante.

Ho sempre cercato uomini che sapessero ascoltarmi e mi permettessero, tramite le mie stesse parole, di essere chi volevo essere. Con te, sorprendentemente, devo scoprire di nuovo chi sono e provare a spiegartelo. Non c’è immediatezza, bensì ricerca, sforzo.

Ammiravo le persone che si dimostravano in grado di “re-inventarsi” nel corso delle loro vite, lo trovavo un atto coraggioso, creativo, geniale; mai, mai avevo preso in considerazione la fatica, fisica, oltre che emotiva, di questo processo. A volte è doloroso: sento di dover rinunciare a parti di me in nome di una necessaria semplificazione del pensiero; altre volte è divertente: trasporto la mia me in un’altra realtà ed alcune caratteristiche si accentuano, fanno sorridere; ma la maggior parte del tempo mi spezza, mi divide in due, da dentro.

Caro, la comprendi la difficoltà? Tu abituato a parlare con me nella lingua in cui sei nato, riesci ad interiorizzare lo sforzo a cui mi sottopongo per te? Perché per te lo faccio, solo per te. Ho scelto di donarti me stessa. Non un automa che pronuncia parola senza anima alcuna. Ho deciso di darti la vera me, anche se in fase di costruzione, di scoperta; eppure ogni nuovo tassello ti sarà donato, ti sarà posto tra le mani, soffiato all’orecchio come alito di vento. Coglilo, caro, ti prego, non lasciarlo volare via. Custodiscilo, questo piccolo pezzo di puzzle che sono io.

Parlami, caro; insegnami; guidami tra le parole di una lingua che non è la mia. Spiegami perché dici che sono troppo rumorosa, assertiva, emotiva. Mostrami cosa potrei diventare e lasciami scegliere se voglio davvero esserlo. Invitami a danzare tra sfumature di colori che non so pronunciare; prendimi la mano perché mi sento sola, persa ed ho un po’ paura.

Amami, se puoi, seppur mancante di un pezzo importante; seppur rumorosa, assertiva ed emotiva. Amami, perché parlo tantissimo senza sapere bene cosa dico solo per farti capire qualcosa. Amami, perché ti dico la prima cosa che mi passa per la testa, quasi fosse una verità assoluta, senza pensare alla conseguenze. Amami, perché scrivendoti questa parole inzuppo la carta di lacrime. Amami, perché sono un puzzle da costruire e in due si fa certamente prima.

Con tutto l’affetto che sono certa di poterti dare, anche in un’altra lingua,

F.

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