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Lettera di Emme Bì alla figlia

Cara piccola Elena Sofia,
Tu dormi ed io approfitto di questo breve momento di libertà per raccontarti una cosa.
Cinque anni sono passati dal tuo arrivo: sembrano tanti, a te sempre troppo pochi, ma se mi volto a guardarli sembrano scappati via come fossero poche ore. Cinque anni fa apristi gli occhi la prima volta e sorridesti: si può dire che non hai ancora smesso e nemmeno hai intenzione di farlo.

Dunque ti racconterò un paio di cose. Cose strane, che al momento non potresti capire ma sono certo che quando un giorno andrai a rileggerle scoppierai a ridere proprio come fai oggi di fronte ai cartoni animati.

Riderai di quel dottore milanese molto importante che somigliava tanto al Cazzaniga di “Così parlò Bellavista” che un giorno, quando tu eri ancora nella pancia della mamma, guardò tuo padre negli occhi e gli disse:” Vede, voi a Napoli non sapete bene com’è la neve fresca, ma le ossa di sua figlia sono proprio così: se ci poggiasse un dito sopra crepitano e cedono…”
Beh papà non disse niente, ma pensò che su una sola cosa quel tipo aveva ragione: noi a Napoli con la neve proprio non abbiamo confidenza, però gli stronzi, quelli li sappiamo riconoscere a prima vista.
E questa cosa ti salvò la vita…

Poi ci fu quello che per capire cosa avevi andò a cercare la diagnosi su Google. Sai cosa fece il tuo papà? Tornato a casa andò anche lui su Google, per cercare la definizione esatta di Imbecille, e cioè:
“Chi, per difetto naturale o per l’età o per malattia, è menomato nelle facoltà mentali e psichiche.”
Così ne ebbe pena, e non volle infierire…

Poi ci fu il Migliore. Uno di cui avresti riso tanto anche solo a vederlo, simile com’era ad una palla di riso col camice da chirurgo addosso. Lui, dopo averti visitata a cinque mesi di vita con una gambina spezzata che ti faceva urlare di dolore, ci tenne a precisare: “Ma lo sapete che per vostra figlia non esiste una cura?”
Se tu fossi stata più grande gli avresti sfoderato uno dei tuoi sorrisi smaglianti e gli avresti fatto presente che per te la cura esisteva e come, e sarebbe stata anche efficace.
Per l’imbecillità come la sua purtroppo no, e nemmeno sarebbe esistita mai.

Perché ti racconto queste cose?
Mah… forse per fissarle nella memoria come solo con la parola scritta si può fare.
Ma anche per lasciarti un messaggio per quando da grande rileggerai queste poche righe.
Perché tu sappia che ogni volta che nella tua vita avrai un sogno più grande di te, ogni volta che proverai a difendere le cose più care che hai troverai qualcuno pronto a dirti che sei un’illusa, una pazza, che la tua ostinazione non ti porterà a niente, anzi ti farà del male.
Allora tu fai come facemmo io e tua mamma cinque anni orsono:
non ti curare di loro e tira dritto per la tua strada.
Il mio augurio è che i tuoi risultati siano meravigliosi come lo è stato il nostro…
Con amore
Il tuo papà

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