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Lettera di Carla V.

G.,
spesso tu mi hai scritto solo “Carla” come se volessi richiamarmi da chissà quale nascondiglio. Come se chiamandomi per nome io capissi meglio le cose che tu volevi dirmi. Cose che tu vuoi dirmi senza dirmi nulla. perchè vuoi che io le capisca da me. ma non posso leggere tutto tutto. alcune cose sì, G. altre no.

G.,
oggi mi hai chiesto “perchè?”. e prima mentre stavo salendo le scale e sentivo l’etna che faceva BRU ho pensato al perchè. perchè tu porti a galla quello che io vorrei sempre tenere nel mio fondo. tu mi fai fare BRU mentre io vorrei stare solo zitta e guardare il paesaggio. tu invece sei curioso. sei in continuo movimento e sembri una formichina che scappa da chissà quale gigante. e quel gigante è il tuo tempo. quel tempo che odi e che non ti basta mai. che temi ti sfugga dalle mani. che provi ad impiegare in tutti i modi perchè non vada sprecata la tua essenza. il tuo modo di essere al mondo. allora lo fotografi, lo schizzi. e pensi che lì ci sia il tuo tempo fermato. cristallizzato in qualcosa che fa vedere di te una briciola. quella briciola che da brava formichina provi a portare nella tua tana.

G.,
non tutte le briciole si possono portare a riparo dal gigante. il nostro amore, ad esempio, è troppo pesante. troppo ingombrante e tu non sai dove metterlo. e poi a volte diventa invisibile e ti spaventa non riuscire a toccarlo. a vederlo dal vivo non lo riconosci. e tu non riesci a capirlo che sono i momenti in cui è invisibile che diventa reale. reale come tutte le volte che sento la tua voce e tu ti immergi nei silenzi del non saper cosa dire, cosa non dire, dove nasconderti, come far finta che io non esista.

G.,
un giorno verrò nella tua città. e magari ti cercherò. tu mi guarderai con quello sguardo. io con il mio.
ci diremo che ci vogliamo bene. prenderemo un caffè e le nostre anime si parleranno quiete. come due rami che un tempo sono stati intrecciati e che hanno mantenuto la loro forma. pur stando in alberi diversi.

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