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Lettera alla nonna di Emilia Orefice

Cara Nonna,

da quando sei morta io non ti ho mai conosciuta.
677 giorni ci hanno tolto la possibilità di prenderci per mano, di annusarci e di passarci Qualcosa.
677 giorni mi hanno impedito di conoscere chi mi ha dato il suo nome, i suoi occhi e le sopracciglia a disegnare le espressioni di gioia, tristezza, disperazione, stupore…
677 giorni per darmi la voglia per tutta una vita di sapere com’eri davvero.
Resti lì, fissa nella più famosa delle tue fotografie: in posa dal fotografo, seria e profonda.
I pensieri si scorgono e fanno capolino, ma restano intrappolati in quelle tonalità di grigio che il tempo persiste a conservare. Cosa pensavi? Mi pensavi? Sapevi già che ci sarei stata? Qui, con il tuo nome e i tuoi occhi. Con le cose più importanti di me che tu avevi già.
Ma tu chi eri?
Resto qui… 38 anni ancora dopo.. a immaginare quali passi percorrevi, con che andatura. Sicura e veloce? Lentamente pacata per raggiungere ogni meta? Come si muoveva il tuo corpo voltandoti a rispondere alla mia mamma? Con che movimenti delle labbra, degli zigomi, degli angoli degli occhi le sorridevi? Come le parlavi di me? Di come mi avrebbe dovuto crescere?
Che voce avevi, Nonna? Come suonava il tuo accento? Le tue doppie erano marcate pesantemente? Parlavi in dialetto? O in un affaticato italiano post-bellico? O il tuo lavoro da impiegata ti aveva già elevata a un eloquio corretto e scorrevole? Com’era la tua voce, Nonna? Cupa? Acuta? E le parole come scorrevano tra le tue labbra? Scandite? Veloci? Smangiucchiate dalla fretta delle millemila cose da fare per la famiglia? Come avrebbe suonato la tua voce sulle mie ginocchia sbucciate da una caduta improvvisa? Che musica mi avresti usato nelle tue parole per consolarmi delle prime delusioni della vita?
Resti ferma, in quella foto e in poche altre. Immobile. Come se a te il movimento non fosse destinato. Come se alzare un braccio nella tua vita non fosse stato mai permesso.
Così… per una vita ti ho pensata così. Ferma. Pensierosa. Con uno sguardo micidialmente intelligente. Ti somiglio? Abbiamo lo stesso carattere? Cosa ho preso da te? La determinazione? La passione? Il violento istinto di protezione per gli affetti? Cosa?
Non so chi sei. Non so chi sei stata. Ma le domande su di te si sono sovrapposte e stratificate nei miei anni. Con questo nome che tanto ho odiato. Ma che ora amo così tanto da farmelo incidere sulla schiena. Perchè quel nome era tuo, ma ora è mio e non me lo toglierà nessuno. Perchè quel nome mi ha aperto le acque come un novello Mosè tra le Sara, le Maria, le Laura…
Quel nome mi risuona nella testa solo per me. Grazie per avermelo conservato e donato. Assieme ai tuoi occhi. E a quell’intelligenza che ancora solo immagino.

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