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Perché i musei rendono felici e allungano la vita

Il museologo internazionale Maurizio Vanni ci illustra i benefici legati al frequentare i musei e in generale il benessere legato alla fruizione culturale

Dopo il disastro fisico e mentale causato dal Covid-19, i musei si trovano di fronte tante persone che fanno fatica a ripartire, che sono spiazzate dalla perdita di punti di riferimento che ritenevano inamovibili, e che continuano a temere per il proprio stato di salute. L’istinto sta portando molte di loro a chiudersi in se stesse alimentando patologie come la perdita di autostima, lo stress, gli stati d’ansia, lo sconforto e la depressione.

Combattere i pregiudizi

Senza la corretta informazione e la condivisione di nuove modalità di coinvolgimento e fidelizzazione, la maggior parte delle persone potrebbe trovare la visita a un museo un lusso inutile che, comunque, non riporterà mai alle condizioni precedenti la pandemia. La vera e nuova sfida riparte da qui: ancora una volta il vero nemico della cultura è il pregiudizio di chi vede nell’istituzione museale un luogo chiuso, statico, noioso, grigio, prevedibile e adatto ai soli esperti, studiosi o addetti ai lavori.

Come saranno i musei del futuro?

Come saranno i musei del futuro?

Il museologo internazionale Maurizio Vanni ci spiega come dovranno cambiare i musei e quali sono le nuove funzioni che sono invitati a svolgere

Verso una nuova museologia

La nuova museologia deve affinare lo sguardo, ascoltare le esigenze di nuovi pubblici – di fatto i target conosciuti fino alla fine del 2019 nella maggior parte dei casi non esistono più – proiettandosi in dimensioni nuove, più evolute e complesse, certamente più disponibili nei confronti di tutti gli individui, nel tentativo di porsi al centro di un dibattito che vada oltre l’analisi socio-economica dei segmenti di pubblico che conosceva in precedenza, aprendosi a nuove categorie, alcune delle quali condizionate da inedite problematiche, e facendosi carico di importanti responsabilità. Al contrario di ciò che si potrebbe pensare, adempiendo all’impegno di prestare un servizio pubblico, il museo deve farsi portavoce delle vulnerabilità di tante persone non solo di quelle più fragili e vulnerabili, ma anche di quelle che improvvisamente sono passate da un contesto di auto-sufficienza al dover dipendere dagli altri.

Il diritto alla cultura

Il mercato del tempo libero, in questi ultimi anni, è stato protagonista di studi antropologici, sociologici, museologici ed economici. È stato indagato attraverso analisi dirette e misurazioni a più livelli: gli individui sono stati segmentati e sono state create proposte soggettive per ciascun segmento. Questo il punto di partenza imprescindibile: “tutti hanno diritto all’eredità culturale e a modelli di coinvolgimento che prevedono la crescita personale” (Convenzione di Faro). Perciò, in un museo, prima ancora di parlare di nuove modalità percettive personalizzate, di responsabilità sociale e di sostenibilità ambientale, dobbiamo pensare al benessere delle persone.

I benefici sulla salute

Ben prima che la medicina moderna riconoscesse alle attività culturali un’efficacia terapeutica, le società primitive usavano, in modo istintivo, “elementi artistici” per curare i loro malati. Attribuivano alle arti, in particolare ciò che oggi chiameremmo pittura (graffiti e colore), scultura (composizioni a tuttotondo) e musica (soprattutto percussioni acustiche su tronchi cavi), poteri magici e vi facevano ricorso per combattere gli spiriti maligni responsabili della malattia. Il guaritore era una sorta di soggetto mitico che impersonava tre figure: quella del medico, del sacerdote e dell’artista. Il valore della relazione tra cultura e salute è evoluto con regolarità nel corso dei secoli, ma ha avuto una svolta importante agli inizi degli anni duemila.

I musei allungano la vita, lo studio

Secondo uno studio svedese, pubblicato nel 2000, la frequentazione di musei e luoghi di cultura in genere può avere un effetto benefico sulla longevità; il che è come dire che i musei allungano la vita. Nel 2007 Wilkinson ha pubblicato uno studio che si riferisce alle ricerche effettuate, sempre in Svezia, da Bygren, Konlaan e Johansson per comprendere la relazione tra le attività culturali e la salute auto-percepita. La sperimentazione ha dato esiti sorprendenti in quanto la maggior parte degli individui che frequentava regolarmente musei, teatri, biblioteche, concert hall e gallerie d’arte dichiarava di sentirsi bene, di avere maggior energia e di percepire un ritrovato amore per la vita e per la natura.

Un altro studio, denominato “The Hunt Study”, svolto in Norvegia e pubblicato nel 2011, aveva l’obiettivo di analizzare la relazione tra le attività culturali e la salute percepita a livello di ansia, depressione e attacchi di panico. I risultati hanno dimostrato che le attività artistiche, sia quelle fruite passivamente che quelle praticate attivamente, sconfiggono il “male oscuro” riconsegnando alle persone un’esistenza più serena e il desiderio di rimettersi in gioco tornando protagonisti principali della propria vita. Probabilmente, i musei dovranno assumersi la responsabilità di facilitare il reinserimento di parte del pubblico generico all’interno di un mondo che avrà solo le sembianze di quello precedente.

L’effetto benessere al museo

Se da una parte abbiamo la certezza che la cultura può avere effetti benefici a livello psico-fisico, perché non provare a potenziarne l’effetto-benessere attraverso speciali laboratori all’interno dei musei in grado di abituarci a prestare maggiore attenzione verso noi stessi e le nostre emozioni? Sarebbe bello poter staccare la spina dalle frustrazioni quotidiane, ridurre lo stress e ritrovare quell’equilibrio interiore in grado di farci stare meglio e di prepararci alla “fruizione perfetta” di una mostra, di un concerto o di un’opera teatrale.

Maurizio Vanni

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