È esattamente il 20 Febbraio del 1909 quando sul giornale francese Le Figaro compare il Manifesto Futurista pubblicato da Filippo Tommaso Marinetti. Il Futurismo è un’idea tutta nuova, che va contro le tradizionali regole artistiche. L’intenzione è quella di portare l’arte fuori dalle accademie e dentro la modernità.
La storia e i protagonisti
Il Futurismo nasce in un periodo – l’inizio del Novecento – di notevole fase evolutiva dove tutto il mondo dell’arte e della cultura era stimolato da numerosi fattori determinanti.
Le guerre, la trasformazione sociale dei popoli, i grandi cambiamenti politici e le nuove scoperte tecnologiche e di comunicazione, come il telegrafo senza fili, la radio, aeroplani e le prime cineprese.
Tutti questi fattori contribuirono a cambiare completamente la percezione delle distanze e del tempo, ‘avvicinando’ fra loro i continenti. Il XX secolo era quindi invaso da un nuovo vento, che portava all’interno dell’essere umano una nuova realtà: la velocità.
Le fasi del movimento futurista
La corrente artistica del Futurismo nasce sì in Italia, ma sarà poi accolta anche nel resto d’Europa. La sua storia si può dividere in due fasi: la prima fase, che si conclude con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, è interamente concentrata nella città di Milano. La seconda fase del Futurismo, invece, nata dopo la fine del conflitto, si sposta verso Roma e prendendo sfumature più politiche.
Il più importante rappresentante del Futurismo fu Umberto Boccioni seguito da Giacomo Balla, Gino Severini, Fortunato Depero e Carlo Carrà. La morte di Boccioni nel 1912 segna la netta divisione tra le due fasi. I protagonisti del futurismo rinnegano in un certo senso il passato artistico e credono fortemente nel frenetico, dinamico e moderno presente.
Se si volesse cercare una data conclusiva dell’avventura futurista, essa potrebbe rinvenirsi nel 2 dicembre del 1944, all’ unisono con la data di morte del suo fondatore.
Nonostante un lunghissimo periodo di ostracismo messo in atto da critici poco accorti, che hanno ingiustamente legato il movimento d’avanguardia al fascismo in ogni sua componente, e che hanno erroneamente analizzato le dichiarazioni più provocatorie del futurismo in tema di maschilismo e militarismo, l’influenza futurista non ha mai cessato di esistere nell’arte e nella comunicazione mondiale.
Non è azzardato affermare che la Pop Art, la musica elettronica, la pubblicità, la grafica, il linguaggio e la letteratura odierne debbano molto all’insegnamento futurista.
Il manifesto e i nuovi principi
L’ideale espresso nel Manifesto del Futurismo si realizza con diverse forme e in diversi ambiti. La pittura e la scultura non sono le sole protagoniste di questa rivoluzione, anche la letteratura è coinvolta, dove Marinetti presenta le “parole in libertà” cioè parole lasciate sul foglio senza un legame sintattico-grammaticale.
Anche la fotografia trasforma il suo modo di comunicare, il regista Anton Giulio Bragaglia crea la tecnica del “fotodinamismo futurista”. Il futurismo accoglie tutto ciò che è moderno, dinamico, veloce e industriale.
Ideali e scopo
Fin dalla pubblicazione del primo Manifesto, il Futurismo irruppe con una carica provocatoria verbalmente violenta e polemizzò su tutte le regole sociali ed accademiche.
“Avevamo vegliato tutta la notte – i miei amici ed io – sotto lampade di moschea dalle cupole di ottone traforato, stellate come le nostre anime, perché come queste irradiate dal chiuso fulgore di un cuore elettrico.”
Furono queste le parole con cui esordì, il 20 febbraio 1909 sulle pagine del quotidiano Le Figaro, il Manifesto di fondazione del Futurismo. I futuristi intendevano idealmente ‘bruciare i musei e le biblioteche’ in modo da non avere più rapporti con il passato e concentrarsi così sul dinamico presente; tutto questo, come è ovvio, in senso ideologico.
Le catene di montaggio abbattevano i tempi di produzione, le automobili aumentavano ogni giorno, le strade iniziarono a riempirsi di luce artificiale, si avvertiva questa nuova sensazione di futuro e velocità sia nel tempo impiegato per produrre o arrivare ad una destinazione, sia nei nuovi spazi che potevano essere percorsi, sia nelle nuove possibilità di comunicazione.
I principi del manifesto futurista
Filippo Tommaso Marinetti crea il Manifesto del Futurismo, poi pubblicato in lingua francese sul quotidiano Le Figaro il 20 febbraio 1909, con titolo Manifeste du Futurisme.
Il Manifesto Futurista
1. Noi vogliamo cantare l’amor del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerità.
2. Il coraggio, l’audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia.
3. La letteratura esaltò fino ad oggi l’immobilità pensosa, l’estasi e il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno.
4. Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità. Un automobile da corsa, col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo… un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia.
5. Noi vogliamo inneggiare all’uomo che tiene il volante, la cui asta ideale attraversa la Terra, lanciata a corsa, essa pure, sul circuito della sua orbita.
6. Bisogna che il poeta si prodighi, con ardore, sfarzo e munificenza, per aumentare l’entusiastico fervore degli elementi primordiali.
7. Non v’è più bellezza, se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro. La poesia deve essere concepita come un violento assalto contro le forze ignote, per indurle a prostrarsi davanti all’uomo.
8. Noi siamo sul promontorio estremo dei secoli!… Perché dovremmo guardarci alle spalle, se vogliamo sfondare le misteriose porte dell’Impossibile? Il Tempo e lo Spazio morirono ieri. Noi viviamo già nell’assoluto, poiché abbiamo già creata l’eterna velocità onnipresente.
9. Noi vogliamo glorificare la guerra – sola igiene del mondo – il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna.
10. Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie di ogni specie, e combattere contro il moralismo, il femminismo e contro ogni viltà opportunistica o utilitaria.
11. Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa; canteremo le maree multicolori e polifoniche delle rivoluzioni nelle capitali moderne; canteremo il vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri incendiati da violente lune elettriche; le stazioni ingorde, divoratrici di serpi che fumano le officine appese alle nuvole pei contorti fili dei loro fumi; i ponti simili a ginnasti giganti che scavalcano i fiumi, balenanti al sole con un luccichio di coltelli; i piroscafi avventurosi che fiutano l’orizzonte, le locomotive dall’ampio petto che scalpitano sulle rotaie, come enormi cavalli d’acciaio imbrigliati di tubi, e il volo scivolante degli aeroplani, la cui elica garrisce al vento come una bandiera e sembra applaudire come una folla entusiasta.
Nasce in Italia, ma è una corrente europea
È dall’Italia, che noi lanciamo pel mondo questo nostro manifesto di violenza travolgente e incendiaria, col quale fondiamo oggi il « Futurismo », perché vogliamo liberare questo paese dalla sua fetida cancrena di professori, d’archeologhi, di ciceroni e d’antiquarii. Già per troppo tempo l’Italia è stata un mercato di rigattieri. Noi vogliamo liberarla dagl’innumerevoli musei che la coprono tutta di cimiteri innumerevoli.
Musei: cimiteri!… Identici, veramente, per la sinistra promiscuità di tanti corpi che non si conoscono. Musei: dormitorî pubblici in cui si riposa per sempre accanto ad esseri odiati o ignoti! Musei: assurdi macelli di pittori e scultori che vanno trucidando si (sic) ferocemente a colpi di colori e di linee, lungo le pareti contese!
Che ci si vada in pellegrinaggio, una volta all’anno, come si va al Camposanto nel giorno dei morti…. velo concedo. Che una volta all’anno sia deposto un omaggio di fiori davanti alla Gioconda, ve lo concedo…. Ma non ammetto che si conducano quotidianamente a passeggio per i musei le nostre tristezze, il nostro fragile coraggio, la nostra morbosa inquietudine. Perché volersi avvelenare? Perché volere imputridire?
E che mai si può vedere, in un vecchio quadro, se non la faticosa contorsione dell’artista, che si sforzò di infrangere le insuperabili barriere opposte al desiderio di esprimere interamente il suo sogno?… Ammirare un quadro antico equivale a versare la nostra sensibilità in un’urna funeraria, invece di proiettarla lontano, in violenti getti di creazione e di azione.
Volete dunque sprecare tutte le vostre forze migliori, in questa eterna ed inutile ammirazione del passato, da cui uscite fatalmente esausti, diminuiti e calpesti?
In verità io vi dichiaro che la frequentazione quotidiana dei musei, delle biblioteche e delle accademie (cimiteri di sforzi vani, calvarii di sogni crocifissi, registri di slanci troncati!…) è, per gli artisti, altrettanto dannosa che la tutela prolungata dei parenti per certi giovani ebbri del loro ingegno e della loro volontà ambiziosa. Per i moribondi, per gl’infermi, pei prigionieri, sia pure: — l’ammirabile passato è forse un balsamo ai loro mali, poichè per essi l’avvenire è sbarrato…. Ma noi non vogliamo più saperne, del passato, noi, giovani e forti futuristi!
E vengano dunque, gli allegri incendiarii dalle dita carbonizzate! Eccoli! Eccoli!… Suvvia! date fuoco agli scaffali delle biblioteche!… Sviate il corso dei canali, per inondare i musei!… Oh, la gioia di veder galleggiare alla deriva, lacere e stinte su quelle acque, le vecchie tele gloriose!… Impugnate i picconi, le scuri, i martelli e demolite, demolite senza pietà le città venerate!
I più anziani fra noi, hanno trent’anni: ci rimane dunque almeno un decennio, per compier l’opera nostra. Quando avremo quarant’anni, altri uomini più giovani e più validi di noi, ci gettino pure nel cestino, come manoscritti inutili. — Noi lo desideriamo!
Verranno contro di noi, i nostri successori; verranno di lontano, da ogni parte, danzando su la cadenza alata dei loro primi canti, protendendo dita adunche di predatori, e fiutando caninamente, alle porte delle accademie, il buon odore delle nostre menti in putrefazione, già promesse alle catacombe delle biblioteche.
Ma noi non saremo là…. Essi ci troveranno alfine — una notte d’inverno — in aperta campagna, sotto una triste tettoia tamburellata da una pioggia monotona, e ci vedranno accoccolati accanto ai nostri aeroplani trepidanti e nell’atto di scaldarci le mani al fuocherello meschino che daranno i nostri libri d’oggi fiammeggiando sotto il volo delle nostre immagini.
Essi tumultueranno intorno a noi, ansando per angoscia e per dispetto, e tutti, esasperati dal nostro superbo, instancabile ardire, si avventeranno per ucciderci, spinti da un’odio tanto più implacabile inquantochè i loro cuori saranno ebbri di amore e di ammirazione per noi.
La forte e sana Ingiustizia scoppierà radiosa nei loro occhi. — L’arte, infatti, non può essere che violenza, crudeltà ed ingiustizia.
I più anziani fra noi hanno trent’anni: eppure, noi abbiamo già sperperati tesori, mille tesori di forza, di amore, d’audacia, d’astuzia e di rude volontà; li abbiamo gettati via impazientemente, in furia, senza contare, senza mai esitare, senza riposarci mai, a perdifiato…. Guardateci! Non siamo ancora spossati! I nostri cuori non sentono alcuna stanchezza, poichè sono nutriti di fuoco, di odio e di velocità!… Ve ne stupite?… È logico, poichè voi non vi ricordate nemmeno di aver vissuto! Ritti sulla cima del mondo, noi scagliamo una volta ancora, la nostra sfida alle stelle!
Ci opponete delle obiezioni?… Basta! Basta! Le conosciamo…. Abbiamo capito!… La nostra bella e mendace intelligenza ci afferma che noi siamo il riassunto e il prolungamento degli avi nostri. — Forse!… Sia pure!…. Ma che importa? Non vogliamo intendere!… Guai a chi ci ripeterà queste parole infami!..
Alzate la testa!…
Ritti sulla cima del mondo, noi scagliamo, una volta ancora, la nostra sfida alle stelle!…»