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Italiano: “in bocca al lupo”: la curiosa origine della locuzione

Scopriamo con questo articolo qual è l'origine della locuzione usata nell'italiano contemporaneo "in bocca al lupo" e il suo incerto legame col greco.

L’espressione “In bocca al lupo” è tra le più usate nell’italiano contemporaneo per augurare buona fortuna in situazioni difficili, prima di un esame, una prova importante, un viaggio, uno spettacolo. Eppure, dietro questa semplice locuzione si cela un universo di storia, credenze popolari, trasformazioni linguistiche e riferimenti culturali che attraversano secoli e continenti. Dire “in bocca al lupo” non è solo un modo di dire: è un lascito della tradizione orale, un esempio perfetto di come il linguaggio riesca a conservare tracce di paure arcaiche e, al tempo stesso, a reinventarsi attraverso il gioco della parola.

Origini e significato apotropaico anche nell’italiano contemporaneo

Secondo i principali dizionari etimologici della lingua italiana, tra cui quello di Cortelazzo e Zolli, l’origine della locuzione è da rintracciarsi nell’ambito della caccia. Si trattava inizialmente di un augurio paradossale – un’antifrasi – rivolto ai cacciatori affinché tornassero sani e salvi da una battuta, formulato con intento apotropaico: ossia, con lo scopo di allontanare la sfortuna attraverso una formula che ne evocasse il pericolo per esorcizzarlo. Alla frase “In bocca al lupo!” si rispondeva, e spesso si risponde ancora, con “Crepi!”, sottintendendo “il lupo”, simbolo del pericolo mortale.

Questo tipo di espressione dimostra la forte credenza nel potere magico della parola, comune a molte culture arcaiche: nominarlo, il pericolo, equivaleva a neutralizzarne la minaccia. Così, augurare una cosa negativa diventava il modo più efficace per evitarla.

Il lupo nell’immaginario europeo

La figura del lupo, fin dall’antichità e per tutto il Medioevo, è stata associata a immagini di ferocia, insidiosità e pericolo. Era il terrore di pastori e contadini, protagonista inquietante di favole (come quelle di Esopo, La Fontaine, e la fiaba di Cappuccetto Rosso) e leggende popolari tramandate oralmente attraverso generazioni. Il “Lupo di Gubbio” dei Fioretti di San Francesco è forse una delle testimonianze italiane più note: l’animale, feroce predatore, viene ammansito solo dall’intervento del santo, simbolo della forza della fede e della pace.

L’immaginario collettivo ha perciò cristallizzato nel lupo un essere pericoloso, crudele e insaziabile. Ne è testimonianza la ricchissima rete di modi di dire e proverbi ancora oggi in uso: gridare al lupo, il lupo perde il pelo ma non il vizio, chi pecora si fa il lupo se la mangia, tempo da lupi, una fame da lupi. La stessa immagine compare in numerose lingue europee: in francese (crier au loup), in inglese (a wolf in sheep’s clothing), in tedesco (ein Wolf im Schafspelz), in polacco (wilk w owczej skórze). Un’unità simbolica che attraversa confini, a dimostrazione di quanto il lupo fosse temuto e centrale nel folklore dell’intero continente.

Con il tempo, la locuzione “in bocca al lupo” ha perso la sua connessione diretta con la caccia e si è estesa a tutte le situazioni in cui una persona si accinge ad affrontare una prova. Ecco quindi che un’espressione originariamente legata alla superstizione diventa patrimonio comune, utilizzata quotidianamente per infondere coraggio e protezione. La risposta “Crepi!” però, oggi, solleva qualche discussione: alcune persone, per rispetto verso l’animale, preferiscono rispondere “Viva il lupo!”, sottolineando una nuova sensibilità verso la fauna e una lettura più simbolica e meno cruenta della frase.

Una possibile origine greca

Una teoria affascinante e meno conosciuta ipotizza che “In bocca al lupo” derivi da una storpiatura fonetica di una frase greca: “Émbaine álupon (odón)”, ovvero “Imbocca una strada non pericolosa”. Il passaggio alla lingua italiana avrebbe prodotto un’espressione dal suono simile, reinterpretata però in base alle immagini e alle paure note nella cultura del tempo. L’assonanza fra “álupon” e “lupo”, e la traslazione di “Émbaine” in “in bocca” hanno prodotto, grazie al cosiddetto “telefono senza fili” linguistico, la formula oggi conosciuta. In Grecia si rispondeva a quell’augurio con “Chrê” (“è necessario”), trasformato in Italia in “Crepi (il lupo)”.

Si tratta di un perfetto esempio di trasformazione linguistica e culturale, dove il senso iniziale si piega ai contesti locali e genera un nuovo significato.

Una magia linguistica

“In bocca al lupo” è, in definitiva, un piccolo miracolo della lingua: una frase che racconta secoli di storia, paure, trasformazioni culturali. È un augurio che affonda le radici in credenze magiche e popolari, ma che riesce ancora oggi a trasmettere empatia, vicinanza, solidarietà. È il segno che il linguaggio non è mai neutro, ma sempre carico di esperienze collettive, metafore, emozioni. È anche la prova di quanto l’uomo ami giocare con le parole, manipolarle, adattarle ai propri bisogni, reinterpretarle con ironia o serietà, mantenendo però vivo quel filo invisibile che unisce presente e passato.

Ecco perché, che si risponda con un “Crepi!”, con un “Viva il lupo!”, o semplicemente con un sorriso, ogni volta che si dice “In bocca al lupo” si partecipa a un rito antico, a una memoria comune, a una meraviglia linguistica che attraversa i secoli.

Per saperne di più consigliamo questo articolo redatto dall’Accademia della Crusca: Sull’origine della formula in bocca al lupo.

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