Non c’è stata primavera di André Gide è una malinconica poesia che parla del nostro stato d’animo, sulle nostre abitudini, sulle nostre chiusure che molte volte impediscono di poter cogliere i doni della vita. Tutto sembra apparire buio quando le cose non vanno nella direzione che si desidera. E allo stesso tempo ci facciamo condizionare dalle solite convinzioni riguardo all’esistenza. Il tempo scorre inesorabile e non ci accorge che la vita in modo ciclico avanza, senza poter cogliere il meglio che essa riesce a donare.
Non c’è stata primavera è la prima poesia del libro Les Poésies d’André Walter di André Gide pubblicato per la prima volta a Parigi nel 1892.
Leggiamo questa meravigliosa poesia di André Gide per scoprirne la bellezza e il profondo significato.
Non c’è stata primavera di André Gide
Quest’anno cara, non c’è stata primavera;
Non canti sotto i fiori e non fiori leggeri,
Non risa e metamorfosi, né Aprile;
Non avremo intrecciato le ghirlande di rose.Chini eravamo al chiarore delle lampade
Ancora, e su tutti i libri dell’inverno
Quando ci ha sorpreso un sole di settembre
Pavido e rosso e come anemone di mare.Mi hai detto: “Guarda! Ecco l’Autunno.
Dunque, è stato un sonno il nostro?
Se dobbiamo vivere ancora
Tra questi in-folio, rischia di diventar monotono.Forse, è fuggita ormai una primavera
Senza che la vedessimo apparire;
Perché in tempo parli a noi l’aurora,
Apri le tende delle finestre”.Pioveva. Le lampade abbiamo ravvivato
Impallidite per quel sole rosso
E ci siamo rituffati nell’attesa
Della chiara primavera che è alle porte.
Il n’y a pas eu de printemps cette année, André Gide
Il n’y a pas eu de printemps cette année, ma chère;
Pas de chants sous les fleurs et pas de fleurs légères,
Ni d’Avril, ni de rires et ni de métamorphoses;
Nous n’aurons pas tressé de guirlandes de roses.Nous étions penchés à la lueur des lampes
Encore, et sur tous nos bouquins de l’hiver
Quand nous a surpris un soleil de septembre
Rouge et peureux et comme une anémone de mer.
Tu m’as dit: « Tiens ! Voici l’Automne.
Est-ce que nous avons dormi ?
S’il nous faut vivre encore parmi
Ces in-folio, ça va devenir monotone.Peut-être déjà qu’un printemps
A fui sans que nous l’ayons vu paraître;
Pour que l’aurore nous parle à temps,
Ouvre les rideaux des fenêtres.»Il pleuvait. Nous avons ranimé les lampes
Que ce soleil rouge avait fait pâlir
Et nous nous sommes replongés dans l’attente
Du clair printemps qui va venir.
Se nel cuore non splende il sole
Non c’è stata primavera è una poesia di André Gide che rivela un’amara visione dell’esistenza e allo stesso tempo la voglia di poter sperare che la “primavera è alle porte”, ovvero che la desiderata felicità è dietro l’angolo e va colta, perché in fondo la vita merita di essere vissuta e apprezzata.
Nei versi di André Gide scorre la malinconica constatazione che la vita molte volte non riesce a donare ciò che si desidera. Il tempo purtroppo continua a scorrere senza che ce ne rendiamo conto, l’abitudine rischia di rendere monotona la vita, tutto finisce per apparire sempre più buio e allo stesso tempo sofferente come “il sole rosso di settembre”.
La poesia fa emergere la necessità di aprirsi al mondo prima che sia troppo tardi, “la primavera è ancora alle porte, l’attesa non è vana.”
Scoprire che la vita passa senza viverne la gioia
La poesia inizia con l’amara constatazione che la primavera non sia arrivata. La stagione della rinascita, del risveglio, del canto e della leggerezza, della gioia, della felicità non si è manifestata.
La sua assenza è esistenziale, il poeta condivide con la persona cara il fatto che la monotona accettazione di ciò che stanno vivendo ha offerto come unico risultato il grigio vivere.
L’assenza di “canti”, “fiori leggeri” e “metamorfosi” indica una mancanza di cambiamento, di crescita, di esperienza vitale. Il verso “Non avremo intrecciato le ghirlande di rose” suggerisce che i protagonisti non hanno vissuto ciò che desideravano, come se la vita fosse rimasta sospesa.
L’accettazione di ciò che è senza aver mai reagito
Nella seconda strofa emerge la statica accettazione di ciò che la vita propone di grigio, senza la dovuta capacità di reagire. Immersi nelle loro riflessioni i due amanti hanno dovuto subire il tempo che passa, non riuscendo a cogliere i doni che la vita riesce ad offrire semplicemente aprendosi ad essa. Il riferimento ai “libri dell’inverno” suggerisce un lungo periodo di riflessione, di chiusura, forse di isolamento intellettuale o di abitudine.
Il “sole di settembre” arriva improvviso, segno del passare del tempo. Ma non è un sole pieno e luminoso: è “pavido”, incerto, rossastro, paragonato a un “anemone di mare”, un’immagine delicata e sfuggente che richiama qualcosa di fragile e inafferrabile. Questo sole autunnale arriva quando ormai la primavera è già passata, senza che loro se ne accorgessero.
Prendere coscienza che si è perso tempo prezioso
Nella terza strofa subentra la consapevolezza della loro condizione. Si sono resi conto che è già arrivato l’autunno, ovvero la l’età matura, e solo adesso si sono resi conto di non aver colto il piacere di vivere e di prendere il meglio che la vita sa offrire.
La domanda “Dunque, è stato un sonno il nostro?” esprime in modo palese l’aver preso coscienza che hanno vissuto la loro vita come immersi in uno stato di torpore, di stordimento.
L’uso di “sonno” richiama il tema del tempo che scorre senza essere vissuto pienamente. Inoltre, “in-folio” (i grandi libri antichi) indica che sono rimasti legati a un mondo intellettuale e chiuso, che ha costretto la loro esistenza ad essere monotona e ripetitiva. C’è un profondo rimpianto, ma inizia ad emergere il desiderio del risveglio. La voglia di reagire a ciò che è stato per godere finalmente l’aprirsi alla vita.
Il sole diventa all’improvviso più vivido, la terra più calda; i mandorli in fiore sempre più numerosi, i prati vivaci, le farfalle e le coccinelle si producono in leggiadri svolazzi. Ad un tratto, è primavera. E anche il nostro corpo nutre il desiderio di scaldarsi al sole ed accogliere dentro di sé i primi teneri raggi di vita.
Reagire è necessario
Nella quarta strofa, emerge l’opportunità, la voglia di reagire. Prima il rimpianto del troppo tempo perso nel grigiore e subito dopo il colpo di reni di “aprire le tende all’aurora”, ovvero iniziare ad apprezzare la speranza e la voglia che un nuovo sole sra nascendo nelle loro vite.
“Apri le tende delle finestre”, è un gesto simbolico, lasciare entrare la luce, guardare il mondo, uscire dalla clausura intellettuale e dall’inerzia della loro sofferenza e abitudine.
La speranza di una nuova primavera esiste
André Gide chiude la poesia prendendo atto di essere ancora immersi “nella pioggia dell’autunno”, nel grigio vivere, ma c’è ancora la speranza che la primavera possa entrare nelle loro vite.
L’abitudine, l’abbandono “alla vita che è così e basta”, le convinzioni anche intellettuali che chiudono ogni forma di apertura finiscono per diventare la prigione dell’esistenza. Reagire sembra dire il poeta francese, la vita è meravigliosa e molte volte le chiusure, il voler vedere le cose in modo negativo o contro, finiscono per non fare apprezzare ciò che di bello esiste intorno a noi.
Una poesia che appare troppo contemporanea, in cui il mondo sembra sprofondare nell’abisso al livello umano in una visione critica di tutto ciò che esiste, non lasciando spazio alla leggerezza, alla gioia e alla felicità.