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“Canta la gioia” (1896) di Gabriele D’Annunzio, vitale poesia sull’amore per la vita

Vivi la magia della vita attraverso i versi di "Canta la gioia", la poesia che Gabriele D'Annunzio dedicò alla sua musa, Elda Zucconi.

Canta la gioia di Gabriele D’Annunzio è una poesia che celebra la vita e l’amore. Una poesia che può essere considerata un inno alla vita, al piacere, all’eterna giovinezza che dovrebbe trionfare in ogni essere umano. 

Ma, esprime anche la voglia di dominare ed aver possesso del mondo e di tutti i piaceri che il vivere in Terra può offrire.

Un Canto che il Gabriele D’annunzio dedicò ad Giselda Zucconi, il primo grande amore del poeta, che il Vate incontro Il 15 aprile 1881, mentre era ospite a Firenze di Mario Foresi per le vacanze pasquali.

Giselda, che divento presto Elda o Lalla, era la figlia del professore Tito Zucconi, che era stato il suo insegnante di lingue e letterature straniere al Regio Convitto Cicognini di Prato.

Innamoramento a prima vista per lui, che si dichiarò il 29 aprile, e per lei, che rispose concorde il 1° maggio. Il rapporto durò fino al marzo 1883.

Canta la gioia fa parte della seconda edizione (1896) di Canto Novo, la raccolta di poesie dedicate ad Elda Zucconi, pubblicata per la prima volta nel 1882. 

Leggiamo la poesia di Gabriele D’Annunzio, per comprendere lo slancio vitale di questa ode barbara. 

Canta la gioia di Gabriele D’Annunzio

Canta la gioia! Io voglio cingerti
di tutti i fiori perché tu celebri
la gioia la gioia la gioia,
questa magnifica donatrice! 

Canta l’immensa gioia di vivere,
d’essere forte, d’essere giovine,
di mordere i frutti terrestri
con saldi e bianchi denti voraci, 

di por le mani audaci e cupide
su ogni dolce cosa tangibile,
di tendere l’arco su ogni
preda novella che il desìo miri, 

e di ascoltar tutte le musiche,
e di guardar con occhi fiammei
il volto divino del mondo
come l’amante guarda l’amata,

e di adorare ogni fuggevole
forma, ogni segno vago, ogni immagine
vanente, ogni grazia caduca,
ogni apparenza ne l’ora breve. 

Canta la gioia! Lungi da l’anima
nostra il dolore, veste cinerea.
E’ un misero schiavo colui
che del dolore fa sua veste. 

A te la gioia, Ospite! Io voglio
vestirti da la più rossa porpora
s’io debba pur tingere il tuo
bisso nel sangue de le mie vene. 

Di tutti i fiori io voglio cingerti
trasfigurata perché tu celebri
la gioia la gioia la gioia,
questa invincibile creatrice! 

L’invito all’amata Elda alla gioia e al piacere di vivere

Canta la gioia è una poesia di Gabriele D’Annunzio è come dicevamo un’ode barbara, ovvero una poesia in forma metrica che riproduce il suono e la misura dei versi latini nella poesia italiana.

L’ispirazione arriva dal modo di fare poesia di Giosuè Carducci, che diede il titolo di Odi Barbare ad una delle sue raccolte di poesie più famose, pubblicata nel 1877.

Canta la gioia celebra la gioia di vivere e il piacere dell’assoluto possesso del Mondo. Lo fa attraverso una musicalità che sembra proporre in poesia, ciò che Richard Wagner faceva attraverso le note delle sue sinfonie. 

I riferimenti letterari della poesia, arrivano anche delle letture che D’Annunzio fece in quel periodo del filosofo tedesco Friedrich Nietzsche. In particolare, fu fortemente attratto dal libro Così parlo Zarathustra del 1885, dove l’idea del “Sovrauomo” animato dallo spirito dionisiaco, mosso dalla volontà di potenza e pieno di disprezzo per i deboli e gli infelici, iniziava ad affermarsi in molta parte della cultura occidentale. 

Un inno alla gioia e alla vita

Gabriele D’Annunzio già dai primi versi si rivolge alla sua Musa Elda, invitandola ad unirsi a lui nel cantare e celebrare la gioia della vita. Questa va posseduta e goduta in toto, chi si abbandona al dolore e alla commiserazione è destinato a diventare schiavo della vita stessa.

Nella prima strofa La gioia è identificata come “magnifica donatrice”. Sarebbe un peccato, un o spreco, un’offesa alla vita non coglierne i benefici. 

Gabriele D’annunzio nella seconda strofa mette al centro il tema dell’eterna giovinezza, ovvero di quella forza che non deve mai essere sopita. La giovinezza permette “di mordere i frutti terrestri”, altro dono che l’essere nati ci ha dato.

Nei versi della terza strofa emerge l’invito alla supremazia su ogni cosa si desideri avere. Non c’è spazio per la debolezza, ogni “preda” va presa quando si vive. 

La voglia di aprirsi a tutti i piaceri sensoriali, ad “ascoltar tutte le musiche” e a godere di tutto ciò che il Mondo in cui si vive offre, è l’invito che D’Annunzio rivolge all’amata nella quarta strofa.

Concetto che il Vate sottolinea anche nella quinta stanza della poesia.
 
Della vita va preso tutto e adorato ogni cosa. “L’ora breve” della vita impone di farlo senza indugi o sensi si colpa. La vita va presa guardando a ciò che ci circonda con grande amore e desiderio. Non si può lasciare indietro nulla. 
 
Nella sesta strofa il poeta pescarese invita Elda ad allontanare il proprio sguardo da ogni forma di dolore. Chi “del dolore fa sua veste”, dice il poeta, “è un misero schiavo”. 
 
La vita impone l’assoluta libertà da ogni forma di sofferenza. La gioia non può rivolge il proprio sguardo al doloroso martirio. 
 
Il poeta chiude l’Ode, offrendo tutta la gioia che ha dentro sé stesso alla propria amante. Gli offre il sangue che scorre nelle sue vene, ovvero tutta la sua energia e il suo amore.
 

vestirti da la più rossa porpora
s’io debba pur tingere il tuo
bisso nel sangue de le mie vene

E, infine, nell’ultima stanza D’Annunzio ribadisce ad Elda la propria generosità, “Di tutti i fiori io voglio cingerti”, affinché possa anch’ella essere celebrata come portatrice di gioia.

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