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La lettera d’amore di Ippolito Nievo a Matilde Ferrari

MILANO – Ippolito Nievo conobbe la diciottenne Matilde Ferrari nella primavera del 1848, ma dovrà passare più di un anno perchè Ippolito si decida a dichiarare il suo amore. La loro relazione durò meno di un anno ma quando poi, nel 1861, lui morì in un naufragio, Matilde si disperò profondamente. Morì, malata di cuore, pochi anni dopo senza essersi mai sposata.

LA CORRISPONDENZA – Sessantanove sono le lettere d’amore di Ippolito Nievo a Matilde Ferrari, ancora oggi di proprietà dei discendenti di Matilde. C’è poi la minuta di lettera che si conserva in un altro archivio: non è né datata, né risulta spedita alla destinataria. Marcella Gorra assegna questa minuta ai primi di gennaio 1849, quindi ai giorni immediatamente precedenti la partenza di Nievo per Firenze. Tutte le altre lettere, ad iniziare da quella con la data 26 febbraio 1850, furono scritte in un limitato arco di tempo. Vediamo insieme una delle lettere scritte all’amata riportata da bibliolab.com.

 

“Matilde, io le aveva scritto un’altra volta; le aveva scritto a lungo, perché sperava ch’ella avrebbe avuto compassione se non di me, almeno del mio povero Attilio; Dio non ha esaudito i miei voti, e Dio solo ne sa il perché. Ma la speranza io l’ho ancora: la speranza non mi abbandonerà giammai, fino a che un soffio di vita riscalderà le mie vene. Oh non v’ha bisogno, Matilde, di scrivere ch’io l’amo! S’ella sapesse quante volte questa parola io l’ho proferita! L’ho proferita sfiduciato di tutto e fin di me stesso; l’ho proferita nell’ebbrezza dell’estasi, e nell’orrore della sciagura, nelle veglie e nei sogni, nelle allegrezze, negli stenti! Il suo nome è stato il mio angelo, e l’amore la sola mia vita: senza di lei cos’era per me il futuro? Era un deserto… era un inferno…, e quel deserto,
quell’inferno mi spaventavano assai piú della morte. Io sono stato otto mesi lontano da lei; sono stato otto mesi p senza vederla! … Senza vederla? No; non è vero! Io la vedeva sempre, io la vedeva davanti agli occhi miei, come un’aurora di pace; ma quell’aurora era un fantasma, e quando io desioso stendeva le mani per abbracciarla, quel fantasma fuggiva, fuggivano con esso le piú soavi illusioni dell’anima mia ed io restava solo, senza presente, senza avvenire, abbandonato da tutti.
Ma finalmente io son tornato! Son tornato in questa cara Lombardia, cara perché è il paese di Matilde! Oh come esprimere i sentimenti che mi balzarono in cuore nell’appressarmi a questa terra beata? Oh lo confesso, Matilde, e, quasi mi vergogno nel dirlo, non era per riveder mio padre, non era per riabbracciare mia Mamma che palpitava il mio cuore, v’era un’altra cagione a’ suoi palpiti, piú potente ancora, e santa al pari dell’amor figliale! Una cagione misteriosa e segreta, una cagione veemente e pura, che aveva nome l’Amore. Lascia ch’io mi ricordi sempre del primo istante che ti rividi! Lascia ch’io pensi sempre a quel momento divino in cui l’Occhio affaticato e piangente si riposò felice sulla tua fronte! Non è vero che il tempo fugge per non tornar piú indietro: quel momento io io lo tengo sempre nel mio cuore, la memoria di quel momento mi farà sempre beato, e la memoria vive con noi, e ci accompagna al di là del sepolcro.
Matilde! Matilde! Io l’amo come si può amare una donna! Io l’amo col trasporto della passione, coll’immensità dell’estasi! Ch’io la veda un’ora sola, ch’io le parli un solo minuto, e piú non chiedo a Dio perché quello è il mio Paradiso. Il mio amore è grande! Grande come il mio pensiero, esso diverrà eterno sol ch’ella lo voglia. Cosa posso dirle di piú! Nulla! nulla… perché la favella degli uomini non può esprimere i sensi infiniti d’un’anima.
L’uomo che non ama è come un viandante smarrito in questa valle di lagrime; ogni sventura lo opprime, ogni pericolo lo atterrisce, ma quando egli sente un’anima che risponde ai gemiti del suo cuore, quando egli trova un seno in cui versare la piena de’ suoi affanni, allora egli è forte, allora egli cammina con passo sicuro, e non teme di sfidar il destino! Trovare, o Matilde, un’anima pura come la sua, ravvisare in lei lo specchio delle immagini piú caste, dei pensieri piú angelici e soavi, confidarsi in lei colla cieca fiducia della passione, raccogliere i suoi sospiri, sentirsi sulla guancia il profumo virginale del suo fiato, oh non è questo il Paradiso per l’uomo?
Oh quanto erano felici per me quei giorni di quiete e d’amore, in cui lo spirito nella vastità delle campagne s’inebbriava di sogni, e beveva a sorsi, a sorsi il calice della felicità! Le ore ch’io passava vicino all’amor mio erano ore celesti, il resto della giornata non era che un eco indistinto, una reminiscenza di quelle ore beate! Se una parola usciva dalle mie labbra, era per parlare di Matilde; se un canto, una melodia sfuggiva alla mia penna, era per rammentare Matilde!
O amore! amore, vita della vita, anima dell’anima, quando verrà, o Matilde, il giorno ch’io sarò certo dell’amor suo? Dio voglia, ch’egli sia vicino, e ch’io possa dirle: Ecco i nostri destini uniti per sempre! Sí, per sempre; perché una promessa uscita dal mio labbro sarà mantenuta anche a prezzo di tutto il sangue, perché il mio amore è santo e leale! Quando l’anima va spaziando leggiera e contenta nell’ideale delle sue speranze, quando ella ama nel silenzio e nel raccoglimento, il balsamo della felicità si spande come per incanto sulla sua esistenza, ed ogni anelito del cuore è interprete allo spirito d’una voluttà di delizie. Fino dal primo giorno ch’io la vidi, o Matilde, un sentimento indefinito penetrò nella tranquillità de’ miei affetti: conobbi allora che il mio avvenire era deciso, e sentii la vita che prima mi pesava come una noja, alleggerirsi e volare nei vortici del pensiero come l’ala d’un angelo. Il mio spirito s’era ingrandito: egli abbracciava tutto l’universo perché abbracciava l’amore.
Matilde! Matilde! È la prima volta ch’io amo! … Deh, lascia ch’io t’ami sempre! … Deh non distruggere questa speranza divina che si è incarnata con me! Lascia ch’io speri di poter unire un giorno la tua vita alla mia: scrivimi una sola parola, una riga di conforto e sarò troppo felice! Perdona, se la passione detta le mie parole; perdona all’amor mio, e credi che se v’è uomo che brami di farti felice, se v’è uomo che ti possa essere riconoscente della tua compassione, quell’uomo son io! Matilde! Matilde! fa ch’io possa sempre chiamarmi il tuo Ippolito.”

Ippolito 

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