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Charlotte Brontë, una lettera per esprimere una vita tormentata

La vita delle sorelle Brontë fu segnata da gravi lutti familiari: persero da piccole la madre malata di cancro, e anche la zia, che si era trasferita nella loro casa per crescerle, se ne andò precocemente. Vennero inoltre a mancare anche le due sorelle maggiori ed Emily stessa, a causa delle cattive condizioni ambientali, morì a soli trent’anni. Charlotte Brontë, non fu molto fortunata neppure in campo sentimentale: s’innamorò – non ricambiata – di un professore, già sposato, e quando si sposò con un pastore, morì l’anno successivo, mentre attendeva un figlio. “Jane Eyre” è Charlotte nella sua storia di orfana e di abbandoni. ‘Come sopportare la vita?’ si chiede in una lettera dell’8 gennaio 1854.

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“Vogliate perdonarmi dunque, signore, se decido di scrivervi ancora. Come posso sopportare la vita se non cerco di alleviarne le sofferenze? So che vi spazientirete leggendo questa lettera. Direte ancora che sono un’esaltata, che ho pensieri cupi, eccetera. E sia pure, signore, non cerco di giustificarmi, accetto ogni rimprovero, io so soltanto che non posso, che non voglio rassegnarmi a perdere interamente l’amicizia del mio maestro, preferisco subire i più terribili dolori fisici piuttosto che avere il cuore lacerato da cocenti rimpianti. Se il mio maestro mi priva interamente della sua amicizia perderò ogni speranza, se me ne dà un poco (molto poco) sarò contenta. Felice. Avrò un motivo per vivere, per lavorare.

…Dirò francamente che nell’attesa ho cercato di dimenticarvi, poiché il ricordo di qualcuno che si crede di non dover più rivedere e che tuttavia si stima molto tormenta troppo lo spirito, e quando si è stati vittime di tale inquietudine per uno o due anni si è pronti a tutto per ritrovare il riposo. Ho fatto di tutto, ho cercato di occuparmi, mi sono rigorosamente privata del piacere di parlare di voi anche a Emily, ma non ho potuto vincere i miei rimpianti né la mia impazienza; è molto umiliante non saper dominare i propri pensieri, essere schiave di un rimorso, di un ricordo, schiave di un’idea fissa e dominante che tiranneggia lo spirito. Perché non posso avere per voi soltanto l’amicizia che voi avete per me, né più né meno? Allora sarei tranquilla, libera. Potrei restare in silenzio sei anni senza sforzo.”

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