Dall’ansia alla rabbia. Benvenuti nella “Modernità Esplosiva”

30 Novembre 2025

Perché la rabbia ha invaso la società? Eva Illouz svela nel libro "Modernità Esplosiva" come l'ansia ha lasciato il posto alla furia collettiva.

Dall'ansia alla rabbia. Benvenuti nella "Modernità Esplosiva"

La pazienza collettiva è finita: la rabbia sembra essere diventata l’assoluta protagonista. Siamo entrati nell’era della “Modernità Esplosiva“. È questa la nuova definizione che la sociologa Eva Illouz usa per descrivere il presente, mandando ufficialmente in pensione la “società liquida” teorizzata da Zygmunt Bauman.

Se ieri il malessere dominante era l’incertezza, oggi è la furia. Il passaggio a un’era ad alta pressione spiega perché basta un semaforo rosso o un commento online per scatenare una rabbia sproporzionata. Non è colpa dello stress, ma di questo nuovo clima sociale.

Per decodificare il mutamento, è necessario affidarsi alla sociologia delle emozioni di Eva Illouz contenuta nel saggio Modernità Esplosiva (Einaudi, 2025). Secondo la sociologa , l’epoca in cui l’individuo galleggiava è tramontata. È iniziata una fase storica dominata non più dalla paura, ma dalla pressione.

Dall’ansia della globalizzazione, alla rabbia dell’intimità esplosiva

Per comprendere la portata rivoluzionaria di questa teoria, è necessario osservare come è cambiato il nostro modo di reagire a forze che sono ancora pienamente in atto.

La diagnosi di Zygmunt Bauman resta il punto di partenza imprescindibile, ma va riletta in profondità. Bauman descriveva un mondo in cui le “strutture solide” (il posto fisso, i partiti, la famiglia tradizionale) si erano liquefatte sotto i colpi della globalizzazione. In questo scenario, la società smetteva di proteggere il cittadino e gli diceva: “Arrangiati”. I problemi sistemici (disoccupazione, crisi) venivano trasformati in colpe individuali.

L’individuo “liquido” provava ANSIA perché viveva sotto la minaccia costante dell’esclusione. Si sentiva come un nuotatore in mare aperto, costretto a muoversi senza sosta non per avanzare, ma solo per non affondare. La domanda dominante non era “Di chi è la colpa?”, ma “Cosa ho sbagliato io?”. Era una paura difensiva, interiore, tipica di chi teme di non essere abbastanza flessibile per un mondo troppo veloce.

Con Eva Illouz entriamo in uno scenario diverso. Oggi le regole del gioco non sono solo incerte, sono contraddittorie. L’individuo non è più solo smarrito, si sente in trappola. Da un lato, la società iper-capitalista e tecnologica lo stimola continuamente a “volere di più” (più successo, più bellezza, più esperienze). Dall’altro, la realtà materiale (crisi, precariato, disuguaglianza) gli impedisce di ottenerlo.

Questa frizione non genera più ansia (che è paura dell’ignoto), ma RABBIA (che è reazione all’ostacolo). L’individuo contemporaneo è arrabbiato perché percepisce una dissonanza cognitiva insopportabile: gli viene detto che è libero e onnipotente, ma vive un’esperienza quotidiana di impotenza e limitazione. La rabbia è l’energia di chi si sente truffato da una promessa di felicità che il sistema vende ma non consegna.

L’antropologia del “Troppo”: le 3 micce della rabbia

Ma cosa c’è, esattamente, dentro questa pressione che ci fa scoppiare? Nel libro, Eva Illouz analizza chirurgicamente le dinamiche del capitalismo emotivo, scomponendo l’esplosione in tre componenti specifiche:

1. Il tradimento della libertà: la frustrazione

Il primo innesco della rabbia è, secondo Illouz, la percezione di un’ingiustizia strutturale. La modernità impone di essere autonomi e liberi, ma l’economia e la burocrazia rendono dipendenti e precari. Nel libro, l’autrice spiega che questa furia collettiva non è irrazionale:

Quando l’ira si diffonde cosí rapidamente in un gruppo di persone è perché esprime la percezione che un codice morale è stato violato nella gestione della cosa pubblica e nel contratto sociale che lega i cittadini alle istituzioni che regolano e controllano le loro vite.

L’individuo sente che il contratto sociale che lo legava alle istituzioni si è rotto: gli era stato promesso che, rispettando le regole e impegnandosi, avrebbe avuto sicurezza e benessere. Quando questa promessa viene tradita dalla realtà, la reazione antropologica non può essere che l’esplosione.

2. La dittatura della visibilità: la vergogna

Il secondo punto è forse il più crudele. Illouz spiega che la vergogna non è più solo un’emozione privata, ma è diventata un'”emodity” (da emotional commodity, merce emozionale). Le società contemporanee sono un terreno fertile per quello che viene definito il “complesso industriale della vergogna”: un sistema economico che cresce monetizzando l’inadeguatezza delle persone.

La sociologa sottolinea un aspetto inquietante:

La vergogna […] non è solo l’emozione di quanti deviano da una norma stabilita […] ma può essere sentita anche da chi semplicemente non corrisponde a quello che viene considerato uno standard sociale (ad esempio, le persone in sovrappeso) e, cosa ancora piú sorprendente, da chi è vittima acclarata della violenza altrui.

Che si tratti di non rientrare nei canoni di magrezza, di successo o di ricchezza, la vergogna è funzionale al mercato: l’industria ci fa sentire “sbagliati” (grassi, poveri, soli) per venderci la soluzione. La rabbia che ne deriva è la risposta a questa manipolazione: l’individuo percepisce oscuramente che la sua insicurezza è il profitto di qualcun altro.

3. L’umiliazione in Rete: la gogna orizzontale

Infine, il paradosso più crudele citato in Modernità Esplosiva riguarda la democratizzazione della crudeltà. Se la paura, storicamente, emanava dallo Stato (dall’alto verso il basso), oggi l’umiliazione è orizzontale.

Attraverso pratiche come il doxing, la pornovendetta e il cyberbullismo, la Rete permette a chiunque di distruggere la reputazione altrui. In una società che incoraggia una scrupolosa costruzione della propria immagine, questi attacchi sono devastanti perché colpiscono proprio lì, al cuore dell’identità sociale.

Non si tratta solo di odio. La viralità algoritmica trasforma il giudizio morale in un focolaio di propagazione istantanea. La Rete prende di mira un numero di “deviazioni” sorprendentemente alto: si è passati dall’essere liberi all’essere costantemente sorvegliati e giudicati dai propri pari, in un’esplosione di nuove norme punitive.

Nel cuore della Modernità Esplosiva

Nella prospettiva di Eva Illouz, la “Modernità Esplosiva” non rappresenta un semplice aggiornamento teorico, ma il nome esatto del clima emotivo in cui l’umanità si trova immersa. Non è più una società che scivola, ma una società che comprime. L’individuo non è più disorientato dall’incertezza, come accadeva nella stagione liquida descritta da Bauman, ma è schiacciato da una pressione continua, quotidiana, capillare.

La promessa di libertà illimitata convive con la realtà di vincoli sempre più rigidi; l’invito alla performance si scontra con la sensazione diffusa di inadeguatezza; la celebrazione della visibilità si trasforma in un meccanismo sistemico di vergogna. In una simile cornice, la rabbia non è un cedimento morale, ma il prodotto naturale di un mondo che richiede troppo e restituisce troppo poco.

Per questo motivo, comprendere la “Modernità Esplosiva” significa, prima di tutto, assolvere l’individuo. Non è la persona ad essersi deteriorata, ma l’ambiente emotivo ad essere diventato insostenibile. L’ira che attraversa il presente non nasce da un difetto interiore, bensì dalla collisione tra aspettative illimitate e possibilità reali sempre più ristrette.

Riconoscere questa origine sociale della furia contemporanea offre una chiave interpretativa nuova e liberatoria. La tensione costante che molti provano non è un fallimento personale, ma una risposta coerente a una struttura che genera contraddizioni a ogni livello.

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