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Torino, itinerario alla scoperta dei luoghi di Cesare Pavese

Cesare Pavese ha intessuto un legame indissolubile con la città di Torino. Con questo articolo ripercorriamo un itinerario dei luoghi a lui più cari.

Cesare Pavese scriveva che “Torino è il più bello di tutti i paesi”. E in effetti è indubbio che si tratti di una delle città più particolari e suggestive d’Italia.

Con gli occhi di Pavese, poi, che l’ha abitata con il corpo, con la mente e con il cuore, la capitale sabauda ha acquisito un’aura inedita, che colpisce chiunque si approcci alle opere dello scrittore.

Torino con gli occhi di Cesare Pavese

Una Torino internazionale, in cui i caffè letterari e i portici fanno da sfondo alle riflessioni di alcuni dei più brillanti autori dell’epoca. Una Torino profumata di bellezza crepuscolare, in cui luci e ombre si mescolano, danzando insieme a personaggi che cadono, si rialzano e crescono.

La bella estate“, romanzo vincitore del Premio Strega nel 1950, “La luna e i falò“, “La casa in collina“, “Il diavolo sulle colline“: sono i romanzi di Cesare Pavese che ospitano il magnifico e contraddittorio splendore di Torino.

Ma oltre che essere raccontato nei libri, il capoluogo piemontese è parte integrante del vissuto dell’autore, che sin dall’infanzia vi abita, e che vi orbita per tutta la vita.

Itinerario alla scoperta della Torino di Cesare Pavese

Da Santo Stefano Belbo a Torino

L’itinerario non inizia propriamente a Torino, ma fra Cuneo e Asti, nel cuore delle Langhe. Cesare Pavese nasce il 9 settembre 1908 a Santo Stefano Belbo, un paese che si dipana lungo il torrente Belbo e che l’autore descriveva così nella raccolta “Feria d’agosto“:

“Il mio paese sono quattro baracche e un gran fango, ma lo attraversa lo stradone provinciale dove giocavo da bambino. Siccome – ripeto – sono ambizioso, volevo girare per tutto il mondo e, giunto nei siti più lontani, voltarmi e dire in presenza di tutti: Non avete mai sentito nominare quei quattro tetti? Ebbene, io vengo di là”.

Santo Stefano Belbo non è solo il luogo di nascita di Pavese, ma è anche il centro propulsore da cui parte “La luna e i falò”: è il paese natale di Anguilla, il protagonista del romanzo che, dopo essersi recato in America, decide di tornare nelle Langhe perché si rende conto di essere scappato da una parte di sé.

Le Langhe sono un luogo meraviglioso in cui perdersi e ritrovarsi. Da Santo Stefano Belbo parte il MOM – Multimedia Outdoor Museum, un museo all’aperto che mira a far scoprire i luoghi di Cesare Pavese attraverso cinque itinerari fra Langhe, Roero e Monferrato.

Il liceo e la biblioteca

Pavese non vive un’infanzia felice. Nel giro di pochi anni perde la sorella e i due fratelli maggiori, poi il padre, che muore a causa di un tumore al cervello. Nel 1916, in preda alle ristrettezze economiche e alla malattia di una delle sorelle, il giovane Cesare lascia la casa natia per trasferirsi sulla collina torinese.

Inizia qui, compiutamente, la sua storia d’amore con la città che lo ha accompagnato sino alla morte.

Una delle tappe fondamentali per ripercorrere la Torino di Cesare Pavese è il Liceo Massimo D’Azeglio, che si trova nei pressi di Porta Nuova e che costituisce una delle istituzioni scolastiche più antiche e rinomate della città.

Qui, negli anni Venti e a seguire, transitano alcuni degli intellettuali più influenti dell’epoca. Cesare Pavese conosce l’antifascismo e inizia a orbitare attorno a una cerchia di amici che segneranno per sempre il suo destino: Leone Ginzburg, Massimo Mila e Giulio Einaudi, con cui spesso si reca alla Biblioteca Civica, una delle biblioteche più importanti d’Italia, luogo dove Pavese ha inaugurato la sua passione per la scrittura.

Casa Einaudi 

Dall’incontro con Giulio Einaudi nasce il sodalizio più importante della carriera di Cesare Pavese: quello con la casa editrice Einaudi che, sebbene oggi sia molto diversa rispetto a quando è sorta, conserva negli intenti e nella memoria lo spirito antico che Cesare Pavese ha conosciuto prima di noi. Un luogo, fisico e ideale, in cui si respiravano libertà e cultura, ma soprattutto voglia di fare, di rendere il mondo un posto migliore.

In Via Umberto Biancamano, Pavese si occupa dapprima della rivista La Cultura e della sezione etnografica, per poi passare a dirigere la redazione romana e quella torinese nel momento in cui la casa editrice si allarga ad altre città.

I caffè letterari e le osterie

La Torino di Cesare Pavese è una città affascinante ma decadente. Un posto in cui la rivoluzione industriale ha modificato rapidamente il volto dell’urbanistica e delle persone, che si è integrato con il tessuto preesistente. Il rapporto con il capoluogo sabaudo vive di contrasti. Lo descrive bene un estratto di “Feria d’agosto”:

“La città semivuota mi pareva deserta. Il gioco dell’ombra e del sole l’animava tanto, ch’era bello fermarsi e guardare da una finestra sul cielo e su un ciottolato. Sapere che oltre alla luce e all’ombra fresca c’era qualcosa che mi stava a cuore e rinasceva col sole e affrettava la notte, dava un senso a ogni incontro che avvenisse su quelle strade. C’erano gli alberi che bevevano il sole, c’erano i gridi delle donne, c’era un grande silenzio. Uscivo dalla stanza presentendo altri sentori e la frescura della sera. Potevo guardare e amare ogni cosa”.

Pavese si affacciava dalla sua dimora, sita in Via Alfonso Lamarmora, e osservava il flusso del passeggio, ascoltava il vociare dei passanti.

Poi, nel tempo libero, si recava nei suoi caffè letterari preferiti, che pullulavano di gente e di idee: il Caffè Fiorio, il Caffè Platti e il Caffè Elena sono luoghi in cui ancora oggi si respira l’atmosfera della Torino di un tempo. Merito degli allestimenti d’epoca, ma anche di una certa magica aura che ancora si percepisce attorno ai tavolini dove Cesare Pavese si accomodava e scriveva per ore sorseggiando una bevanda.

E le osterie, dove l’autore amava sostare per rifocillarsi insieme agli amici e in cui anche oggi si possono gustare i piatti della ricca tradizione piemontese: “Le tre galline” è ancora un’istituzione a Torino.

Fra i passatempi preferiti dallo scrittore c’era anche il cinema: Pavese si recava spesso al Cinema Massimo, situato vicino alla Mole Antonelliana, dove all’epoca venivano proiettate le pellicole americane di maggior successo.

L’Hotel Roma

In Piazza Carlo Felice termina l’itinerario alla scoperta dei luoghi della Torino di Pavese. Nella stanza 346 dell’Hotel Roma, il 27 agosto 1950, lo scrittore decide di togliersi la vita assumendo una dose letale di barbiturici.

L’autore, vincitore del Premio Strega, autore di prose e poesie senza eguali, non sopporta il peso dell’esistenza. Abbandona il suo corpo dopo aver scelto di non scrivere più. Ma ci lascia un’eredità senza fine, che ancora aleggia su Torino e sui luoghi da lui frequentati.

La stanza dove è stato rinvenuto il corpo di Cesare Pavese conserva l’aspetto e gli arredi dell’ultima notte della sua vita.

 

 

 

 

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