Lo studiamo a scuola e poi spesso ce ne dimentichiamo, convinti che sia una lettura astrusa e complessa. “I Promessi Sposi”, invece, è un romanzo ricco di bellezza, di spunti di riflessione e di motivi che lo rendono attuale ancora oggi.
In esso, attraverso la chiave del romanzo storico, Alessandro Manzoni ha condensato i valori più importanti per l’umanità, ricordandoci che l’amore vince, sempre, e che se si è giusti, coraggiosi e sinceri, non c’è male che non si possa sconfiggere.
In questo articolo andiamo alla scoperta di 3 luoghi che hanno ispirato questo capolavoro della letteratura italiana.
3 luoghi che hanno ispirato “I Promessi Sposi”
L’addio ai monti, dal rione di Pescarenico
Fra le sequenze imprescindibili da studiare quando si comincia ad approcciare “I Promessi Sposi” a scuola figura il celebre Addio ai monti, il momento in cui Lucia realizza di dover lasciare casa e saluta con commozione i luoghi amati e familiari. Questa parte iniziale del romanzo sembra quasi una ripresa al rallentatore che dal generale arriva al particolare, che dalla natura maestosa scende sino all’umile umanità di Renzo e Lucia.
Il luogo che ha ispirato alcune delle pagine più belle della letteratura italiana è Pescarenico, un rione di Lecco che ancora oggi conserva il fascino del posto che ha così tanto colpito Alessandro Manzoni.
È un borghetto situato sulla riva sinistra del fiume Adda, che da sempre ha ospitato una nutrita comunità di pescatori. Gli abitanti del posto si sostentavano quasi esclusivamente grazie al pescato, che di giorno in giorno veniva portato al mercato.
Le casupole e le strade strette e tortuose caratterizzano ancora oggi il piccolo borgo, che nel frattempo si è arricchito di edifici più moderni ma che ancora, per certi versi, conserva la sua anima antica: in una zona del fiume particolarmente ricca di fauna, le barchette colorate si muovono ancora armoniosamente, e nella bella stagione si avvicendano serate danzanti, eventi sportivi e banchetti conviviali in occasione della sagra di paese.
A Pescarenico, che è anche l’unico luogo lecchese esplicitamente citato all’interno dei “Promessi Sposi”, si trovano i resti di quel convento dei cappuccini in cui abitavano Fra’ Cristoforo e Fra’ Galdino, all’interno del cortile della Chiesa dei SS. Materno e Lucia, in piazza Fra’ Cristoforo.
Il Castello dell’Innominato, nella Valle di Somasca
Ci spostiamo in un luogo più periferico rispetto a Lecco per seguire le tracce di chi muove le fila dell’intricato ordito di questa storia. È l’Innominato, quell’uomo potente, solitario e misterioso di cui non si possono pronunciare nome e cognome. Personaggio complesso e sfaccettato, ci viene presentato come malvagio complice di Don Rodrigo. Nel corso della narrazione, poi, scopriamo che egli è in preda a una profonda crisi spirituale, e che anche lui fa parte di un disegno più alto, più grande, che coinvolge tutti i personaggi dell’opera.
Prima che l’Innominato venga descritto per la prima volta ai lettori, Alessandro Manzoni racconta la sua abitazione, misteriosa tanto quanto lui, arroccata su un’altura isolata e fredda, quasi a marcare la distanza spaziale e umana del suo proprietario rispetto al resto del mondo.
Non ci sono evidenze certe, all’interno dei “Promessi Sposi”, sul luogo reale che ha ispirato l’autore in questa parte del romanzo. Molti studiosi sono convinti che si tratti di un’altura naturale nella Valle di Somasca, dove già nel XVI secolo sorgeva un castello di proprietà dei Visconti, di cui oggi rimangono il muro perimetrale, i bastioni difensivi e alcuni torrioni. Qui oggi sorge anche una cappella dedicata a San Girolamo, edificata nel 1902.
Dove tutto ebbe inizio, a Olate
Anche in questo caso non ci sono evidenze all’interno del romanzo che possano accertare l’esatta collocazione dei luoghi raccontati. Però, con tutta probabilità, il rione di Olate è il posto che ha ispirato Alessandro Manzoni per l’ambientazione delle abitazioni di Renzo e Lucia, oltre che per la cappella di Don Abbondio e il palazzetto di don Rodrigo.
“Dominato da questi pensieri, passò davanti a casa sua, ch’era nel mezzo del villaggio, e, attraversatolo, s’avviò a quella di Lucia, ch’era in fondo, anzi un po’ fuori. Aveva quella casetta un piccolo cortile dinanzi, che la separava dalla strada, ed era cinto da un murettino. Renzo entrò nel cortile, e sentì un misto e continuo ronzio che veniva da una stanza di sopra. S’immaginò che sarebbero amiche e comari, venute a far corteggio a Lucia. (…) Una fanciulletta che si trovava nel cortile, gli corse incontro gridando: – lo sposo! lo sposo!”.
La dimora di Lucia si troverebbe a pochissima distanza dalla piazza principale dove sorge, invece, la Chiesa dei Santi Vitale e Valeria, che avrebbe ispirato la cappella di Don Abbondio. L’edificio, il cui nucleo primordiale risale al Quattrocento, è stato quasi interamente rimaneggiato in epoca moderna.
“(…) Il palazzotto di don Rodrigo, con la sua torre piatta, elevato sopra le casucce ammucchiate alla falda del promontorio, pareva un feroce che, ritto nelle tenebre, in mezzo a una compagnia d’addormentati, vegliasse, meditando un delitto”.
A qualche km di distanza, sul promontorio dello Zucco, sorge un palazzetto, oggi conosciuto come Villa Guzzi, che ha ispirato molto probabilmente la descrizione dell’oscura dimora di don Rodrigo. Vi si accedeva dopo aver percorso un tortuoso sentiero. Fino al 1938, anno in cui venne ordinato il restauro e l’ampliamento dell’abitazione, l’edificio risultava identico alla descrizione di Manzoni. Si pensa che sia proprio questo il luogo che ha ispirato la casa di don Rodrigo perché è qui che abitavano, un tempo, gli Arrigoni di Introbio, una famiglia di stirpe nobile contro cui gli antenati dell’autore intrattennero una lunga faida.