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Freud, come il trauma cambia la nostra percezione del mondo

Quando tutto questo sarà finito, come potrà rimarginarsi una ferita così profonda? Per comprenderlo, ci affidiamo al pensiero di Sigmund Freud, di cui oggi si ricorda la nascita avvenuta il 6 maggio del 1856

Gli shock dovuti alla guerra o a eventi traumatici come attentati terroristici, catastrofi, o nel nostro caso una pandemia, vengono oggi definiti forme di stress post traumatico. Dobbiamo questa classificazione al padre della psicanalisi Sigmund Freud, che negli anni del primo dopoguerra si occupò di studiare le nevrosi dei reduci di guerra. Si tratta di un argomento scottante, che, alla luce dei recenti avvenimenti, torna a sollevare drammatici interrogativi sulle trasformazioni che il trauma provoca in coloro che ne sono toccati. 

Pensiamo, soprattutto, alle aree più colpite dal virus, dove un’ondata di morte e dolore si è abbattuta nel giro di poche settimane. Pensiamo a quella processione di bare che lascia la città di Bergamo sugli automezzi militari. O a tutti coloro che per settimane hanno lavorato senza sosta negli ospedali, nei laboratori, negli obitori, in una corsa contro il tempo che si è impressa nei loro visi stanchi e, a volta, quasi rassegnati. Quelle immagini si sono scolpite nella storia e non abbandoneranno le nostre menti ancora per molto tempo. Come saremo trasformati da tutto ciò? Come potrà rimarginarsi una ferita così profonda? Per comprenderlo, ci affidiamo al pensiero di Sigmund Freud, di cui oggi si ricorda la nascita avvenuta il 6 maggio del 1856. 

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Quali sono le conseguenze del trauma sulla psiche

La guerra, come la pandemia oggi, aveva messo in discussione l’identità psicologica delle persone che si riversavano sul fronte della battaglia. Nelle lettere e nei taccuini dei soldati emerge spesso la considerazione che alla fine della guerra le persone non sarebbero state più le stesse. Infatti la guerra non era ancora finita che già gli psicanalisti, in un congresso tenutosi a Budapest nel settembre del 1918, discutevano di un problema medico che era emerso curando i soldati al fronte: la nevrosi di guerra. Allo stesso modo, oggi ci chiediamo come cambierà il mondo, una volta che tutto questo sarà finito. Ma anche come saremo cambiati noi, le nostre abitudini, la nostra concezione della vita. C’è chi intravede nelle pieghe dell’avvenire una piccola e auspicata rivoluzione del nostro modo di vivere, i più cinici, invece, sostengono che nulla cambierà e che – anzi – saremo forse soltanto peggiori. 

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C’è un conflitto preesistente dentro ognuno di noi

Sigmund Freud lascia alcune considerazioni importanti nell’introduzione al libro Psicoanalisi delle nevrosi di guerra. Le nevrosi di guerra sono nevrosi traumatiche, facilitate da un conflitto preesistente nell’Io. Nella condizione traumatica della guerra l’Io avverte un pericolo per se stesso, provocato da un nuovo Io, che lo pone di fronte alla morte. Da questo nemico interiore si difende rifugiandosi in una nevrosi traumatica.

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Vivere come in trincea 

Era solo la paura della morte a scatenare la nevrosi? Molte testimonianze lasciate dai soldati sui diversi fronti parlano chiaro: le trincee erano spazi angusti, stretti, ma sono anche l’unico posto in cui sentirsi un po’ più al sicuro. Un po’ come lo sono le nostre case in questo periodo. Talvolta avvertite come piccole e soffocanti, sono anche il nostro rifugio dal virus, dalla paura del contagio e della morte. La trincea diventa, in tal senso, un mondo a se stante: la quotidianità è stravolta, il senso del tempo si diluisce nell’attesa, nel succedersi infinito del giorno e della notte. La trincea diventa così l’unico mondo possibile e la paura di uscire, di esporsi alle minacce che vivono al di fuori di essa, si acuisce, man mano che il tempo passa. Non è forse lo specchio di quello che stiamo vivendo?

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