Fase 2. In realtà è una fantasia rarefatta quella dei passaggi, delle fasi, dei tempi, perché il virus è un soggetto impalpabile e ancora molto sconosciuto. La Fase 2 rappresenta una necessità sociale ma non corrisponde veramente a quello che effettivamente è nella testa della collettività.
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La Fase 2 diventa la sintesi perfetta delle illusioni, le parole magiche che assomigliano ad un placebo, necessarie per far vedere che c’è un orizzonte. Essa è indispensabile per far uscire il nostro mondo dalla solitudine mentale, ma anche dalle informazioni necessarie per poter gestire il presente e consentire almeno a livello magico di pensare di avere un futuro. Il mondo che conoscevamo vorremmo ancora guardarlo con occhi positivi, anche se il covid sta mettendo in luce la nostra follia, la voracità del nostro vivere passato. Quello che ha distrutto le foreste, contaminato il mondo, tagliato alberi, in nome del profitto.
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Oggi vorremmo uscire per vivere ciò che eravamo, un’ansia tale da contare i giorni e i minuti in cui potremmo uscire per poter sentirci apparentemente liberi. I meccanismi che dobbiamo affrontare in questa Fase 2 sono complessi, non sempre comprensibili alla coscienza. Eccone alcuni.
Ansia di uscita
Più l’attesa è forte, più il contenimento è stato causa di sacrifici economici e morali, più l’angoscia è stata il filo conduttore di questi mesi. Allora l’idea di un’apertura qualsiasi, di un metro, 100 metri, 100 chilometri, porta l’irrequietezza. Un nervosismo incontenibile che caratterizza questa Fase 2. Attendere il 4 maggio o il primo giugno è irrilevante. Troppe aspettative, è chiaro, sarebbero da evitare, per non dover vivere la difficoltà di guardare il mondo che sta fuori come un deludente pericolo.
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Difficoltà a ritrovare i propri confini
Con la Fase 2 arriva la difficoltà di capire quali siano i confini, espansi dopo aver vissuto un periodo di chiusura. Il riappropriarsi di un controllo minore può caricare l’individuo di paure irrazionali, ansia di prestazione, perdita del desiderio, difficoltà a riappropriarsi di ciò che era il prima. Così si rischia di non vedere il cambiamento come possibile e positivo.
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Difficoltà di orientamento
Dopo la degenza, la permanenza coatta, dopo un periodo lungo in cui si è stati chiusi in spazi limitati e definiti, è anche l’orientamento a essere manomesso. Dovremo fare i conti con il senso di smarrimento, una perdita parziale delle cognizioni elementari. Uscendo, potremmo provare un senso di inutilità, di paura, potremo avere la sensazione della delusione e della precarietà nel fare ciò che ci sembrava indispensabile: correre, camminare, salutare, abbracciare, poter prendere l’auto e trovare qualcuno di caro. Anche i sentimenti, quelli pensati e sognati in questi mesi, potrebbero diventare quasi inutili.
Angoscia di contaminazione
E’ l’angoscia di contaminazione ciò che ci stupirà maggiormente. Non abbiamo potuto abbracciare, ma in realtà non riusciremo nemmeno più a farlo. E’ la minaccia del virus ad aver costruito un muro di reticenze e di sospetti tra noi e gli altri. Passerà solo quando avremo la certezza che il virus non ci sarà più. La Fase 2 non ci restituirà nulla di ciò che avremo perso. Ci lascerà interdetti e smarriti senza la capacità reale di sapere se potremo ridefinirci, o se improvvisamente saremo costretti a fuggire nuovamente nelle nostre tane.
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Rimozione, rifiuto delle regole
Riguarda tutto il comparto negazionista, complottista. Sono gli esasperati del rifiuto, quelli capaci di costruirsi un’idea su tutto e su niente. E’ il tempo dei truffatori, quelli che sottomettono gli ingenui, che escono senza mascherina e invitano amici a fare il barbeque. Ci sono quelli che truffano nei tempi di disaffezione sociale, quando il controllo si sposta solo sulla sanità, dimenticando il resto.
Uscire a piccoli passi
La fase 2 sarà un momento complesso, un passaggio border line tra il reale e il paranoico, tra il possibile ed il liberatorio. Fase 2, fase 3 e così via: in realtà non siamo pronti per fare né grandi né piccoli passi. Vorremmo svegliarci, come in un sogno, e scoprire che tutto è rimasto come prima. Perché fare i passi lenti ci obbliga, ancora una volta, a fare fatica, ad avere chiaro il senso di responsabilità, capire quanto siamo soli a doverci aiutare ad attraversare il fiume della paura. Con calma, con sogni equilibrati, usciremo a piccoli passi, con il respiro lungo, gli occhi aperti ed il coraggio nel cuore.
Vera Slepoj (estratto da Il Mattino di Padova)