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Selfie mania. Ecco cosa si nasconde dietro i selfie degli adolescenti

Continua la rubrica di Matteo Lancini, noto psicoterapeuta, che oggi prova a spiegarci cosa si nasconde dietro l'ossessione degli adolescenti per i selfie

«Siamo l’esercito dei selfie, di chi si abbronza con l’iPhone», recitava una canzone di successo dell’estate di qualche anno fa. Il selfie è diventato una nuova modalità di fotografare, diffusa tra giovani e meno giovani. Non si tratta di un semplice autoscatto. Ma del tentativo di documentare in tempo reale la vita del protagonista, promuovendola tra un vasto numero di destinatari virtuali. Un fenomeno che rientra nell’ormai diffusa socializzazione del privato. Aspetti anche molto personali della quotidianità diventano social.

Selfo ergo sum

La funzione affettiva attribuita alla rete, che garantisce contatto, vicinanza e condivisione con la propria cerchia di amici, contribuisce a travalicare il senso del pudore. Tutto ciò si colloca nella più ampia cornice della società del narcisismo. Ogni bisogno espressivo è implicitamente legittimato. Il motore dei processi creativi e artistici non è più la sublimazione della colpa ma il bisogno di sviluppare, far crescere e realizzare il Sé. L’esperienza immortalata nell’autoritratto diventa degna di essere vissuta se riconosciuta e apprezzata dallo sguardo dell’altro. La moda dei selfie ben testimonia la fragilità umana odierna e il bisogno di ammirazione. Per gli adolescenti del nuovo millennio, incitati a cercare la strada del proprio successo personale, l’esplosione dei selfie rivela la paura di non essere visti e di essere dimenticati.

Morire di popolarità

L’espressione più radicale è quella dei selfie estremi. Azioni di questo tipo vengono erroneamente interpretate come segnale trasgressivo o di onnipotenza. La sfida al limite esiste da sempre in adolescenza. Ed è strettamente legata al compito di mentalizzazione del corpo e delle sue nuove dotazioni. Tuttavia sono i ragazzi più fragili e vulnerabili che più di altri ricercano, e mettono in scena, azioni eclatanti, gesti estremi, dove il bisogno di ottenere visibilità e ammirazione prevale sulla propria incolumità. Tutto, pur di ottenere popolarità e successo tra i militanti della rete.

Disagio e sperimentazione

Sintetizzando, possiamo inquadrare l’utilizzo dei selfie in adolescenza come uno dei due estremi di un continuum. Un continuum in cui da una parte ci sono ragazzi talmente in difficoltà con il proprio corpo da chiudersi in casa e non riuscire neppure ad accedere alla rete come territorio di sperimentazione. Mentre dall’altra ci sono ragazzi che sovraespongono la propria immagine in internet, rischiando la propria incolumità fisica o di imbattersi in critiche fonte di profonda umiliazione, mortificazione e vergogna.
Nella fisiologia della crescita il selfie può assumere un significato evolutivo. Contribuisce, infatti, alla costruzione identitaria attraverso la sperimentazione di diverse rappresentazioni di sé, oggi sempre più consegnate alla mediazione di internet. Con cura e dedizione possono essere scelti look originali e nuove connotazioni della propria immagine. Postare selfie di prova in rete prepara all’incontro reale con i coetanei. Lo sguardo di ritorno del gruppo dei pari, misurato con like e followers, affina le proprie competenze nella cura del sé corporeo. La funzione di rispecchiamento che passa attraverso la rete contribuisce alla costruzione dell’immagine di sé all’interno del più generale processo identitario.

Controcultura adulta

La società narcisistica in cui sono cresciuti bambini e ragazzi è stata promossa e sostenuta dagli adulti. Censurare gli adolescenti quando in nome del bisogno di conferme commettono gesti pericolosi, come i selfie estremi, è un’azione tardiva. Bisognerebbe pensare ad un’operazione di controcultura ampia e prospettica, che coinvolga tutta la comunità educante, in grado di proporre alternative alla società dell’apparire, del successo e della ricerca della popolarità al di là di ogni limite.

Matteo Lancini
Psicologo e psicoterapeuta. Presidente della Fondazione “Minotauro” di Milano. Docente presso il Dipartimento di Psicologia dell’Università Milano-Bicocca. Autore di numerose pubblicazioni sull’adolescenza, le più recenti: Il ritiro sociale negli adolescenti. La solitudine di una generazione iperconnessa (Raffaello Cortina, 2019). Cosa serve ai nostri ragazzi. I nuovi adolescenti spiegati ai genitori, agli insegnanti, agli adulti. (Utet, 2020).

Carmen Giorgio
Psicologa e psicoterapeuta. Socia dell’Istituto “Minotauro” di Milano.

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