“Agostino” di Alberto Moravia, alla scoperta dei luoghi del romanzo

11 Luglio 2025

Scopri i luoghi del romanzo "Agostino" di Alberto Moravia e lasciati ispirare dalle avventure del protagonista dell'opera.

Agostino di Moravia alla scoperta dei luoghi del romanzo

Chi ha detto che un romanzo breve non possa contenere l’intero universo interiore di un essere umano? “Agostino“, scritto da Alberto Moravia nel 1943, è la dimostrazione di quanto un luogo fisico possa coincidere con un paesaggio dell’anima. In appena cento pagine, lo scrittore romano costruisce una vera e propria topografia del passaggio dall’infanzia all’età adulta: ogni spiaggia, barca, fiumiciattolo o stanza, è una soglia, una ferita, una prova.

“Agostino” di Alberto Moravia: viaggio nei luoghi dell’anima

Adesso vogliamo portarvi in un viaggio diverso: non una rilettura filologica, ma una passeggiata nei luoghi chiave di Agostino, per scoprire come Moravia abbia saputo trasformare il paesaggio marino in un laboratorio di sentimenti, contraddizioni e desideri inespressi.

Il bagno Amerigo Vespucci: l’illusione dell’infanzia dorata

Tutto comincia in uno stabilimento balneare dall’altisonante nome: Amerigo Vespucci. È lì che il giovane Agostino, tredici anni, trascorre le vacanze estive in compagnia esclusiva della madre. Le giornate sono scandite da rituali quasi aristocratici: bagni al mattino presto, pattino, giochi, confidenze. Il bagno è il regno della complicità materna, ma anche della dipendenza. È un luogo ovattato, borghese, protetto. Finché, come spesso accade, qualcosa si rompe.

L’arrivo di un uomo, Renzo, spezza l’equilibrio tra madre e figlio, e con esso l’idillio del bagno. Agostino, da principe viziato, si sente improvvisamente escluso. E lo stabilimento, prima regno incantato, diventa teatro di esclusione e gelosia. È la prima trasformazione dei luoghi: la fine dell’infanzia si riflette nel mutamento del paesaggio.

La spiaggia libera: il primo contatto col mondo “altro”

Fuori dal recinto dello stabilimento c’è la spiaggia libera. Qui regnano i ragazzi del popolo, le voci scomposte, i corpi impudichi. Agostino li osserva, affascinato e intimorito. Qui incontra Berto e gli altri: giovani sfuggenti, a tratti crudeli, che non conoscono la delicatezza della madre, ma la brutalità della vita. È in questo spazio che Agostino sperimenta l’imbarazzo, il desiderio, l’umiliazione. Vuole essere accettato ma non ha gli strumenti per esserlo.

La spiaggia libera è un altrove: anarchico, ruvido, impuro. Non è più il luogo delle confidenze, ma quello della vergogna. Agostino si vergogna del proprio corpo, della propria educazione, perfino della madre. Ed è proprio in questo imbarazzo che si gioca una delle chiavi più profonde del romanzo.

Il Rio: una frontiera simbolica

Tra il bagno Amerigo Vespucci e la spiaggia libera scorre un piccolo fiume, chiamato semplicemente “Rio”. Non è un grande corso d’acqua, ma un ruscello dalla portata modesta. Tuttavia, la sua funzione simbolica è immensa. Il Rio è un confine, una frontiera, una soglia. Attraversarlo significa abbandonare definitivamente l’infanzia, entrare in un territorio oscuro e indefinito.

È lungo il Rio che Agostino comincia a perdere l’innocenza. Qui si compiono i primi veri tradimenti emotivi, le prime violenze verbali, gli scontri con una realtà che non fa sconti. L’acqua non è più l’elemento giocoso del pattino, ma una corrente che trascina verso una nuova consapevolezza.

La barca di Saro: sospensione e turbamento

Un altro luogo chiave è la barca di Saro, il giovane bagnino. Agostino vi sale con la speranza di trovare protezione, forse una guida. Ma la barca è uno spazio sospeso, dove l’adulto non insegna, non consola, ma confonde. Saro è ambiguo, sfuggente, e l’esperienza con lui e il suo amico Homs è al tempo stesso attrazione e disagio.

Qui Moravia tocca uno dei punti più delicati del romanzo: l’oscillazione tra identità, desiderio, orientamento sessuale. Nulla è esplicito, tutto è suggerito. Ma basta il tono, lo sguardo, l’assenza di guida, a trasformare la barca in una zattera dell’inquietudine. Agostino sente di dover crescere, ma non sa in che direzione.

La casa di tolleranza: soglia mancata

Il culmine della trasformazione passa per un fallimento. Agostino, spinto da una smania di “diventare grande”, tenta di entrare in una casa di tolleranza. È un gesto impulsivo, infantile e disperato: vuole dimostrare a se stesso e agli altri di essere ormai un uomo. Ma viene respinto.

Il bordello non appare mai davvero nel romanzo. È evocato, intuito, immaginato. E proprio per questo diventa ancora più potente: è il luogo proibito per eccellenza, quello a cui non si può accedere senza ferirsi. Agostino resta fuori. E quella porta chiusa dice più di mille pagine: il desiderio non è sufficiente per diventare adulti.

Il ritorno: “Non trattarmi più come un bambino”

Il romanzo si chiude dove era iniziato: al bagno. Ma nulla è più come prima. Agostino ha visto troppo, ha sentito troppo, ha sbagliato troppo. L’ultima scena, in cui chiede alla madre di non essere più trattato come un bambino, è struggente. Non è una vittoria, ma una resa: la fine di qualcosa di irripetibile.

Un romanzo, una mappa

Agostino è molto più di un romanzo di formazione. È una mappa di luoghi emotivi. Ogni spazio, ogni luogo attraversato dal protagonista ha un valore simbolico: il bagno come infanzia, il Rio come soglia, la spiaggia come perdita, la barca come smarrimento, la casa chiusa come limite. È attraverso i luoghi che Moravia racconta l’identità, la classe sociale, il desiderio, il tempo che scivola via.

E noi lettori, ancora oggi, possiamo seguire questa mappa. Possiamo tornare su quelle spiagge toscane, vere o immaginarie, e ricordare cosa vuol dire sentirsi a metà: né bambini né adulti, né dentro né fuori, ma sospesi come Agostino, in un’estate che sa di sale, vergogna e iniziazione.

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