Un tempo l’inizio della scuola era quasi un rito: mi ricordo, piccola alunna alle elementari , la foto di gruppo di tutti gli allievi con grembiule nero e fiocco azzurro e il direttore didattico che enunciava la sua prolusione dell’anno scolastico che cominciava , per tutti , il primo ottobre con le campagne già vendemmiate e il profumo di castagne alle porte.
Oggi le lezioni iniziano alla spicciolata verso la metà di settembre , ma l’inizio vero dell’attività didattica è nei primi giorni del mese o anche prima con quella riunione plenaria chiamata collegio docenti che i non addetti ai lavori percepiscono come noiosa , verbosa e anche un po’ inutile. Come quasi tutta la terminologia in uso nella scuola che, a chi non mastica didattichese, suona conservatrice e ostica e sembra essere difficilmente esportabile nel mondo di fuori. Ma non solo la lingua , anche tutto ciò che si immagina succeda e operi all’interno della scuola ha, in qualche modo, un sapore e un colore un po’ retrò: basti pensare a come è rappresentata in molti film italiani la figura del docente con vestiti sempre fuori moda e utilitarie perennemente ammaccate. In realtà , i tempi nuovi sono arrivati anche da noi- digitalizzazione, efficienza e dinamismo –però il primo giorno di scuola è rimasto immutato con attese, speranze e molta poesia, almeno per me.
Ci attendono nuovi sguardi attenti e curiosi, nuove persone, nuove intelligenze. Il primo giorno è sempre così: un atmosfera silenziosa e solenne ed occhi vivissimi che scrutano te, professore, e attendono che tu racconti qualsiasi cosa, perché sei un grande affabulatore, un narratore, una persona che ammalia con le storie e con la voce, aldilà di ogni nuova tecnologia. Ad ogni inizio anno mi accorgo di quanto sia importante questo primo momento di contatto e di quanto sia fondamentale il tono giusto, la battuta che sdrammatizza, il disegnare con le parole mondi nuovi fantastici o passati irripetibili. Loro sono lì ed ascoltano, giovani adolescenti, e ancora non sono distratti da ciò che accade fuori; poi verrà il tempo della lezione, dei compiti in classe e della noia, anche, ma il primo giorno di scuola è tutto nel piacere, quasi leopardiano, dell’attesa per loro e per noi, che qualunque carattere ci troviamo di fronte allegro o malinconico, capriccioso o grave, vivace o modesto, vi leggiamo quell’aria d’innocenza, di ignoranza completa del male e delle sventure, capace di darci un’idea di cosa possa essere la felicità.
Questo bellissimo momento di sospensione però non avviene sempre e dovunque. Ho avuto l’occasione e la fortuna di insegnare in una scuola pubblica a New York qualche anno fa e ricordo bene il primo giorno di scuola. Insegnando italiano come lingua straniera, avevo predisposto per ogni banco un fiocco tricolore: là ha molta importanza l’allestimento degli spazi della classe. Quando sono entrati gli studenti, hanno subito strappato i fiocchi e si sono messi a parlare tra loro, senza rivolgermi alcuna attenzione, attenzione che sono riuscita, solo in parte, a conquistare nel corso dell’anno, con molta fatica e senza alcuna poesia. Sono stati anni, quelli passati nelle scuole americane, molto importanti e formativi per me, perché, da lontano, ho compreso bene vizi e virtù della nostra scuola. Soprattutto ho capito quanto le nostre doti di leggerezza e ironia, alla maniera di Calvino, siano gli strumenti più adatti per descrivere il mondo ai giovani adulti di domani, già il primo giorno di scuola.
Alessandra Pavan