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Zoe – Racconto di Béatrice Castelli

Ma cos’è questo rumore? Fatelo smettere per favore! Che accidenti succede? Perché questo frastuono assordante?! Attenta Zoe! Fermati! No, Zoe, non piangere, parlami!
Uno schianto infernale, oh Dio! frantumi dappertutto…La testa, il cervello, e poi…l’anima…e quella sua mano protesa a riprendere…ma a riprendere che cosa, Zoe?
La sua anima? la sua lurida dignità?…

Affacciato alla balaustra, Patrick urla tutto il suo sconcerto, il suo grido rimbomba lungo l’anima delle scale fin dentro la sua.
La paura tremenda che lei non voglia più sentirlo si fa insopportabile. Ha il cuore in gola e il terrore che gli blocca il respiro. “Aspetta, Zoe!! Noo, nooo, Zoeee!?
Il pavimento del pianerottolo è ghiaccio sotto i suoi piedi nudi. La sensazione di sprofondare in uno stato d’angoscia fatto di mediocrità e di meschinità lo assale ad ogni passo. È sempre così da quando Zoe non c’è più.

Patrick spalanca gli occhi, ha l’affanno, è disorientato, infreddolito. È ancora uncinato a quel lembo di sogno mentre, come ogni mattina, davanti allo specchio che gli restituisce il vuoto desolante dei suoi occhi, indossa meccanicamente l’abito nero, severo; il completo che gli ricorda che non esiste alcuna speranza di ritorno. Quell’abito che gli pesa quanto un delitto. Quell’abito che da due anni lo accompagna fino al cimitero, dove singhiozzi e suppliche restano ogni giorno inascoltati, dove il silenzio gli lascia sempre l’amaro in bocca.
Adesso sì che ricorda! Ben ricorda la tragica figuraccia!
‘Che coglione sono stato!!!’
Singhiozzando pensa a quello che ha fatto. Ricorda il male inflitto alla donna che diceva di amare più di se stesso. Ricorda ancora Zoe, la sua donna, che con furia si precipita giù per le scale, lasciando dietro di sé la scia indimenticabile del suo profumo francese.

Da due anni Patrick si sveglia, oramai, con questa angoscia aggrappata al suo essere; si alza prestissimo al mattino, con addosso l’incubo assillante di sempre. Non ha più progetti, nessun obiettivo concreto per la sua vuota vita futura.
Come ogni mattina, al riaprire gli occhi rivive quella scena assurda: lo scampanellìo alla porta del suo appartamento, lui che spensierato apre e incontra lo sguardo felice di Zoe.
Ė proprio vero che basta un attimo, un soffio a capovolgere la vita. Ecco che dopo aver sentito la voce di un’altra provenire dalla camera da letto, gli occhi di Zoe si riempiono di lacrime e sconcerto prima che lei scappi giù per le scale. Patrick pietrificato sulla soglia d’ingresso, miseramente sorpreso mezzo nudo nell’atto di aprire la porta. Inchiodato lì, sul pianerottolo, nell’intento ridicolo di tenersi l’asciugamano intorno alla vita, mentre con l’altra mano, come staccata dal corpo, avrebbe voluto fermare Zoe. Bloccato nell’attimo in cui tutto il suo essere andava in pezzi, trasudando meschinità da ogni poro. Lui la vide, lei lo vide e questa realtà, in pochi secondi, cambiò per sempre le loro esistenze.
La ricorda benissimo quest’ultima immagine della donna: la sua Zoe. Ne ricorda il corpo perfetto, fasciato da un vestito rosso che rendeva le sue curve ancor più sinuose e attraenti. Zoe con i suoi capelli lunghi, ramati, che all’improvviso si scompigliano nella precipitosa fuga lungo le scale.

Si era alzato presto anche quella mattina, dopo l’ennesima notte infestata da spettri e sensi di nausea.
La sua Zoe non c’era più. Nella sua mente echeggiava ancora il pianto inconsolabile di lei al telefono mentre guidava come una pazza per scappare da lui. Ricorda ancora il suo pianto disperato e poi quel boato, l’atroce silenzio della fine.
Zoe si fidava, di Patrick e del loro rapporto. Nel suo blog aveva scritto, rivolgendosi alle donne in ansia per la paura di perdere l’uomo della loro vita: ‘Donna, non affannarti a voler ‘controllare’ il tuo uomo in tutti i modi, perché mentre tu escogiti un nuovo sistema, lui ti ha già fregato!”
Zoe era una bravissima blogger. Una vera professionista nei problemi e gioie delle relazioni amorose. Tante persone seguivano i suoi consigli, era amata/odiata/ammirata…
Solo dopo il funerale, Patrick seppe che quella terribile sera, Zoe si era rifugiata in quel bar aperto 24/24 sotto casa dove lui faceva colazione ogni mattina.
Il barista leggeva e seguiva con interesse gli articoli di Zoe anche se poi lo scontro sulle opinioni totalmente opposte lo portava spesso a concludere con un: “femminista del c..zz!” seguito dalla solita risposta di commiato di Zoe: “coglione!”.
Il barista raccontò a Patrick che in effetti quella sera Zoe era disperata ma nulla gli aveva detto dell’accaduto.
Invece Patrick, sapeva di aver tradito il loro rapporto, era passato alla categoria degli uomini immondi, di quelli che strisciano nei sotterfugi della loro pochezza esistenziale, sempre indaffarati a star dietro alla finta necessità dei loro spermatozoi di trovare ospitalità in un qualsiasi buco femminile disponibile; di quelli che se ne fregano dei valori essenziali dell’amore: la sincerità, l’onestà il rispetto, il dialogo autentico; di quelli che rispondendo di nascosto a un semplice sms mandano a puttane la preziosa unicità d’ogni vera relazione sentimentale.

A Patrick, così ridicolo e ingessato nel suo triste abito nero, davanti allo specchio, concentrato ad annodarsi la cravatta, riaffiora alla mente la considerazione che Zoe aveva di certi uomini: odiava quelli con al collo la cravatta classica. Per lei era l’orpello che il genere maschile indossa come scudo da sfoggiare in società. La cravatta, biglietto da visita, come muta richiesta di accettazione. Nel suo complicato nodo, secondo Zoe, s’aggrovigliano paure, insicurezze, perverse finzioni. In questo nodo si cela un altro uomo, desideroso di restare nascosto: basta indossarla per illudersi della propria attendibilità e serietà sociale.
Per Zoe sarebbe stato meglio, al contrario, nutrire una sana diffidenza per gli uomini con la cravatta classica. Chi la porta andrebbe scrutato, analizzato come se si volesse farlo uscire da quel groviglio di nodi che strozzano in lui la sua vera identità. Ma poche sono le persone che si assumono il compito, perché in realtà pochi riconosco il sotterfugio. La maggior parte, purtroppo, non diffida di chi indossa questo accessorio. E invece dovrebbe, perché l’uomo con la cravatta escogita e vanta abilità che non possiede, competenze prese in prestito.
Patrick, assorto in questi ricordi ancora così vivi, rimane impalato davanti alla specchiera, s’è perso nella sua immagine, che ormai di reale ha solo quel libro di poesie posato sulla cornice.
Si fissa nello specchio che solo per un magico istante gli lascia intravedere l’uscio misterioso e inquietante aperto verso un creato a lui finora sconosciuto. Il regno dove adesso si trova la sua Zoe. Si accorge sbigottito, impressionato, di poter accederci allungando semplicemente la mano. Impaurito la ritrae rendendosi conto che una doppia realtà turba adesso la sua coscienza pervadendo tutto il suo essere. Un universo parallelo, sconfinato, proprio al di là dello specchio. E’ questa la croce da portarsi addosso, un prezzo molto alto da pagare per la commiserazione che fino a ieri lo ha assolto. Oltre la sua immagine riflessa, ora sa che c’è una porta che non vorrebbe mai aprire, per non sentirsi inghiottito da quel mondo che si apre ai confini del firmamento.
Pallido, Patrick tenta di ritrovare qualcosa di sé su questa superficie che oramai rispecchia solo la sua gelida desolazione: la mano che allunga dentro lo specchio per sentirsi ancora vivo arriva solo a toccare la pietra liscia della lapide di Zoe, gli occhi di lei che da quella foto, scattata in un loro momento felice, lo trafiggono con il loro muto e sconsolato “perché?”.

 

Béatrice Castelli

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