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Vacanze romane – Racconto di Fernanda Raineri

L’aria frizzante di fine Agosto sussurrava al tramonto che l’estate si stava allontanando sul treno nostalgico delle stagioni. Lì sulla spiaggia di Fregene, Catherine, guardava il sole calare col suo rosso mantello sul mare e sentiva un sottile dolore calarle dentro l’anima. Era passato ormai più di un anno, dall’amara scoperta del tradimento di suo marito Sam, con una delle sue studentesse e lei non aveva mai smesso di pensarci. Sam le aveva assicurato che era la prima volta e l’aveva supplicata di perdonarlo. Ma Catherine, lo aveva colto in flagrante e gli era rimasta negli occhi e nella mente la scena del suo Sam con quella ragazza, che per età poteva essere sua figlia. Suo marito insegnava lettere all’Università di Chicago, Catherine sapeva che aveva a che fare tutti i giorni con delle giovani ragazze, ma non era mai stata gelosa, aveva sempre avuto piena fiducia in lui. E poi erano talmente  felici insieme… Erano sposati da quindici anni e si erano sempre detti tutto. Se qualcosa nel loro rapporto non andava più, ne avrebbe parlato con lei. Non aver avuto figli, le parve la cosa migliore. Così nessun altro avrebbe sofferto per la loro separazione.
“Una vacanza in Italia”, le avevano consigliato il suo psicanalista e sua madre. Ma quelle vacanze romane non erano riuscite a risollevarle lo spirito, le veniva in mente una poesia di Salvatore Quasimodo, letta sui testi letterari del marito. A lei non era mai piaciuta, ma in quel momento ne sentiva tutto il pathos e il coinvolgimento interiore: -“Ognuno sta solo sul cuor della terra, trafitto da un raggio di sole ed è subito sera”-. Ora quegli anni trascorsi con suo marito, le sembravano solo un attimo di felicità, trafitto per sempre dal dolore del tradimento e dal peso della solitudine.
Mentre continuava a contemplare il tramonto sulla riva del mare, sentì una musica lontana accarezzarle le orecchie: “La vie en rose” la sua canzone preferita. Si voltò verso gli ombrelloni vicini, ma erano già chiusi, la spiaggia era ormai deserta. Le ultime persone rimaste erano lei e il bagnino. Poi si rese conto che quella musica, altro non era che la suoneria del suo cellulare. Solo in quel momento le tornò alla mente che era stato Sam a metterla sul suo telefono, poco dopo il ritorno dal loro viaggio di nozze a Parigi. Sapeva che a lei piaceva tanto – che amore di marito… – pensò ironicamente. “Pronto?” Rispose con un filo di voce. Era sua madre. Voleva sapere sul suo stato di salute, soprattutto mentale. Catherine rispose che stava bene, Roma era la città più interessante che avesse mai visto e quei quindici giorni non erano bastati per vedere tutto ciò che offriva. “No mamma, non ti preoccupare, sto molto meglio, ho conosciuto molte persone in vacanza come me, soprattutto americani. Davvero sto bene. Saluta papà e tutti gli altri, ciao”. Raccolse l’asciugamano e la sua borsa, il bagnino stava aspettando poco lontano che se ne andasse, per chiudere anche l’ultimo ombrellone. La chiusura di quell’ultimo ombrellone, le provocò un guizzo di malinconia. Catherine, pensò che forse, inconsciamente, quella vacanza avesse attenuato la sua apatia. Camminò fino alla fermata dell’autobus e prese la corsa che da Fregene arrivava al centro di Roma.
Scese alla sua fermata, attraversò la strada, svoltò l’angolo che portava in Via G. De Camillis, su cui si affacciavano le finestre della sua stanza d’albergo. Passò vicino a dei cassonetti maleodoranti e le parve di udire il miagolio di un gatto. Si fermò guardandosi in giro, a lei i gatti erano sempre piaciuti. Sentì di nuovo quel miagolio, sembrava provenire proprio dal cassonetto. Ascoltò di nuovo, e il suo cuore cominciò a battere più velocemente quando si rese conto che non era il miagolio di un gatto.
Era un vagito. Sì era proprio il vagito di un bimbo. Si sentiva le gambe molli per lo spavento, e le mani gelate come se fosse stata in pieno inverno. Aprì lo sportello del cassonetto facendo forza con tutte e due le mani e non vide nulla, ma si accorse che qualcosa si muoveva tra alcuni rifiuti ammucchiati per terra. Era il corpicino di una neonata, avvolta in un asciugamano, con il cordone ombelicale non ancora reciso.
Cominciò a piangere copiosamente, come non aveva mai pianto in vita sua, nemmeno per il male che Sam le aveva fatto. Raccolse tremante la bimba, che smise di piangere nel momento in cui se la strinse al petto. Chi poteva aver fatto una cosa simile a quell’esserino indifeso, che ispirava una tenerezza infinita? Mentre non riusciva a smettere di piangere, due passanti si accorsero di lei e di quella piccola creatura. Sifermarono preoccupati, “Signora ma che succede?”, le chiese il signore più anziano, ma appena videro lo stato del neonato e il cassonetto aperto, non ebbero bisogno di attendere la risposta da Catherine. Chiamarono subito il 118 e i carabinieri, che arrivarono velocemente sul posto. Catherine, con la voce rotta, raccontò tutto alle forze dell’ordine. “Per fortuna che stamani c’era lo sciopero degli spazzini, di solito l’estate passano alle 19:00”, disse l’altro signore. “E’ un miracolo” commentò l’altro.
Dall’ambulanza scesero un dottore e un infermiere, che prestarono i primi soccorsi alla neonata, dopo un primo controllo la bimba non sembrava avere particolari problemi. Catherine salì sull’ambulanza e arrivati in ospedale, rimase in sala d’attesa.
Il medico le promise che le avrebbero fatto sapere sullo stato di salute della piccola.
Si presentò a Catherine, dopo circa un’ora, il pediatra di turno il Dottor Carlo Pampanini. Un uomo alto, brizzolato, sulla cinquantina. A Catherine ricordava un po’ George Clooney, belloccio e con molto stile. “Buona sera signora, sono il dottor Pampanini, so che è stata lei a trovare la neonata. Le posso dire che sta bene ed è in perfetta salute. Era affamata, ha fatto la sua bella poppata e adesso è nella Nursery.
Ora dovremo darle un nome, se vuole può sceglierlo lei”. Catherine sentì di nuovo le lacrime salirle agli occhi. “Mi scusi… sono rimasta scossa…” gli disse, asciugandosi gli occhi con la camicetta. Poi si presentò: “Io sono Catherine, Catherine Sash, Sono di Chicago e sono qui in vacanza. Domani dovrei ripartire per tornare a casa ma… dopo ciò che mi è successo… non sono sicura di voler tornare in America. Per quanto riguarda il nome della piccola… mi vengono in mente tantissimi bei nomi… non saprei adesso…” continuò titubante Catherine. “Perché non le dà il suo nome, in fondo è stata lei che le ha salvato la vita”, le suggerì il dottor Pampanini. Il viso di Catherine s’illuminò. “Ne sarei felicissima. Potrei darle il nome Kate. E’ l’abbreviazione del mio”. Darle il suo nome la faceva sentire bene, come se questo,
da quel giorno in poi, potesse proteggere la piccola anche se lei era dall’altra parte dell’oceano. Poi il pediatra le disse che adesso poteva vederla dietro il vetro della Nursery. “C’è stata una gara di solidarietà nella clinica, sia da parte del personale, che delle mamme degli altri neonati. Tutti la vorrebbero adottare”. Sorrise intenerito il dottor Pampanini, mentre Catherine pensava che sarebbe piaciuto anche a lei. La guardò attraverso il vetro, era la creatura più bella che avesse mai visto. Mentre il pediatra parlava delle indagini delle forze dell’ordine, Catherine decise che non sarebbe partita. Sicuramente non prima di sapere che fine avrebbe fatto Kate. “Lei è sposata Catherine?” Le chiese all’improvviso il medico, distogliendola dai suoi pensieri. Catherine non seppe spiegarsi il perché ma rispose con un immediato “si”.
“E lei, è sposato, dottor Pampanini?” Le sembrò naturale porgergli la stessa domanda.
“Non più. Sono separato da diversi anni. Purtroppo il mio lavoro mi porta via molto tempo a scapito degli affetti. Mia moglie ha pensato bene di trovarsi un altro, durante le mie lunghe giornate di lavoro. Uno più presente di me. E’ stata dura, anche perché non me lo ha detto lei, l’ho scoperto da solo… e non me l’aspettavo”. – Che stupida sono stata, perché gli ho detto una bugia, come se dovessi vergognarmi del fatto che mio marito mi ha tradita – pensò Catherine. “Beh, pressappoco siamo nella stessa situazione”. Inventò. “Come?”, chiese confuso il dottor Pampanini. Poco prima Catherine aveva detto che era sposata. Catherine, si schiarì la voce, un po’ imbarazzata, – “ehm… si, nel senso che sono sposata ma… ancora per poco… ecco.
Io e mio marito abbiamo iniziato le pratiche per il divorzio”. “Ah! Capisco…” disse il pediatra abbassando lo sguardo pensieroso. – Penserà sicuramente che sono una cretina – ripensò Catherine sulla sua bugia. A quel punto, ci fu una lunga pausa di silenzio, nessuno dei due sapeva più cosa dire. “Bene. Se mi vuole lasciare il suo numero di telefono, le potrò dare notizie riguardo a Kate nei prossimi giorni, che ne pensa?” Ruppe il silenzio il dottor Pampanini. “Oh… si, la ringrazio ci terrei molto” rispose Catherine tirando fuori dalla borsa un biglietto da visita del suo albergo e scrivendovi sopra il numero del suo cellulare. “Arrivederci Catherine”. Le disse infine stringendole la mano il pediatra. “Arrivederci dottore”. Salutò a malincuore Catherine. “Carlo, mi può chiamare Carlo!” aggiunse lui. “Va bene, allora arrivederci Carlo”. Lo salutò di nuovo Catherine, con gli occhi che le brillavano. Uscì dalla clinica che faceva buio, chiamò un taxi e si fece portare in albergo. Quella sera si rese conto che dal ritrovamento della piccola Kate, non aveva pensato neppure per un attimo a Sam. Eppure solo poche ore prima rimuginava depressa su di lui e il suo tradimento. Pensò che Roma non a caso era chiamata Caput Mundi, la Città Eterna, la Città delle Cupole. Infatti, era una città straordinaria, dove potevano accadere cose straordinarie. Com’era accaduto a lei, proprio il giorno che precedeva il suo ritorno oltreoceano. E tutto questo per lei aveva qualcosa di miracoloso. Forse qualche Santo dalle mura di San Pietro la stava tenendo d’occhio. Si fece una doccia e si fece portare una frugale cena in camera: una caprese accompagnata da un bicchiere di vino dei castelli romani. Appena si fu coricata, chiuse gli occhi e sentì di nuovo la suoneria del suo cellulare, rovesciò le lenzuola e si precipitò a rispondere, “Pronto?” rispose euforica, ma la voce dall’altra parte spense subito il suo ottimismo. “Hallo, Catherine”. Era Sam. “Pronto? pronto? Non sento nulla! Sono in metropolitana”.
Inventò, lì per lì, divertita e poi riagganciò, spegnendo definitivamente il cellulare. Si sdraiò di nuovo sul suo letto, pensando a come aveva reagito il suo cuore al pensiero che al telefono fosse Carlo e con questo pensiero si addormentò. Nonostante le vicissitudini della giornata, trascorse una notte di dolce riposo. Si svegliò persino di buon umore, come non le succedeva da tanto. Erano le 10:00 – Mio Dio, ma come ho fatto a dormire così tanto – si chiese guardando la radiosveglia. La prima cosa che fece fu quella di accendere il cellulare. Notò che vi erano tre chiamate perse. Due erano delle 23:30 ed erano di Sam. La terza era di quella mattina e le procurò uno sfarfallio di felicità al cuore: era di Carlo. Poi lo sfarfallio, fu seguito da un senso d’angoscia – e se avesse chiamato per dirmi che Kate non sta bene – si preoccupò.
Allora decise di chiamarlo subito. “Buon giorno Catherine”. Rispose immediatamente Carlo, che aveva riconosciuto il suo numero. “Buon giorno Carlo, ho visto la tua telefonata…” “Sì, ti ho chiamata per dirti che Kate ha passato una notte tranquilla, si è solo svegliata per le poppate. Adesso è nella sua culla che sta scalciando serena”.
“Sono proprio felice, Carlo, vorrei tanto cullarla tra le mie braccia per farle sentire tutto l’affetto che provo per lei”. “Ascolta, Catherine, volevo inoltre chiederti se hai già fatto colazione e…” Catherine non lo lasciò finire : “no… mi sono svegliata da dieci minuti, il tempo di farmi una doccia e sono pronta”. “Benissimo, allora ti aspetto qui alla caffetteria della clinica, ciao”. S’infilò il miglior vestito che aveva messo in valigia e un paio di Chanel e volò come il vento verso il pediatrico. Carlo la stava aspettando poco lontano dall’entrata e le venne incontro. “Ciao, oggi hai un’aria più rilassata e serena rispetto a ieri sera”. “Effettivamente si, sto molto meglio” gli disse radiosa. Fecero colazione e mentre ognuno raccontava all’altro la storia della propria vita, come due persone in confidenza da anni, Catherine confessò a Carlo che avrebbe tanto voluto fare domanda d’adozione per Kate, ma il fatto che in quel momento fosse single le toglieva ogni possibilità. Carlo la guardò negli occhi per un lungo momento, quasi volesse trasmetterle telepaticamente ciò che stava pensando,
poi le disse: “Vieni andiamo a trovarla”. Salirono al piano di sopra e Carlo entrò nella Nursery seguito da Catherine. Kate era sdraiata sul fasciatoio. Un’infermiera l’aveva appena lavata e cambiata. Carlo la prese tra le braccia, la tenne pochi minuti vezzeggiandola. “Guarda com’è tranquilla, lo sa che le vogliamo bene”, disse porgendola a Catherine, che già stava combattendo per ricacciare indietro le lacrime.
La prese in braccio e la guardò teneramente. “Piccolo tesoro, adesso sei al sicuro sai?
Ci sarà sempre chi si prenderà cura di te”. Così dicendo i suoi occhi incontrarono di nuovo quelli di Carlo, che brillavano commossi. Catherine pensò che loro tre insieme, rappresentavano l’incontro di tre solitudini. Quella circostanza, ne era sicura, non era avvenuta per caso. La tenne tra le braccia, finché Kate non si addormentò, allora l’infermiera la ripose nella sua culla. In silenzio si avviarono verso l’uscita, poi Carlo, prima di salutarla, le prese una mano per trattenerla ancora pochi minuti. “Ascolta Catherine, alle 17:00 finisco il mio turno, ti va di fare un happy hour verso le 18:30
con me? Conosco un locale molto carino vicino alla Fontana di Trevi”. “Certamente”, disse senza esitazioni Catherine. “Carlo qual è la tua canzone preferita?” gli chiese. Carlo rispose: “L’immensità, una canzone che piaceva tantissimo a mia madre, e che ho messo come suoneria sul mio cellulare”. “Adesso piace anche a me. La metteresti anche sul mio telefono? Grazie” e così dicendo Catherine gli porse il suo cellulare.
Carlo rimase stupito da quella richiesta “sicuro, te lo restituisco stasera, vengo a prenderti in albergo alle 18:00 in punto, ok?” “Perfetto” rispose Catherine. Catherine ritornò in albergo, felice e frastornata dalle sensazioni che provava dentro di se. Non sentiva più quel senso di vuoto e d’abbandono che si era portata appresso per tanto tempo a causa di Sam. Una nuova vita l’attendeva, ne era certa, e Kate e Carlo ne erano la prova.
 

Fernanda Raineri

 

 

 

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