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Ufo Robot – racconto di Daniele Bianchi

Quella sera il cronista del telegiornale era stato più cruento del solito e le notizie lette in tono professionale, avevano ulteriormente inacidito il sapore dell’aranciata che accompagnava la cena.
“Forse ha ragione Giacomino: dovremmo a guardare i cartoni animati”, mormorò la donna servendo una seconda porzione di spinaci al marito.
L’uomo prima di risponderle spruzzò una nevicata di formaggio sulla verdura tanto osannata dal marinaio, le cui braccia mostravano i tatuaggi di due vistose ancore nere.

“I bambini alle otto e mezza devono essere a letto se si vuole che la loro crescita non subisca dei traumi e lui non fa eccezione, anche se è il nipote di una pediatra”.
“Hai ragione amore, ma oggi è venerdì e un po’ di sano divertimento non gli farebbe male. Vedi caro ho come la sensazione che ci siamo così tanto abituati a questa quotidiana overdose di dolore, da non provare più emozioni e questo è sbagliato, perché vuol dire che siamo diventati cinici”, sospirò lei afferrando una mela rossa come il peccato.
Il babbo di Giacomino non rispose nulla. Aveva ben altri grattacapi per la testa.
Il nuovo direttore durante l’ultima riunione se l’era presa col personale a detta di lui troppo sentimentale, mentre con certi clienti serviva un pugno di ferro, un cuore di ghiaccio e un pelo sullo stomaco simile a quello dello Yeti (quel burbero bancario amava il freddo e buio dell’inverno).
“Da lunedì sarò una persona integerrima, priva di sciocchi sensi di colpa e di sdolcinate fantasie”, pensò addentando il frutto che la sua consorte gli aveva pelato, affettato e pazientemente messo sotto al naso.

“Amore ti sto parlando da mezz’ora ma tu non sei qui con me”, borbottò la donna alzandosi per andare a preparare il caffé.
L’uomo sbuffando abbandonò la tavola e si accoccolò sul morbido divano costatogli un patrimonio perché c’era lo sport.
Giacomino nel frattempo fissava il soffitto della sua cameretta, che la lampada regalatale dalla nonna aveva reso stellato come un cielo estivo.
“Non capisco perché a papà non piaci”, sospirò accarezzando la testa al peluche robotico dalle lunghe corna dorate.
“La mamma dice che lavora troppo. Quando torna a casa è stanco per giocare con me e non sopporta il rumore che fanno le tue armi durante e combattimenti galattici: eppure senza di esse come potresti sconfiggere i cattivi?”.

Il pupazzo lo fissò inespressivo dal cuscino.
“Se solo potessi parlare chissà quante cose mi racconteresti. Com’è il cielo visto da vicino? Quello della nonna è bellissimo, ma non può certamente competere con il tuo”, sospirò rattristato.
“Se solo potessi parlare dovresti dire al mio papà di giocare con me perché si è piccoli una volta sola nella vita e di guardare i cartoni animati che sono tanto istruttivi”.
“Ma tu non puoi parlare ed io ti voglio bene lo stesso”, aggiunse affettuoso.
Con un sonoro sbadiglio sorrise sdentato all’amico peloso ed abbracciandolo si addormentò.

Alla mattina non venne svegliato dalla madre come al solito, ma da suo padre che aveva una strana luce negli occhi.
“Alzati Mimo”, esclamò lasciandolo basito, giacché era da tanto tempo che non lo chiamava così.
“Dopo colazione andremo in bicicletta nel parco. E’ una bella giornata e l’aria aperta è salutare per i bambini”.
Giacomino saltò giù dal letto come un grillo e lavatasi la faccia, indossò la maglietta, i pantaloncini e poi volò in cucina dove l’aspettava la mamma.
“Non guardarmi così gli disse lei, mentre lui sgranocchiava un biscotto al cioccolato e la fissava interrogativamente.
“Credo sia tutta colpa dell’incubo che ha avuto stanotte, perché non può avere visto veramente un disco volante atterrare nel giardino dei vicini”, aggiunse facendogli sgranare gli occhi.
“Allora tesoro ti sbrighi?”, gridò il padre dal cortile.
Afferrato un altro biscotto Giacomino diede un bacio veloce alla madre e corse in camera per salutare l’amico spaziale.
“Grazie”, sussurrò scoccando anche a lui un bacio al sapore di cioccolato.

 

Daniele Bianchi

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