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Torna da lui – racconto di Bruno Frullani

Era quasi la fine di novembre e nonostante il paesaggio imbiancato dalla brina Amilcare stava percorrendo la vecchia stradina degli orti con i finestrini abbassati. Colpa della pecora che come sempre si portava sul sedile posteriore? Oppure di quella graziosa moffetta a cui aveva dato un passaggio pochi minuti prima? No, il vecchio Fiat 128 aveva i finestrini aperti perché Amilcare adorava quella specie di crepitio che producono gli pneumatici mentre rotolano sulla ghiaia, gli infondevano un senso di tranquillità e sicurezza che solo un’altra cosa al mondo avrebbe potuto eguagliare: riuscire a contare tutte le foglie degli alberi di gomito che suo nonno aveva piantato quasi un secolo prima. A lui e suo padre era costato tantissima fatica prendersi cura di quel gomiteto ma le grandi quantità di olio che le generose piante gli avevano sempre regalato li avevano ripagati di tutti i sacrifici fatti.

Il rimpianto più grande della sua vita era quello di essere stato costretto ad abbattere circa una decina di alberi, praticamente tutti quelli che si trovavano sul confine con il vicino stabilimento per la produzione di racchette da tennis.

«Mi dispiace Amilcare ma si tratta di “gomito del tennista”, purtroppo non esiste cura e l’unica soluzione è abbatterli» Le parole del suo agronomo di fiducia furono come una coltellata al cuore per lui ma purtroppo non poté fare altrimenti. Ogni volta che ripensava a quel triste momento i suoi occhi si riempivano di lacrime proprio come quando, quel giorno, imbracciando la sua Castor con barra da 45 affondava la catena nel legno di quei nobili alberi, allo stesso modo in cui un cowboy avrebbe sparato un colpo alla testa del suo vecchio cavallo ormai morente. Si asciugò gli occhi col dorso della mano e, superata l’ultima curva a gomito, arrivò davanti al cancello del suo appezzamento di terra. Lasciò il motore acceso e poi scese infilandosi la mano nella tasca sinistra dei pantaloni di flanella per prendere le chiavi. Si avvicinò al cancello e gli sussurrò «Sei verde amico mio ma ancora per poco. Goffredo mi ha detto che stanno per arrivare le tre lattine di vernice testa di moro che ho ordinato. Se tutto va come deve andare da domenica sera avrai addosso il vestito nuovo.»

Parlava spesso con quello strano cancello. Gli raccontava cosa gli era successo durante la giornata, cosa si diceva su in paese e a volte spettegolava su cosa stesse accadendo gli altri cancelli e ringhiere in cima alla strada. «Non ci crederai mai, hai presente quello grande che porta al campo di Oreste? Proprio ieri accanto al montante destro gli hanno saldato un paletto in ferro, secondo te cosa vorranno fargli? Io dico che vogliono mettere su una rete nuova, vedrai se non ho ragione!» «Ah e invece stai a sentire questa. Sai quella famiglia olandese che abita a metà salita? Quelli che hanno quella lunga ringhiera zincata. Beh tu pensa, hanno dovuto comprare non so quante museruole perché ogni volta che qualcuno passava lì davanti lei cominciava a ringhiare, non sai quanti bambini si sono spaventati!»

Amilcare parlava, parlava, e il cancello se ne stava lì, ad ascoltare i racconti del suo vecchio amico. Avrebbe tanto voluto potergli rispondere, dirgli quanto era felice di ascoltare le sue storie e i suoi racconti ma purtroppo non poteva perché non aveva la bocca e non poteva parlare. Quel giovedì sera quando Amilcare prima di tornare a casa chiuse il lucchetto gli disse: «Domani e sabato purtroppo non potrò venire quaggiù agli orti, però domenica mattina verrò molto presto con la vernice nuova, vedrai ti farò diventare il più bel cancello della strada.
Passarono due giorni e finalmente arrivò l’alba di domenica. Era emozionantissimo e non vedeva l’ora che arrivasse il Fiat 128 verde scuro del suo amico, chissà quali storie gli avrebbe raccontato questa volta mentre lo pitturava con la vernice nuova. Iniziarono a passare i minuti, poi le ore e infine arrivò la sera. Amilcare non arrivò. Cosa poteva essere successo? Finora quando aveva fatto una promessa l’aveva sempre mantenuta, come quella volta che un ragno aveva costruito una grossa ragnatela proprio vicino al suo montante sinistro. “Domattina te lo tolgo, non preoccuparti” gli disse Amilcare. La mattina successiva arrivò con un piccolo camaleonte appoggiato sulla spalla che, appena vide il ragno, fece scattare la lunghissima lingua e lo catturò in un istante.

No, Amilcare non era uno che si dimenticava di una promessa, e così iniziò a pensare al peggio, ma quella volta il peggio non avrebbe mai potuto avvicinarsi a quello che successe realmente.
Qualche giorno dopo infatti sentì due uomini che stavano parlando mentre camminavano scendendo lungo la strada.
«Hei guarda, quello non è il campo del povero Amilcare?»
«Già, poveretto quanto mi dispiace!»
«Ma come è successo?»
«Sembra sia stato un incidente, c’è scritto anche sul “Camminiere del mattino”, senti qua:»

”Domenica mattina il corpo senza vita di un anziano, tale A. F., è stato trovato senza vita ai bordi di una strada vicinale. Dalle prime analisi del nucleo di polizia scientifica di Borgo Salvatico sembra che l’uomo, mentre era alla guida della propria auto, sia stato inizialmente aggredito da un esemplare di camaleonte che ha tentato di strangolarlo. A quanto pare, dopo aver cercato inutilmente di difendersi, non è più riuscito a controllare la propria vettura che è andata a sbattere contro una ringhiera. Nell’urto alcuni recipienti di vernice che teneva sul cruscotto si sono aperti e ribaltati, riversando il loro contenuto sul viso dell’uomo provocandone la morte per soffocamento. Al momento si ignorano i motivi della presenza di tali contenitori all’interno dell’auto.”

Dopo aver sentito l’ultima frase il vecchio cancello provò una dolorosa fitta alla serratura, avrebbe voluto piangere ma non poteva perché non aveva gli occhi. E così, costretto a covare quel dolore dentro di se, iniziò a coltivare la propria ruggine, assaporando il giorno in cui lo avrebbe consumato completamente e che, rivolta all’ultima briciola di metallo rimasta, gli avrebbe sussurrato “Ecco, finalmente è arrivato il momento, vai torna da lui.”

 

Bruno Frullani

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