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Terra di nessuno – Racconto di Teresa Averta

A cosa servo? Ormai a poco!
Di me, pastore nomade, che se ne fanno? Che se ne fa il mondo di un povero e ignorante pastore come me?
Sono un peso, un girovago sulla mia terra natia, non ho piรน la possibilitร  di accampare diritti su questa terra, terra che amo, terra che mi appartiene. Se ci pensoโ€ฆmi sale il sangue alla testa.
Dalla Sila allโ€™Aspromonte la Calabria grondava latte, e ora non ci sono neanche le mucche pazze.
Una volta, mentre le stelle si accendevano sui monti del Pollino, chiedevo a mia moglie di mettere sul fuoco una bella zuppa di cipolle e oggi, i fornelli sono in ferie perenne, perchรฉ anche lei travolta da un insolito destinoโ€ฆ e si eh, dal destino di un tempo virtuale, di un tempo tecnologico, scrive al computer. Invia messaggi di posta elettronica e chatta con i miei figli che studiano a Londra.

Sono un pastore di Calabria, triste, perchรฉ la mia terra รจ abbandonata. Abito una terra affascinante ma deserta, dove non sono rimaste neanche le lucertole per scaldarsi al sole, ma son scappate via, perchรฉ il sole brucia, brucia di malinconia.
Non so piรน, dove andareโ€ฆe cosa fare. Non cโ€™รจ piรน vita in questa bella e infelice terra. Sono qui, adagiato sulle pietre dure di una storia stanca, che non vuol finire, ma non ha la forza, neanche di morire.
Sono qui, solo con i miei ricordi, indispensabile vincastro per la mia vecchiaia. Che mi da sicurezza.
Comโ€™era bello, una volta, quando tornavo dalle fiere pugliesi e lucane.
Io pastore calabrese, giovane e forte come un toro, tiravo con me, mule cariche dโ€™oro, sacchi tintinnanti che seppellivo nelle fondamenta di palazzi monumentali.
Ogni chiesa, ogni capitello, ogni portale di quelle valli รจ cresciuto su montagne di lana. Costruivoโ€ฆcon le mie pecore. Costruivo la vita. Costruivo la storia.

Era un immenso belato. Era un belato ululato, lโ€™eco dentro la valle del tempo, il grido spinoso, di un lupo affamato di vita, di storia, di natura e poesia. ยซSettembre andiamo, รจ tempo di migrareยป, scriveva Gabriele dโ€™Annunzio, amico del mio peregrinare.
Anche oggi รจ tempo di andare, ma per sempre. Questa non รจ terra di vita, ma solo terra di passaggio e di memoria.
La terra dei pastori non cโ€™รจ piรน.
Eravamo un popolo di pastori e oggi siamo un popolo di strani colti, e dโ€™incolti funzionari, di eretici portieri e di bidelli bighelloni che rinnegano il loro passato.
Un passato che non serve, perchรฉ lโ€™hanno sepolto come una carogna puzzolente, ma pur sempre passato glorioso o no, ma pur sempre zeppo di Magna Grecia.
Ah poveri noi, anzi che dico, piรน forte voglio dirlo, e gridarlo: miseri noi!
Non siamo piรน carne nostrana, e la gente che ci guarda con sufficienza, corre a comprare insipida carne straniera sui banconi luccicanti dei supermercati. Carne piena di cancro e di muffa.
Che volevamo? Questo e pure peggio ci tocca!
La nostra casa, la nostra madre terra, avvelenata da ingiusti rancori. Avvelenata e vituperata dai suoi stessi figli, che ha tenuto nelle calde viscere.
Il prezzo da pagare รจ molto alto. E si paga. E lo pagherร  chi camperร  piรน a lungo. Lo pagherร  chi verrร  dopo di noi.
Strano e maledetto destino a chi se la prende con la propria terra: un secolo e mezzo dopo lโ€™Italia unita, sta dando il colpo di grazia, ai nipoti di quegli indomabili, spazzando via lโ€™ultima sacca di resistenza, il mondo agropastorale, il mio mondo pulito e naturale, il mondo dei pastori.
I pastori: gente sporca di terra nera, ma che profuma di dignitร . Gente povera e umile ma non analfabeta di sentimenti, cui viene tagliata ogni possibilitร  di riscatto.

Lโ€™Italia รจ diventata terra di porci e di cinghiali. Un prato devastato con la forza e lโ€™ambiguitร .
Mi sono stancato e rannicchiato sui miei insulsi e veri pensieri, stasera. Mentre attendo il tramonto.
E volgo lo sguardo al cielo, unโ€™ultima volta, prima che si accendano le stelle sui monti del Pollino.
Ora, chiudo la finestra di un mondo ingiusto e corrotto prima che mia moglie se ne torni, in questa piccola cucina, dove il focolare lโ€™aspetta; in questa piccola cascina in affitto, dove ogni giorno, bisogna fare quadrare i conti per procurarsi un pezzo di pane e un bicchiere di latte, e dove bisogna, purtroppo fare i conti con un futuro che non cโ€™รจ.
In questo momento unico e irripetibile -perchรจ ogni giorno non รจ uguale agli altri- sui monti degli appennini, in questa vecchia ma calorosa cascina, ci si scalda una bella zuppa di cipolle sul fuoco. รˆ la nostra zuppa genuina e fresca preparata con le migliori verdure del nostro piccolo orto.
E mentre la consumiamoโ€ฆsul computer di mia moglie- io non sono tecnologico- arriva un messaggio di posta elettronica dei nostri figli che studiano a Londra.
Sono ragazzini svegli e allegri, come in cittร  non ne trovi piรน, e ci seguono per chilometri portandosi dietro i libri di scuola, sempre con un occhio alla montagna, alla nostra e amata terra, dove passano le pecore e i lupi. E purtroppo anche i porci e i cinghiali.

La sera andiamo a letto presto. Perchรฉ la mattina ci si alza prestissimo, per dare il mangiare a quelle poche creature animali rimaste.
Lโ€™ovile รจ la solitaria reception di un campeggio abbandonato, un rudere pieno di vento dai vetri rotti, ma lo stesso il rientro del gregge รจ una festa grande.
รˆ un rito quasi liturgico ormai, quando a un tratto, i capretti rimasti alla base, sentono lโ€™arrivo delle madri ed escono tutti a valanga, calamitati da quelle tette gonfie di buon latte montanaro, schiamazzando come bambini alla fine dellโ€™asilo.
Una scena millenaria. Il gigante buono adora quel lavoro. E Il pastore intelligente รจ quasi sempre buono.
Per ognuna delle mie bestie avevo costruito un collare decorato in legno dโ€™acero. Perchรฉ le mie pecore erano eleganti come me. Vestite di dignitร .
Ma ora รจ pieno dโ€™amarezza, pieno di nefandezze, e la terra รจ bruciata, bagnata dal veleno, insudiciata da lupi famelici che hanno divorato tutto: semi, fiori e veritร , hanno strappato piante, alberi e dignitร โ€ฆnon hanno lasciato neanche un briciolo di pane e dignitร .
E non ne ho piรนโ€ฆpane, neanche per offrirglielo a miei figli quando torneranno.
Se tornerannoโ€ฆ in questa terra di Nessuno

Teresa Averta

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