Sei qui: Home » Racconti » Sette e mille giorni ancora – racconto di Pia Elena Caprioli

Sette e mille giorni ancora – racconto di Pia Elena Caprioli

Da un po’ di tempo mi ronza in testa una frase, “Stay hungry. Stay foolish”, che è ormai sulla bocca di chiunque, come se fosse un mantra, ma non ho idea di chi l’abbia pronunciata, e del perché abbia riscosso così tanto successo. Così chiedo aiuto a Google, e in dieci secondi tutto mi diventa più chiaro. Con questa espressione, Steve Jobs sugellò il celebre discorso ai neolaureati di Stanford, ben dieci anni fa. Apro il video, quello con i sottotitoli in italiano. Il 12 giugno del 2005 il fondatore dell’impero Apple, vestito di tutta tonaca senza tocco, raccontava la sua vita al cospetto di centinaia di persone. “Sono onorato di essere qui con voi oggi, nel giorno della vostra laurea presso una della migliori università del mondo. Io non mi sono mai laureato”.

Dal fondo della platea, alcune grida di stupore. Ma davvero?! Steve Jobs non è andato al college? Stiamo parlando dello stesso uomo, il geniale imprenditore, l’inventore del primo personal computer dotato di mouse e di tutta una serie di aggeggi elettronici, senza i quali la vita su questo pianeta si estinguerebbe? Siamo sicuri che quel tizio di mezza età, un po’ paffuto e stempiato, sia il padre delle mele? “Ho abbandonato gli studi al Reed College dopo sei mesi, ma vi sono rimasto come imbucato per altri diciotto mesi, prima di lasciarlo definitivamente”. Si leva un “noooo” corale. Cavoli, è proprio vero. “Dopo sei mesi, non riuscivo a comprenderne il valore: non avevo idea di cosa avrei fatto nella mia vita e non avevo idea di come l’università mi avrebbe aiutato a capirlo”. A chi lo dici Steve, pensa che io tra due mesi mi laureo, e non so ancora chi sono, chi voglio diventare e come voglio vivere. Faccio cose, studio, mi rendo utile: riempio le mie giornate al limite massimo, fino a notte fonda, lotto contro il sonno, vergognosa sconfitta, il tutto per provare quella soddisfacente e illusoria soddisfazione di occupare un posto nel mondo, di avere un senso, almeno per me stessa. Mia madre mi dice sempre che è importante mettere da parte “mattoncino dopo mattoncino”.

Steve Jobs, invece, parla di “unire i puntini”, che fa lo stesso. A volte mi chiedo se questi mattoncini abbiano qualcosa in comune tra loro, un filo conduttore di coerenza che mi condurrà al fine ultimo della mia vita, quello che si va costruendo un mio passo dopo l’altro, quello per cui agisco, ma la cui esistenza compiuta non dipende da nessun destino, ma solo dalle mie azioni. “Dovete credere in qualcosa: il vostro intuito, il vostro karma, la vostra vita, il vostro destino, chiamatelo come volete… Questo approccio non mi ha mai lasciato a terra, e ha fatto la differenza nella mia vita”. Il sole batte forte, il silenzio è quasi religioso. Certo che devo credere in qualcosa. Devo credere in questi mattoncini. La colata di cemento che li immobilizzerà l’uno sull’altro un giorno arriverà. Devo credere nelle mie azioni, scelta dopo scelta, anno dopo anno. Devo credere nelle mie Emozioni e nel mio Pensiero, saperli gestire, perché sono i pensieri e le emozioni a creare la mia vita, e così sarà sempre. “Ma qualcosa cominciò a farsi strada dentro di me: amavo ancora quello che avevo fatto, e ciò che era successo alla Apple non aveva cambiato questo di un nulla. Ero stato rifiutato, ma ero ancora innamorato. Così decisi di ricominciare.

Non potevo accorgermene allora, ma venne fuori che essere licenziato alla Apple era la cosa migliore che mi sarebbe potuta capitare”. Un leggero venticello smuove appena la bandiera alle spalle di Steve. Se fosse capitato a me, di essere licenziata da una società fondata da me, non so se avrei avuto la stessa tenacia, lo stesso ottimismo. Steve ha provato un’emozione, quest’emozione ha condizionato un pensiero, il quale a sua volta l’ha fatto reagire, e di conseguenza agire, senza incolpare il destino o la sfiga. “Ogni tanto la vita colpisce sulla testa con un mattone”. Ecco anche lui co’ sti mattoni. Bè sì, siccome il cemento non c’è ancora, qualcuno potrebbe caderti giusto in fronte, identico a quello che Kevin McCallister lanciò in testa a Marv dal tetto della casa dello zio Rob a New York, e allora maledici il giorno in cui l’hai scelto e messo da parte quel mattone. “Non perdete la fiducia, però” – continua Steve. Facile a dirsi. Ha per caso idea, sig. Jobs, del bel tatuaggio scarlatto che restò sulla fronte del povero Marv? “Sono convinto che l’unica cosa che mi ha aiutato ad andare avanti sia stato l’amore per ciò che facevo. […] Se non avete ancora trovato ciò che fa per voi, continuate a cercare, non fermatevi, come capita per le faccende di cuore saprete di averlo trovato non appena ce l’avrete davanti. […] Non accontentatevi”.

La telecamera si ferma sul sorriso orgoglioso di alcuni laureati. Applausi. Non mi fermo, certo che non mi fermo. Io non mi so accontentare, non mi accontento mai. Voglio sempre di più, sempre meglio. Io, le cose, o le faccio bene, o non le faccio. Per agire, per lavorare, per sacrificarmi, devo amare. Non il contrario. Questa congegno mentale, portato agli eccessi, prima o poi potrebbe provocare un’esplosione. Voglio un muro alto e robusto, e i suoi mattoncini devono essere perfetti. Ma quello unico, quello che amerò più di tutti, quello che mi segnerà nel bene e nel male, devo ancora trovarlo, e poi ottenerlo. “Se oggi fosse l’ultimo giorno della mia vita, vorrei fare quello che sto per fare oggi? E ogni volta che la risposta era “no” per troppi giorni consecutivi, sapevo di dover cambiare qualcosa. Ricordare che sarei morto presto è stato lo strumento più utile che abbia mai trovato per aiutarmi nel fare le scelte importanti nella vita”. Spesso mi dimentico della morte, dimentico che morirò presto. E questo mi porta ad arrovellarmi sulle minuzie, a dare importanza a ciò che non ne ha.

Per fortuna, o per sfortuna – dipende dalle circostanze – se qualcosa non mi piace, io non la porto a termine. Non ce la posso fare, è più forte di me. Non so fingere con gli altri, non so fingere con la vita, non so fingere con me stessa. Non so prendermi in giro, e questo mi porta a vivere tutto in maniera realistica, senza via di scampo, senza sconti di pena. È un’arma a doppio taglio. Bisogna stare attenti Steve, non è tutto rose e fiori come dici tu. “Il vostro tempo è limitato, perciò non sprecatelo vivendo la vita di qualcun altro. Non rimanete intrappolati nei dogmi, che vi porteranno a vivere secondo il pensiero di altre persone.

Non lasciate che il rumore delle opinioni altrui zittisca la vostra voce interiore. E, ancora più importante, abbiate il coraggio di seguire il vostro cuore e la vostra intuizione: loro vi guideranno in qualche modo nel conoscere cosa veramente vorrete diventare. Tutto il resto è secondario”. Steve si ferma un attimo, stanco. Beve un sorso d’acqua. Ancora applausi. È inutile cercare di influenzarmi, di convincermi che il tempo non si può sprecare, perché tanto non farò nulla che io non desideri davvero. Ce l’ho impressa sulla pelle, la mia filosofia: “Non forzarmi mai, farò tutto”.

Certo che farò tutto. Farò quello che devo. Quello che devo a me stessa, e per me stessa. Devo imparare a ricordare che non vivrò per sempre, che non ho l’eternità a disposizione, ma preferisco utilizzare il tempo che mi è concesso per cercare ancora, per innamorarmi del mio essere e del mio divenire, per avere anche una sola possibilità di capire chi sono, una soltanto. Dio il settimo giorno si riposò. Io mi riposo solo quando sono soddisfatta, dovessero passare sette e mille giorni ancora. “Stay hungry. Stay foolish”. Standing ovation.

Pia Elena Caprioli

 

 

© Riproduzione Riservata