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Prima di arrivare – racconto di Pierluigi Mancosu

Una giornata da non lasciarsi sfuggire quella che mi ha accolto oggi. L’aria frizzante ed il cielo terso la rende speciale tanto da far venire la voglia di saggiare le mie doti d’orientamento fuoristradistico. Capita a fagiolo anche il fatto che gli amici siano tutti in tutt’altre faccende affaccendati così posso cogliere l’occasione per andare dove voglio e fare ciò che voglio senza stare a patteggiare con alcuno. D’altro canto, uscire da soli in fuoristrada è come andare a far pesca subacquea in solitario. Un rischio che, come tale, fa salire ancor di più l’adrenalina quando ci si dovesse trovare sperduti od avere delle difficoltà di trasmissione. Non faccio colazione come di solito ma riempio lo zaino di acqua, panini con prosciutto crudo e formaggio e qualche mela. Infilo in una delle tasche il coltello da caccia di mio padre ed esco prendendo al volo la telecamera. Gettato tutto l’armamentario sul sedile del passeggero scaldo le candelette della “bestia” e metto in moto provocando la prima nebula di Giove. Qualche minuto per far arrivare in temperatura il motore e via, finalmente si parte. Dopo qualche ora di asfalto ecco che mi inoltro in una stradina laterale sterrata che mi incuriosisce perché non sembra essere granché trafficata. Il posto è magnifico ed ogni tanto mi fermo per fare qualche ripresa. Il tempo passa tanto velocemente che non m’accorgo neppure di non aver toccato cibo per tutta la mattinata. Procedo tranquillamente con due ruote motrici cercando di scorgere qualche altro particolare interessante da filmare quando, ad un certo punto, un arresto improvviso, come se avessi incontrato un muro.
Esco dal fuoristrada intontito per aver dato una botta al volante. L’air-bag l’avevo fatto disinserire per evitare che nei tratturi si azionasse inavvertitamente ed infierisse sulle mia faccia (non che il volante ora abbia fatto meno danni!). Mi distendo sui sedili anteriori e col braccio sinistro teso apro il vano porta oggetti ed agguanto la torcia. A fatica mi risollevo, giro un po’ il capo per distendere i muscoli indolenziti dall’urto e, dopo un respiro profondo apro la portiera e, lasciando scivolare il sedere sul sedile, tocco finalmente terra. M’inginocchio poggiando una mano sulla predella del fuoristrada. L’altra sostiene la torcia. Un rapido controllo palesa subito che il paracolpi del cambio è stato divelto. Solo due bulloni lo sorreggono, piegato quasi ad angolo retto, si è piantato a terra provocando l’arresto immediato del 4×4.

Ma che cavolo è successo. Dovrò sdraiarmi sotto e mollare gli ultimi due bulloni. Mi è andata bene, potevano essere tre i bulloni da mollare.

Mi risollevo prima con un ginocchio e poi con l’altro. Raddrizzo la schiena e prendo la cassetta degli attrezzi da sotto il sedile di guida. La cassetta è uguale a quelle che utilizzano i pescatori: una scatola cinese. Tolgo il fermo, la apro e tiro fuori una chiave combinata da dodici dopo aver sudato non poco per trovarla perché sotto mano mi capitavano tutte le misure tranne quella giusta.

Eh finalmente esclamo mi sarebbe sembrato strano se l’avessi trovata al volo. Va be’, buttiamoci sotto e smontiamo.

Questa volta sono costretto a sdraiarmi per terra. Dal vano posteriore del 4×4 prendo il tappetino di gomma che riveste il fondo e lo dispongo sotto il telaio. Provo con il primo bullone ma non molla. Deve essersi piegato in seguito all’urto. Vado ancora più sotto per raggiungere l’altro bullone, ma è irraggiungibile perché la piastra si è piegata in modo da impedirmi di infilarci la chiave.

Beeene, continuiamo così.

Rotolo su me stesso per uscire da sotto il fuoristrada e mi metto in posizione seduta. Penso un po’ a come ovviare a quella situazione ed ecco che, come al solito, mi viene la brillante idea: cercare un masso da mettere sotto la piastra paracolpi sperando che, ripartendo in retromarcia, si raddrizzi il tanto che basta per permettermi di mollare i bulloni. Incrocio le gambe a mo’ di pantografo e mi sollevo. Inizio la ricerca. Non c’è che l’imbarazzo della scelta in quella pietraia in cui, mio malgrado, mi sono dovuto fermare. Fra le tante ne scelgo una che sembra fare al caso mio: ha una forma triangolare ed ha un aspetto massiccio. La libero dalle altre pietre d’intorno ed è ancora più grande di quello che si vedeva. Va bene ugualmente. A fatica la faccio rotolare fino a disporla sotto il fuoristrada. La sistemo in modo tale che il fuoristrada, tornando indietro, faccia scivolare la piastra paracolpi sul masso ed il peso stesso del mezzo le permetta di raddrizzarsi. Mi pulisco le mani sui jeans e poi, sempre con le mani, li spazzolo. Salgo sul fuoristrada, giro la chiave e niente, il motore non dà segni di vita. Riprovo una, due, tre volte ma non ne vuole sapere.

Che fortuna ragazzi, ci manca solo che siano morte le batterie.

Tiro la leva per aprire il cofano e scendo per dare un’occhiata. Infilo la mano sotto il cofano, tolgo il fermo di sicurezza e lo sollevo del tutto poggiandolo sul parabrezza. Con la torcia illumino un po’ dappertutto ma non vedo niente di anormale tranne un’ombra che non riesco ad identificare. Mi chino e vedo un lago d’olio.

Razzo!?! E che cavolo.

Dopo un attimo di pensieri non proprio gesuiti mi inginocchio dal lato pulito del fuoristrada e vedo un ferro che fuoriesce dal terreno piantato nella coppa dell’olio.

Sfortuna del cavolo. Ma da dove è venuto fuori!

Dopo aver bestemmiato a lungo trattengo il respiro e tento di calmarmi iniziando a parlare in modo forbito.

Dunque, orbene, ma proprio adesso mi doveva capitare. Che balle!.
Sfilo dalla tasca il cellulare

Ah, sei anche spento. Speriamo che non sia scarico altrimenti…

Pigio il tasto di accensione

si accende. Bene, pensavo al peggio ed invece semplicemente non l’avevo attivato

Attendo che finisca il ciclo di controllo linea

Ajò però, quanto impieghi a scaldarti; eh eh al momento il vostro cellulare non è in zona coperta da ponti telefonici; eh ehhhh da una sfiga all’altra: evvai!

La tentazione di scaraventare il cellulare per terra è notevole ma mi astengo dato che non è mio.

Mah, accendiamo il baracchino e vediamo se c’è qualcuno in ascolto”

Mi dirigo verso la portiera, la aggiro ed allungo la mano per accendere l’ apparato. Accendo e lo sintonizzo sul canale corrispondente alla frequenza delle chiamate d’emergenza: canale nove. Con i gomiti poggiati sul sedile di guida, una mano che tiene il microfono e l’altra che smanetta sulla sintonia fine inizio la tiritera che contraddistingue una chiamata CB:

CQ CQ CQ (sichiu sichiu sichiu), qui stazione Kamikaze c’è qualcuno in ascolto?- CQ CQ CQ attenzione qui stazione Kamikaze qualcuno mi può sentire?

Nessuna risposta. Solo il rumore di fondo simile ad un fruscio riesce a farsi largo in quella frequenza. Il CB funziona ma non nella gola dove mi trovo anche se è vicino al mare. Provo a cambiare canale. Li spazzolo tutti e quaranta ma niente. Nessuno in ascolto.

CQ CQ CQ- si si, non c’è proprio nessuno: picc’e palia si toccara.

Un tantino di sconforto inizia a fare capolino ma solo in un primo tempo e cioè fino a quando si risveglia l’orgoglio del fuoristradista. Allora ecco che con un colpo di reni mi rimetto in verticale chinandomi subito dopo per frugare sotto il sedile lato guida dal quale sfilo una pala di emergenza, di quelle professionali, da una parte picco e dall’altra pala. La guardo con un senso di sfida

Ora vediamo se vali veramente quello che ti ho pagata

Chiudo la portiera per evitare di darle dolorose craniate al momento di uscire da sotto il 4×4 e mi tuffo con impeto in quella poltiglia di terra ed olio. A fatica riesco a togliere la pietra, che avevo accuratamente posizionato sotto la piastra paracolpi, ed inizio a scavare per cercare di liberare la piastra stessa che sembrava infilata in modo tale da non poter essere rimossa.

Fortuna che almeno la terra è morbida

Ma non dura molto: il picco sbatte su qualcosa di duro.

Eccolo!! Sapevo che non poteva continuare ad andarmi così liscio

Mi volto verso il ferro

Adesso vengo verso di te, bastardo! Scavo una trincea e ti tiro via dovessi stare qui tutta la notte!

Riprendo a scavare per riuscire a liberare il ferro piantato nella coppa dell’olio quando trovo un punto duro, come quello sotto la piastra paracolpi
Mon Dieu, stai a vedere che ho beccato un carro armato!

Con la pala raschio tutt’attorno alla lastra di ferro e continuo a ripulirla fin fuori la sagoma del fuoristrada.

Una lastra di ferro incastrata nella roccia. Altro che re Artù. Se riesco a levarla di mezzo minimo minimo mi fanno… uhmmm non è una lastra e basta. Fatti vedere…”

Ripulisco completamente ciò che sembra un coperchio d’acciaio

Oh, mi sa che è proprio un carro armato; questo deve essere il portello del mitragliere; e quello dove mi sono piantato o è la mitraglia od il cannone; oppure è una bestialità immane, di quelle che sparo ogni tanto. Aspetta, aspetta, qui c’è ancora della terra

Al centro di quella che sembrava una chiusura c’era una croce in ferro immersa in un foro. Tolgo la terra tutt’ intorno ed affiora

Un volante per aprire il portello di un rifugio anti atomico?!? Che diavolo ci fa qui vicino al mare?

Tento di girare il volantino in senso antiorario ma non riesco a fargli fare neanche un quarto di giro.

Per Deu, gira bastardo

Mi sollevo e vado a prendere la leva della binda che tenevo agganciata sul paraurti anteriore. La leva non è altro che un tubo di ferro di un metro e mezzo.

Vediamo chi è più testardo, però mi metto anche i guanti perché ho il dubbio che tu mi voglia fare un brutto scherzo

Torno al 4×4 a prendere i guanti. L’eccitazione si fa strada ed il mio cervello inizia ad annebbiarsi ed a fantasticare su che cosa ci possa essere lì sotto, in quello che io ritengo sia un rifugio. Mi chino per incastrare la leva nel quarto di croce

Su cicci, adesso tu ti apri, da brava

Inizio a tirare la leva con tutte le mie forze poi, visto che non si smuove provo a fare forza in entrambi i sensi di rotazione per liberarla da ciò che probabilmente è ruggine. Ecco si è mossa

VAI carogna, gira!

Di colpo il portello ha uno scatto

Aperto! Essss che fetore, già non ci saranno bambini morti dentro
Sempre con la barra della binda faccio leva per aprire completamente il portello. Il fetore che fuoriesce ammorba tutta l’aria d’intorno che prima profumava di elicriso. La torcia che tenevo su d’una roccia per farmi luce sul punto di scavo, al momento sta esaurendo il primo pacco di batterie. La prendo e mi avvicino al fuoristrada ben contento di allontanarmi momentaneamente da quell’odore nauseabondo. Apro il portellone posteriore e scarto un pacco nuovo di batterie che sostituisco immediatamente.

Sono passati venti minuti, avrà sbentiato o mi ci vorrà la maschera antigas per entrare?

Ogni tanto dirigo lo sguardo verso il fuoristrada e ripenso alla sfortuna per quello che è successo ma poi, per distogliere la mente da quel problema, rifuggo in quella che mi pare sia una scoperta degna del miglior archeologo.
Il tanfo è quasi sparito: vediamo un po‘; speriamo non ci siano animali strani all’interno

Mentre mi accingo ad entrare da quell’angusta apertura sento un rumore

Questo ronzio sembra un motorino in funzione

Mi sdraio a terra ed infilo la torcia, poi la testa per vedere l’interno prima di calarmi.

Una scaletta in ferro, un tubo, vedo solo sotto di me. Sembra tutto pulito. Scendiamo!

Riconquisto la posizione eretta ed illumino il primo gradino della scaletta per evitare di fare un imbarco svizzero in quello che già mi sembrava la tomba di qualcuno. Scendo con circospezione cercando di farmi luce ma la larghezza del tubo di ingresso non mi permette movimenti di rotazione. Sono costretto a scendere a tentoni sperando di non essere toccato o di non toccare null’altro che non sia il pavimento. Pochi metri, forse due e sono sul fondo. E’ un posto piccolo, raccolto, tutto in metallo. Con la torcia faccio luce sufficiente ad illuminare tutto l’ambiente così la poggio a terra con la parabola verso l’alto, in modo che la luce venga diffusa uniformemente. Si potevano ben distinguere degli strumenti adatti alla navigazione di un sommergibile.

Cavolo, un sommergibile. Un micro sommergibile Questo odore però mi sta ammazzando. Devo uscire a respirare un po’ di ossigeno”

Lascio la torcia lì dove si trova ed esco a prendere una boccata d’aria.

Fortuna che non fumo, altrimenti mi sarebbe venuta la bella idea di accendermi una sigaretta per lavarmi la bocca da quella incredibile puzza. Vediamo se al baracchino ora che sono le: 23. Di già!?!

Riprendo in mano il microfono dell’apparato e

CQ CQ CQ qui stazione Kamikaze c’è qualcuno in ascolto? CQ CQ CQ attenzione qui stazione Kamikaze qualcuno mi può sentire? Tentativo vano. Devo aspettare il mattino e farmela a piedi fino a casin’e pompu

Getto il microfono sul sedile e ritorno al sommergibile.
Vediamo se… ma questo cacchio di ronzio da dove proviene? Sembra che ci sia ancora qualcosa in funzione, o forse sono le orecchie che mi giuocano un brutto scherzo

Mi guardo intorno per scorgere qualche spia accesa ma niente. Desisto subito e mi do alla ricerca di materiale che possa spiegarmi che cosa sia ciò che io reputo uno strano sommergibile.

Dei cassetti a chiusura stagna: questo è chiuso; questo anche. Ma non c’è un cacciavite qui dentro?

Esco al volo per prendere la cassetta degli attrezzi e ritorno immediatamente dentro.

Ora mi serve l’ingegnere ed un cacciavite vecchio: eccolo qui uno; adesso a noi due

Un colpo ben assestato alla serratura, che evidentemente serviva solo per fare in modo che il cassetto non s’aprisse inavvertitamente, data la consistenza, ed il cassetto è libero.

Cosa c’è qui? Un fascicolo con su scritto…

Mi avvicino la torcia elettrica per leggere bene

Progetto USPISS-3212A
Unità Sperimentale Per Il Soccorso Subacqueo

Specifiche

Caratteristiche Principali Unità Sperimentale CANUSSOR
Dislocamento in superficie: 310,00 tonnellate
Dislocamento in immersione: 392,00 tonnellate
Lunghezza f.t. : 12,00 metri
Diametro max f.o. : 7,00 metri
Immersione media : 3,00 metri

Apparato Motore:
Gruppo Diesel-generatore MTU / Piller (3,12 MW)
nr.1 mot. elettrico a magneti permanenti MAGNADINE (2,85 MW)
sistema A.I.P. con Fuel Cells da 8 + 1 moduli (306 kW)
Batteria di Accumulatori
Velocità in superficie 8 nodi
Velocità in immersione 15 nodi

Equipaggio 4 uomini
Autonomia 8000 miglia a 8 nodi in superficie
420 miglia a 8 nodi in immersione

Caratteristiche salienti e distintive del Progetto USPISS-3212A sono essenzialmente :

impianto di propulsione indipendente dall’aria (A.I.P.) del
tipo a Fuel Cells, che consente un’elevata autonomia in
immersione;
segnature (acustica, T.S., idrodinamica, magnetica, ottica, radar, termica ed I/R) estremamente ridotte;
sistema di comando e controllo (B.C.W.C.S. MSI 90)
completamente integrati.
Lo scafo resistente: è formato da due cilindri di diverso
diametro, collegati tra loro da un tratto tronco-conico lungo due metri; il corpo prodiero è a scafo singolo; il corpo poppiero è a doppio scafo per l’esistenza di uno scafo leggero che inviluppa i contenitori di ossigeno ed idrogeno necessari per il sistema A.I.P.; le estremità dello scafo resistente sono chiuse da due calotte sferiche ribassate.

L’apparato di propulsione è composto da un gruppo diesel
generatore MTU, da un motore elettrico a doppio indotto
SIEMENS Permasin; da un sistema a celle combustibili PEM.

Il Sistema di Rilevamento dispone di:
apparato SONAR 360 della SATURN Antas Robotica,
dotato di base conforme, flank-array, towed-array,
intercettatore ASM, sistema di rilevamento del rumore proprio;
sistema di comando e controllo tipo B.C.W.C.S. MSI90U della BOSA Castel Malas;
sistema periscopi SERIO 14/15 Zeiss Eltro Optronik;
sistema ESM FL 1815U della DASA;
radar INUE;
sottosistema Tlc integrato della Kistiona Telecomunicazioni Marine

A questo punto penso che il titolo deve averglielo dato la Wertmuller. Vediamo all’interno: pagina uno

Componenti Equipaggio

Lupo
Catena
Sonar
Canna

Allora qualcuno ci deve essere qui dentro

Mi sollevo con la torcia in mano e vado in ispezione. Passo attraverso una porta stagna che mi porta in un corridoio al quale si affacciano altre camere. La prima sulla destra è quella del comandante. Il portello è aperto: nulla è fuori posto ed all’ interno non c’è nessuno. Passo in rassegna tutte le camere, arrivo in fondo allo scafo dove sono disposti il bagno e la doccia. Nessun segno di presenza umana. Faccio ritorno in plancia e, attraversando la porta stagna sulla sinistra noto un serbatoio con un oblò. Illumino più sotto e vedo una maniglia dietro la quale si legge

Camera iperbarica
Pericolo
Alta Concentrazione Di Ossigeno

Nella foga di passare attraverso il portello che dà alle camere, non avevo visto una cosa così ingombrante. La camera sembra essere capiente visto le dimensioni esterne. Il problema ora è che essendo a tenuta stagna date le alte pressioni che si possono ottenere all’interno, ci potrebbe essere ancora un’alta concentrazione di ossigeno ad una pressione tale da far saltare il portello se aperto con la forza.

E come faccio a sapere se lì dentro c’è ossigeno? Vediamo se trovo qualche bombola nei pressi… niente. Un facsimile di manometro… è digitale, complimenti! Però c’è un manometro analogico che segna pressione atmosferica. Non mi resta che spegnere la torcia, gettare via il telefonino ed evitare di scoreggiare.

Esco nuovamente dal sommergibile mi libero del telefonino, chiavi, fermagli. Ci penso un po’ su

Sarà meglio che mi tolga anche i vestiti non sia mai che qualche carica elettrostatica… brrrr ‘a frittu… via via via muoviamoci

Rientro di corsa e già al primo gradino stavo per lasciarci il malleolo.

Mer, quanto sono fredde queste scale; speriamo di non dare un calcio a qualcosa o mi ritrovo a ridere per un paio di giorni; fortuna che c’è almeno la luna, fuori! Qui non si vede una mazza. Ecco, questo dev’essere l’oblò, la maniglia: apriamo con cautela; piano piano, speriamo sia oliata

Un quarto di giro e la maniglia, leggerissima, libera la porta.

Custa puru è fatta ora che è libera, ti prego, non farmi volare per aria che sono tutto nudo e mi vergogno

Lentamente apro il portello fino a spalancarlo.

Finora tutto bene, ora faccio dietro front, vado a rivestirmi perché mi sto congelando ed anche perché vorrei evitare di sbattere da qualche parte con questo buio

Molto lentamente mi dirigo verso l’uscita sbattendo un po’ a dritta un po’ a manca e finalmente esco illuminato dalla luna, mi rivesto in fretta e furia, mi ripulisco molto bene i piedi dalla terra, infilo calze e scarpe, accendo la torcia e ritorno giù. Ormai la preoccupazione di stare fuori tutta la notte per via del fuoristrada bloccato mi ha abbandonato completamente per far posto a quell’incredibile avventura che sto vivendo.

Facciamo un po’ di luce qui dentro

Davanti a me si presenta la straziante immagine di quattro corpi abbracciati fra loro: tre donne ed un uomo che teneramente si salutavano per l’ultima volta. “Forse era meglio lasciare il portello chiuso, mi sembra di aver profanato una tomba. PORCA GALERA!”
Dopo un attimo di risentimento per ciò che avevo fatto, mi avvicino ai quattro corpi e toccandoli con estrema attenzione porto alla luce le mostrine con i loro nomi.

Lupo, non poteva chiamarsi diversamente: l’unico uomo a bordo, niente gradi e niente gradi neanche le donne; magari erano civili su un som militare? Poco probabile. Vediamo cosa dice il fascicolo

Lascio la camera iperbarica e ritorno a quella sporgenza dove avevo lasciato il faldone, mi siedo, ed inizio ad immergermi nella lettura in modo particolarmente attento.

Scopo Della Missione

Verifica Tenuta Stagna In Mare Aperto
Verifica Funzionamento ECO MESFER SCAN
Verifica Sistema Ombra
Verifica Sistema Propulsione

” Ora di alaggio 5:42
data del varo -” non è segnata.
Il mio sguardo salta subito a piè pagina per leggere le note:
“è previsto che la prova abbia una durata massima di giorni 23 ma noi siamo convinti che il sistema ECO necessiti di più tempo per la taratura“
Riprendo il filo del resoconto tralasciando le note di carattere prettamente tecnico ed aggiungendo un po’ d’immaginazione:
“ore 6:12 prima immersione del CANUSSOR (il nome giusto per una tomba)
– Lupo Timoniere Canna, barra a dritta e avanti un terzo
– Canna Barra a dritta avanti un terzo
Dopo qualche miglio di navigazione in superficie
– Lupo Controllare la chiusura dei portelli
Catena si alza dalla sua postazione all’ ECO e va a controllare la posizione dei portelli stagni
– Catena Portelli stagni chiusi Lupo. Possiamo immergerci se vuoi.
– Lupo Canna, iniziamo l’immersione ma, tranquilla
Canna sposta il timone leggermente in avanti. La discesa avviene lentamente
– Lupo Assestiamoci a 50 piedi e controlliamo un po’ la strumentazione
– Canna 50 piedi. Primo controllo
– Lupo Sonar ?
– Sonar Sonar in funzione
Sonar avvia la procedura per il controllo del sonar passivo e di quello attivo, poi passa al controllo di quello passivo per identificazione e, a seguire, quello attivo per intercettazione.
– Sonar I sistemi attivo e passivo sono OK
– Lupo Ed il Demon?
– Sonar Per il Demon devo fare una verifica
– Lupo Catena, l’ ECO di pancia?
– Catena E’ in funzione ma a questa profondità… ha una portata da uno a ottanta metri. La semisfera non è in grado si scannerizzare a portate inferiori o superiori.
L’ ECO MESFER SCAN è uno strumento semisferico nel quale ruotano, ricoprendo un’area semisferica che viene poi analizzata e scannerizzata così da ottenere la conformazione del fondale e delle pareti rocciose sottomarine in visione tridimensionale dettagliata, due particolari eco scandagli tenuti paralleli e solidali tra loro.
– Canna Lupo, ma perché ci hanno dato dei nomignoli così idioti?
– Lupo Uno vale l’altro. L’importante era mantenere l’anonimato dato che il registratore è sempre in funzione e così mi hanno chiesto quali nomi sarebbero stati più adatti a descrivervi; rendo l’idea?
– Canna Rendi l’idea ma qui io, una canna, non me la posso fare.
– Sonar Ci mancherebbe solo del fumo in questa tinozza- controlli eseguiti. Tutto regolare.
Segue una sequenza di OK da parte di tutto l’equipaggio
– Lupo Continuiamo a scendere. Canna portaci a 300 piedi mooolto lentamente. Mi raccomando: attenzione massima alla strumentazione. Ricordatevi che il vascello è sperimentale ed anche se non siamo alla prima esperienza di collaudo, se si sbaglia lo si fa per una volta sola!

Il SONAR 360 inizia a dare problemi di lettura:

-60 metri il SONAR 360 viene ripristinato nelle sue funzioni
– Lettura fondale -1500 metri, non mi sembra corretto dato che le carte indicano in -580 metri la profondità massima in questa zona;
–80 metri controllo assetto;
Ore 12:01 allarme SONAR 360 sommergibile non identificato in rotta verso di noi. Scendiamo a quota -90 e ci dirigiamo verso la grotta del Vile;
Il sommergibile non identificato non ha cambiato rotta ma si dirige a tutta forza a dritta rispetto alla nostra posizione. Siamo dentro la grotta ne approfittiamo per collaudare il sistema di segnature in spazio ridotto e per stabilire la conformazione della caverna;
Ore 14:37 abbiamo un problema di stabilizzazione del CANUSSOR, sembra che l’acqua ci dia dei violenti colpi, come se a quota -85 della caverna del Vile sia presente una forte corrente di tipo vorticoso impulsivo;
Scendiamo a quota -95 perché impossibilitati a tenere l’assetto;
Il sistema di propulsione non riesce a far scendere il CANUSSOR, inseriamo anche il sistema di Propulsione Supplementare: il CANUSSOR è impossibilitato a raggiungere quota -95;
La spinta della colonna d’acqua è impressionante; Strumenti a fondo scala e SONAR 360 fuori uso;
Stiamo risalendo ad una velocità di 2 metri al secondo sulla nostra verticale cercando di contrastare la spinta con i motori al massimo della potenza;
Inizio infiltrazioni e sistema di scarico automatico inserito e funzionante;
Quota, quota positiva, sembra di essere…”

Qui si ferma il rapporto, cacchio vuoi vedere che si sono schiantati sulla volta della grotta del Vile ed il CANUSSOR ha funzionato da tappo. Cioè sotto di me o c’è acqua o c’è il vuoto!!! Azz! Si, ma perché sono entrati nella camera iperbarica? Uscire non potevano dato che il portello era bloccato dalla terra. Sarà finito l’ossigeno e si sono rifugiati qui in attesa dei soccorsi.

Non riuscivo a capacitarmi del fatto che fossero entrati nella camera iperbarica ma non riuscivo neppure a concentrarmi perché quel fastidioso ronzio che avevo cancellato dal cervello e passato a sottofondo mentre ero impegnato nell’ispezione del CANUSSOR, tornava prepotentemente a massacrarmi la testa.

Da dove verrà questo suono? Non starò mica diventando sordo? Controlliamo un po’ qui, sotto la plancia. Beccato! Cosa sei? C’è scritto: Sistema di Soccorso Satellitare. La spia segnala stand-by; potevano anche scriverci in attesa, siamo italiani e scrivono in inglese questi dementi. Perché non è partito? Eppure la tensione sembra esserci. Adesso provo a metterlo in funzione: e via, si è spenta la spia di stand-by e rimane spenta quella di trasmissione; si è riaccesa quella di stand-by; vediamo il motivo. Cerchiamo le istruzioni.” Inizio ad aprire tutti i cassetti e mi perdo nelle carte che attirano la mia attenzione benché non capisca granché di quello che ci sia scritto. Tutti termini tecnici, direttive particolari sul funzionamento di vari apparati ma niente sul sistema di chiamata di soccorso. Mi viene il sospetto che sia stato volutamente disattivato essendo un vascello sperimentale.
“Zeus, non sarà mica che li abbiano volutamente fatti salpare senza sistema di chiamata di soccorso? Bastardi fino alla fine!

D’improvviso mi assale uno stato d’angoscia che mi impone di saltar subito fuori dal sommergibile. Una volta fuori prendo a respirare a pieni polmoni. Albeggia. Mi godo lo spettacolo del sorgere del sole. Provo una sensazione di predilezione nel vedere uno spettacolo così grande:

Ecco si, sorgi lentamente affinché possa rimirarti e controllare che sia tutto al suo posto; si affacciati ora: stupendo, anche oggi son riuscito a far partire un’opera d’arte!

Dopo di che crollo dalla stanchezza lasciando perdere tutto ciò che mi è capitato la notte passata. Vengo svegliato da ciò che a prima vista sembra una pattuglia della forestale. Così non è. Sento un colpo. Un calore ustionante nel petto e la sensazione di un fluido che invade il mio corpo. Resto a terra ed il buio, subito dopo, m’accoglie.

“Comandante, venite presto, questo deve essere quello che ha fatto partire il segnale”
“Controllate la zona lì, il fuoristrada, controlla se ci sono tracce di qualcun altro”
“Niente signore. Pare che lo sfigato fosse solo”
“Forse lo era da tempo. Fra i documenti niente foto a parte le sue, niente fede, orologio senza dediche, telefonino dell’ultima era ”
“Controlla se ha fatto chiamate, anche al CB. Ho visto che è acceso. Guarda se c’è qualcuno in ascolto”
“Il portatile è guasto”
“Al baracchino non c’è nessuno. E’ probabile che non ci sia propagazione qui in mezzo ai monti”
“Ripulite l’area e chiamate il comando”
“Qui Astore, la Volpe è in trappola, il Pastore può venire col suo gregge; stiamo nell’ovile fino al suo arrivo. Chiudo”
“Ehi capo, cosa ci sarà di così importante dentro questo rifugio”
“Stanne lontano e fatti gli affari tuoi. Che nessuno si avvicini all’apertura. Non vorrei che qualcuno possa fare la fine che è toccata a quello”

Dopo qualche ora arrivano il guardiamarina Aresu e l’ammiraglio Brundu con cinque specialisti del progetto.

“Ammiraglio”
“Comandante”
“La zona è tranquilla. Ora tocca Voi”
“Bene, ottimo lavoro. Più giù incontrate quella della folgore. Ho già dato ordine che vi scortino fino all’uscita- in gommone ”
“Grazie per la premura, ma un bagno in questa stagione l’avrei evitato molto volentieri ”
disse il comandate con un sorriso neppure tanto accentuato. Dopo il saluto richiama i suoi
“Ragazzi è ora di salpare” e con tutto il gruppo si avvia all’interno del bosco dove li attende la scorta.

Nel frattempo, i graduati con i tecnici, iniziano il controllo del sommergibile. Una volta dentro, i cadaveri non sono la prima cosa di cui si preoccupano. Sapevano che tanto da quel sigaro non sarebbero potuti uscire se non in orizzontale.

“Capo” chiede l’Ammiraglio ” in che condizioni è il gruppo di propulsione”
“Piuttosto malconcio ” risponde ” presumo che siano andati in cavitazione ed i sistemi automatici non siano entrati in funzione, o meglio, da quello che vedo, sono stati esclusi. Devono aver avuto un problema molto serio”
“Tanto serio che ci sono rimasti” gli fa eco il guardiamarina.

Nel mentre l’ammiraglio Brundu recupera gli incartamenti, il libro di bordo ed altre carte che è meglio occultare ai presenti.
Uno degli specialisti, dopo aver visto le crepe sullo scafo si rivolge all’ammiraglio:

“E’ probabile che l’unità si trovi in bilico sul vuoto. Da quello che si evince dalle crepe e dai residui interni pare che la roccia che tiene il sommergibile si stia ritraendo, ovvero, lo scafo stia per sprofondare. Consiglio l’immediata evacuazione”
“Bene” replica l’Ammiraglio “tutti fuori e strappate i porta nome dalle tute dei deceduti e date ordine di fare allagare il CANUSSOR. Speriamo che il peso lo faccia sprofondare in modo che questa storia abbia finalmente termine”

Mentre l’Ammiraglio ed i suoi fanno ritorno alla base, altri iniziano la bonifica.

BASE NAVALE AREN’E ROCCA
Riunione del consiglio di sicurezza della Marina

Abbiamo qui una nota che ci informa che il ritrovamento del CANUSSOR non è stato immune da perdite civili… ammiraglio Brundu, che diavolo è successo?
Signore – l’ammiraglio si solleva in piedi e con le mani giunte dietro la schiena inizia il rapporto – sfortunatamente il sommergibile è stato ritrovato da un fuoristradista che, pare, stesse facendo un piano… un road-book, per ulteriori uscite insieme ad amici.
Siamo certi che fosse solo?
Si, signore, era solo e non potevamo fare altrimenti.
Capisco. Una perdita necessaria dunque! Problemi eventuali?
Viveva da solo e non aveva parenti che possano notare la sua assenza.
Amici?
Stiamo ancora indagando, ma per ora pare che nessuno si sia accorto di nulla.
Ci faccia immediatamente rapporto appena cambia la situazione. In senso positivo o negativo.
Bene signore.
Ora può andare.
Grazie signore. Signori.
L’ammiraglio Brundu esce ed appena si chiude la porta dietro di lui si scarica con un’espirazione che pareva una turbina a piena potenza.
Mentre si accinge a discendere per le scale gli viene incontro un maresciallo con una busta con all’interno una lettera:
Vi spedisco in forma riservata, indirizzato alla casella di cui Voi sapete, quanto abbiamo finora trovato durante l’ulteriore perquisizione dell’alieno.
Tornato presso il suo alloggio, l’ ammiraglio Brundu si dirige verso il centralino dell’impianto elettrico, lo apre e da esso sgancia i tappi ciechi che servono ad occultare gli interruttori mancanti per prendere la chiave della cassetta di sicurezza ove è stata recapitata la “merce”. La cassetta di sicurezza non è altro che una cassetta metallica saldata all’interno di un cassonetto per la spazzatura vincolato a terra, che si trova di fronte al suo alloggio.
Supera l’uscio, controlla che il traffico sia prossimo allo zero, e si avvia a prendere il pacco. Con circospezione apre e richiude la cassetta di sicurezza e ritorna, quindi, nel suo alloggio. Velocemente entra nello studio, si siede, poggia il pacco sulla scrivania e lo apre. Un pezzetto di carta, forse un appunto, o parte di una lettera…..
… si mia cara Maria Teresa, vorrei poter cingere il tuo seno e sentir dei tuoi turgidi capezzoli il calore e della tua lingua il sapore per coronar con l’estasi questo ardore. Ma vedo che d….
L’ammiraglio Brundu rigira più volte quel pezzetto di carta pensando. Decide di chiamare a rapporto il comandante il quale arriva in un lampo, apre la porta lascia aperta di proposito e si presenta
– Comandante Lei ha già controllato chi possa essere questa Maria Teresa?
– Stiamo ancora indagando. Più che altro stiamo cercando il riscontro su altri pezzi di carta che potrebbero esserci sfuggiti al momento della prima perquisizione del fuoristrada e degli indumenti dell’alieno
– Perché continuate a chiamarlo alieno? Ci ha rimesso la pelle per l’incompetenza di Qualcuno..
– Era l’unico nome possibile essendo estraneo al progetto.
– Si va bene, va bene. Ora portatemi risultati concreti. Voglio sapere chi era e chi è Maria Teresa
Il comandante esce rapidamente dalla stanza e si avvia verso la base operativa. Entra. Gli specialisti sono già seduti in attesa di eventuali ordini.
-Signori, bisogna trovare Maria Teresa. Dobbiamo volare bassi, veloci e discreti e controllare in un’area più vasta se vi sono altri pezzi di carta che ci facciano capire cosa stesse scrivendo l’alieno. Ora tutti fuori.
Dopo una perlustrazione durata qualche ora un dubbio assale uno degli specialisti:
– Ma, il corpo dell’alieno, chi l’ha “conservato”
– Io non ho visto alcuno portarlo via – gli fa eco un collega
– Cosa dite, chiediamo al Comandante o ci scortica vivi!
– Penso ci scortichi se non l’abbiamo portato via “noi”, che fine ha fatto?
L’addetto alle comunicazioni apre una chiamata:
– Comandante qui è Congilo, l’alieno con quale astronave è stato rimpatriato?
– Avete trovato qualcosa di strano?
– Ci è venuto in mente che non l’abbiamo visto “partire”
– Vi è venuto in mente? Ma che c…. Faccio delle chiamate e v’informo. Ora gli viene in mente. Ma sono fuori di testa??
– Congilo, cosa ha detto il capo?
– Che ci mangia vivi, siamo nella cacca fino alla tempia.
– Quella destra o quella sinistra?
– Non scherziamo!!! Andiamo tutti in galera se non si risolve.
La chiamata, alla radio di Congilo, gela il gruppo:
– Si signore, certo, ho capito, in quanti arriveranno? bene, no anzi male, signore
Congilo chiude la radio sentendo il classico brivido scivolare lungo la schiena e con voce smarrita comunica:
– E’ sparito. Porca d’una miseria, è sparitooo!
Il gelo percorre le cinque colone vertebrali dei componenti il gruppo mentre Congilo continua:
– Stanno arrivando
– Stanno arrivando chi?
– Il gruppo CICCADDU
– Ciò vuol dire che abbiamo già le “cavigliere pesanti”?
– Vuol dire che dobbiamo darci una mossa: chi può averlo aiutato a nascondersi mentre eravamo tutti di “pulizia”. Cercate tracce di sangue, di trascinamento, di passaggio di qualcuno. Muoviamoci!

Già, che fine ha fatto il mio corpo?

A poche decine di metri dal luogo nefasto, lungo il crinale del granitico monte, si cela una “domus de janas” (casa delle fate) tipico anfratto molto comune in tutta l’isola ed è lì che qualcuno mi ha portato, in modo tanto discreto da passare inosservato fra quel pullular di persone, che forse erano più indaffarate a curiosare nel relitto che a controllare che alcuno avesse accesso al luogo.
Mi risvegliai, nudo, con una strana poltiglia sparsa sul mio corpo, che puzzava così tanto che forse era meglio se fossi morto. Sentivo in lontananza delle voci. Erano sicuramente quelle del gruppo CICCADDU che, per mia sfortuna, stavano perlustrando la zona. Evidentemente, però, cercavano nella direzione opposta a dove ero io dato che sentivo le voci pian piano affievolirsi. Giunge finalmente la notte e mi sento molto più tranquillo, rilassato, quando all’improvviso un rumore di fuscelli calpestati mi fa trasalire:

Ciao, come stai mi chiede una voce calda e rassicurante proveniente dall’ingresso della grotta

Non so rispondo con tono sofferente

Avvicinandosi a me pian piano curva la schiena per non sbattere la testa sulla volta, si inginocchia ed infine si siede accanto

Vediamo la ferita dice tirando su una specie di fasciatura putrida che me la copriva

Io stringo i denti pensando già al dolore provocato dalla sua azione ed invece, niente.

Stai già facendo scene di dolore quand’ancora non ti ho toccato dice con un sorriso appena accennato

Ma tu chi sei? le domando e poi perché sono tutto nudo? Non che ci sia niente da vedere.

Ella tace e continua a scrutare più da vicino la ferita sfiorandola con delicatezza tale da farmi il solletico.

Ti sto facendo il solletico vero? mi chiede e continua è perché la parte si è un poco sensibilizzata ma è migliorata rispetto ai giorni scorsi.

Giorni? Come giorni. Da quanto tempo sono qui? Domande che non ottengono una risposta immediata.

Ad un tratto, alza lo sguardo

Cambia qualcosa sapere da quanto tempo sei qui? Non ti fa piacere essere ancora vivo?

Non era questo che intendevo le rispondo con tono colpevole è che non mi rendo conto di quello che mi è successo. Ho sentito un gran calore ad un certo punto che…

Ti hanno sparato mi dice anticipandomi ma se continui a parlare ti sparo io! Se muovi troppo la muscolatura la ferita si riapre ed evita di eccitarti dice dandomi un pizzicotto sulla guancia e ridendo continua ché potrebbe venirti uno stiramento.

Lentamente si alza per guadagnare l’uscita e voltandosi

Ci vediamo domani notte. Di fianco a te trovi pane e formaggio, un poco d’acqua e, ti raccomando, muovi solo le braccia, non cambiar di posizione.

Chiude con delle frasche l’apertura della domus e se ne va.

Vorrei pensare a cosa mi è accaduto, dove sono, chi è quella donna, ma ho una stanchezza addosso che non mi fa tenere gli occhi aperti. Così crollo in un sonno così profondo che non mi accorgo neppure dei tuoni e dei fulmini che imperversano impietosi sulla mia testa: un temporale estivo. Una cosa buona il temporale la stava facendo: interruppero le ricerche. D’altro canto, però, iniziavo a sentire un po’ di fresco e non sapevo come coprirmi quand’ecco che ricompare la mia ”fata”.

Hai freddo?

Sei venuta a coprirmi?

Eh, ti piacerebbe mi dice in tono scherzoso ed allegro, e continua
ti ho portato un telo asciutto di lino per tenerti un po’ al caldo. Come va?

Oggi sto meglio rispondo con voce più ferma ma tu, da dove sei spuntata fuori?

Sto nell’ovile di mio fratello, curo il gregge dato che lui è… indisposto.

Ah, sta male ed è ricoverato?

Lei, titubante risponde
Per altri otto anni dovrà stare in “cura”, eh si, altri otto.

Da quella risposta capisco che il fratello si trova in carcere. Chiudo quindi la bocca per un lasso di tempo necessario a ricompormi dalla brutta figura e riprendo

Di che colore hai gli occhi?
Lei non mi risponde ed io passo oltre
Se vuoi parliamo della crisi finanziaria che attanaglia il nostro paese o della fame nel mondo

Verdi, li ho verdi mi risponde come se anche quello fosse un segreto

Bel colore! Anche io, ma solo quando c’è il sole, altrimenti sono marroni.

Lo so e prende ad accarezzarmi il viso dandomi uno schiaffo finale ma i miei sono di giada e non si nascondono all’imbrunire mentre i tuoi, si, sono carini: solo gli occhi però!

A questo punto velocemente si alza e mi dice
Domani penso che potrai alzarti. È prevista pioggia per un paio di giorni quindi dubito che vengano a cercarti.

Aspetta! Le rispondo
ed i miei vestiti? Mica posso alzarmi, cioè posso alzarmi ma

Sto aggiustando quelli di mio fratello, te li porto quando pronti e sorridendo aggiunge: tanto, non c’è niente da vedere.

In effetti stavo già meglio. Me ne rendevo conto anche perché iniziavo a mangiare come un lupo, riuscivo a fare i miei bisogni in maniera quasi civile e la ferita non mi dava granché fastidio. Iniziavo a pensare insistentemente a quella donna che mi aveva salvato mettendo a rischio la sua incolumità, quando ad un tratto un pensiero m’assale: ma questa cosa vuole da me? Mi ha portato via i vestiti perché ha paura che possa scappare o perché avendo esperienza di ricercati ha eliminato gli odori per gli eventuali cani?
Nel frattempo le ricerche non si erano fermate ma avevano subito un cambio di strategia: era tempo di sorvegliare senza farsi vedere. Appostamenti diurni e notturni tutt’intorno disposti dal gruppo Ciccaddu, avevano messo in allarme anche la mia ospite che ora veniva a trovarmi solo in quelle ore dettate dalle greggi.

Bisogna cercare una via d’uscita mi disse non è più possibile tenerti nascosto qui. Rimane poco tempo.

Dopo un attimo di silenzio prendo la parola
Questa notte è l’ultima: scappo verso il mare o verso il monte?

Non lo so, la zona è circondata. Dovresti camuffarti da pecora o da pastore maremmano. La pelle di pecora c’è, solo che scappare a 4 zampe mi sembra che ti venga in salita; per di più la notte le pecore dormono.

Se mi travestissi da pastore?

Ti prenderebbero subito: non ti hanno visto arrivare, quindi non puoi materializzarti così all’improvviso.

Il tempo passa in silenzio.

Ascolta, se mi travestissi da donna? Ti hanno visto arrivare e se vedono me uscire con i tuoi vestiti forse ce la posso fare.

No, facciamo che porto qui il camion per trasferire le pecore e tu sali insieme a loro: ti sporcherai non poco e profumerai di sterco per un bel po’ ma forse riuscirai a cavartela.

Deciso, facciamo così rispondo prontamente.

Ecco che di prima mattina arriva con il camion

Dai, mettiti la pelle addosso e stai insieme al gregge; ti raccomando di non perdere il passo e stai sempre con la testa china; una volta salito sdraiati sul fondo e tieniti stretto alle pecore.

Una volta fatto il carico la ripartenza non è una cosa facile: il primo posto di blocco è proprio subito dopo l’ovile e così anche il primo controllo.

Si fermi qui di lato: dobbiamo controllare il carico.

Io ero faccia a terra soffocato dalla puzza del letame senza poter muovere un muscolo ma riuscii a scamparmela. Almeno per questa volta. Il viaggio era massacrante fra i sobbalzi e la puzza insopportabile e gli zoccoli dei quadrupedi che mi trafiggevano ad ogni curva. Ad un tratto il camion rallenta e penso che il peggio fosse passato ma come sto per sollevarmi sento una voce:
Si accosti per cortesia, da dove viene e dove sta andando.

Non sento la risposta perché la cabina del camion mi fa da scudo.

Ha il permesso per il carico? E’ possibile che voi pastori non dobbiate mai rispettare la legge? Quante pecore trasportate?

La cosa mi mette paura, tutte queste domande sono il preludio ad una perquisizione.
Quante pecore sono? Strano, mi sembravano meno. Dobbiamo contarle.
Ma come, gli dà un numero maggiore e questo vuole contarle. Non posso dire di essere sbiancato dato che sono pieno di cacca dappertutto, ma me la sto facendo addosso.

Va bene le contiamo da fuori: Melis, salga sulla ruota e le conti.

Sento come il piede sale sulla ruota posteriore del camion e la mano fa forza sulla sponda per salire. Io ancora rimango pietrificato, a momenti non respiro neppure.

Sono trenta o quaranta, circa.
Per adesso vada, ma si ricordi che ci vuole il documento di trasporto e la prossima volta le sequestrerò tutto, carico e mezzo. Buongiorno.

Il camion riparte, lento ma riparte. Finalmente lo sbattimento finisce, forse abbiamo raggiunto l’asfalto. Forse ora siamo al sicuro. Il camion si ferma, non si sente nulla se non l’aprirsi ed il richiudersi dello sportello della cabina.

Dai, è il momento di scendere. Sicuramente dietro la curva c’è un altro posto di blocco. Li si mettono sempre.

Mi alzo tutto dolorante e scendo di gran fretta come mi dice. Faccio per salutarla ma lei mi esorta a scappare subito verso il bosco, prima che dal posto di blocco arrivino insospettiti dal fatto di sentire solo il motore del camion e non il suo arrivo. Non la lascio finire che mi lancio immediatamente dentro un cespuglio. Avevo fatto bene: una camionetta si avvicina.
Sento che chiede informazioni su quella sosta.
Allora? Come mai si è fermata proprio qui

Altre due persone controllano in giro ed il cassone del camion.

Mi si è aperta la sponda, forse al controllo precedente non ho richiuso bene e si è sganciata.

Dove l’hanno fermata?

Qualche chilometro fa, mi hanno controllato il carico; mi hanno contato pure le pecore.

E perché la sponda era sganciata? Le pecore le hanno contate sicuramente da fuori.

Si, ma io pensavo che volessero entrare a contarle e ho iniziato a sganciare.

D’un tratto, tradito da un ramo faccio un rumore che mette in allarme un militare che punta verso di me l’arma.

Chi è la ovviamente io non rispondo.

Lo fa per me la mia salvatrice
Non spari, sarà il mio cane che sta pisciando.

Non ci avevo fatto caso ma avevo ancora la pelle di pecora addosso e da lontano potevo sembrare un cane. Almeno così speravo. E così fu.

Va bene, torniamo al posto di blocco. Lei vada appena il suo cane ha finito.

Adesso non mi restava che attendere che la camionetta sparisse dietro la curva per levarmi quella pelliccia puzzolente e lo sterco delle pecore dal corpo. Non feci in tempo a ringraziare la mia salvatrice: vidi il camion ripartire in gran fretta e mi prese lo sconforto. Ero quasi salvo, ma mi mancava comunque qualcosa. Forse quel grazie che non ero riuscito a dirle. Lì vicino scorreva un rigagnolo che formava una pozza con acqua più o meno pulita. Ne approfittai per darmi una veloce e sommaria ripulita. Non vedevo l’ora di mettere sotto i denti qualcosa. Quando riemersi da quella pozzanghera, feci troppo rumore. Non ero solo ed era un giovedì. Uno di quei giovedì di caccia al cinghiale e, anche se io non lo ero, il pallettone che mi raggiunse non distingueva un cinghiale da un uomo sporco quanto un cinghiale. Peccato, ce l’avevo quasi fatta.

Pierluigi Mancosu

 

 

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