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Pioggia di Vetro – di Elisa Gaggiolo

Corri..corri…corri…
I passi rapidi e decisi incedevano sull’erba bagnata mentre il respiro si faceva affannoso formando inquiete nuvole di fumo nell’aria gelida della notte.
Gli alberi alti bucavano il manto celeste lasciando intravedere qualche timida stella mentre i raggi freddi della luna a malapena illuminavano il terreno.
Non ci prenderà..non ci prenderà…
La sua mano strinse con fare ancora più deciso quella di lei.
La triste gonna grigia che ondeggiava nel vento, i boccoli biondi che sobbalzavano ad ogni passo, il liquido caldo che scendeva lento sulle gambe nude.
La paura in quei grandi occhi azzurri.
Devo salvarla…devo proteggerla…
I piedi nudi di lui incespicarono contro una radice scoperta facendolo barcollare ma non cadde. Ritrovò l’equilibrio e trascinò accanto a se lei, asciugandole le guance rigate di lacrime. L’odore del sangue gli fece bruciare le narici. Si guardò in giro preoccupato. Dove erano?
Non aveva mai esplorato quella zona del bosco.
Merda…merda..merda…
Sentiva il suo corpicino tremante avvinghiato a lui nel buio. Intorno a loro il silenzio. Se da una parte ne aveva paura, dall’altra ne era sollevato: significava che lui era lontano. Che non li avrebbe presi. Cercò di scacciare dalla mente tutte le storie dell’orrore che suo cugino Maika gli aveva raccontato, secondo lui c’erano uomini che con la luna piena si trasformavano in lupi giganti! Non poteva essere vero!
Cosa faccio?! Cosa faccio?!
La sentiva singhiozzare silenziosamente, in modo composto abbracciata a lui, con la testolina bionda affondata nella sua camicia a quadri di flanella.
Crick..
Il rumore di un rametto spezzato!
Non aveva tempo da perdere.
La prese in braccio barcollando un po’ e tentò di correre il più che poteva, ma era troppo magro per reggerne il peso senza fermarsi a prendere fiato qualche metro più avanti.
Erano spacciati.
Lei non poteva più correre, era esausta.
Il sangue continuava a scenderle lungo le gambe, e non accennava a fermarsi, non c’era ferita da poter medicare, doveva essere dentro.
Siamo salvi! Siamo salvi!
Una casupola a pochi passi da loro, con una luce fioca che traspariva dalla finestra. La capanna di qualche cacciatore senza dubbi.
Un ultimo sforzo…
Raccolse tutte le sue forze e prese sua sorella Ivye in braccio stringendola con forza contro il suo petto gracile. Corse a perdifiato lasciandosi quasi cadere davanti alla porta di legno scuro. Bussò insistentemente ma nessuno rispose. La porta però era aperta. Senza pensarci due volte la aprì e si fiondò dentro, erano al sicuro.
Lasciò Ivye a terra.
Il buio li circondava.
Fatta eccezione per quella fiammella sul davanzale della finestra.
Strano.
La casa sembra disabitata.
Accarezzò la testolina bionda della sorellina e si avvicinò al davanzale, dalla finestra poteva vedere il bosco placido e quieto nel silenzio della notte, forse erano al sicuro?
Plin
Qualcosa gli bagnò una mano, una macchiolina rossa.
Plin
Si voltò di scatto dopo che un’altra goccia gli sfiorò la guancia, ma sua sorella non poteva essere, era ancora seduta ad occhi chiusi dove lui l’aveva lasciata.
Plin
Questa volta la gocciolina gli cadde proprio sulla testa, Tommy alzò gli occhi.
Un uomo era appollaiato su una trave di legno bassa.
Occhi neri come la pece.
Lunghi capelli bianchi come la luna che risaltavano in quel buio spettrale.
Una lunga camicia stracciata.
Un grande sorriso bianco sul volto.
Un’ascia insanguinata tra le mani.
«Vuoi giocare Tommy?»
Quelle furono le ultime parole che il piccolo Tommy Bennet, di 13 anni, udì.

 

Elisa Gaggiolo

 

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