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Perché scrivo – Racconto di Luciano Landini

Scrivo perché mi piacciono le parole, perché mi sembra bellissimo il loro suono mentre vengono lette concatenate ad altre per esprimere concetti e sentimenti. Le apprezzo anche quando non hanno un apparente senso concreto ma la loro sonorità ed il ritmo del testo le fanno poesia oltre il significato.
È affascinante pensare che l’apparire di questi tratti convenzionali su una superficie mette in relazione menti di individui che prima potevano non conoscersi.
Con la scrittura il messaggio si trasmette e dura nel tempo, può passare di persona in persona, più forte o più attenuato a seconda della sensibilità di chi legge e del periodo che è passato dalla sua produzione. Il brano non rimane statico ma può modificare la sua importanza a seconda dei cambiamenti dell’individuo e dei costumi delle epoche.
Quale altro mezzo espressivo è così radicale e scarno? La scrittura nasce muta ed é soprattutto il suo significato la misura del suo valore. Solo la grafica, intesa come variazione di carattere o come impaginazione, può modificarne l’impatto emotivo. Solo la lettura ad alta voce può ampliarne o diversificarne la portata.
È la persistenza sul foglio delle parole che permette il costituirsi, meglio della tradizione orale, di una formazione e trasmissione culturale.

Mi piace scrivere perché veder correre i caratteri in corsivo lungo un rigo mi rimanda all’immagine dell’equilibrista che cammina sul filo. I pensieri si traducono in parole che si succedono in sequenza, a volte indugiano prima di poggiarsi, prima di essere punto fermo per il passo seguente e di piede in piede portano a superare il vuoto che ostacola il raggiungimento dell’altra sponda della comunicazione. Quando poi uso il corsivo le parole mi appaiono come braccia che si danno le mani per legare un girotondo di termini che racchiudono soluzioni e speranze. La profondità e l’irregolarità del tratto, l’inclinazione delle lettere aggiungono un connotato di stile che rende unico e rivelatore il testo in corsivo.
È per questo che con la parola stampata serve ancor più energia, perché scrivere è esprimere, dare corpo, tempo, pause ai prodotti della fantasia; scrivere è correlare creatività e comunicazione, traslare i sensi e fissarli per trasmetterli.

Da bambino ho sempre ascoltato con curiosità i racconti degli anziani, poi ho continuato a seguire altre narrazioni, finché mi sono reso conto che le storie erano il motore delle relazioni degli uomini tra loro e con il proprio essere. Molti dei fatti che avevo udito erano testimonianze che, secondo me, non dovevano essere smarrite, i miei figli, coloro che mi corrispondevano dovevano conoscerli per giovarsene e anche per ritrovare e magari riconoscere in ogni testo l’intenzione che mi aveva indotto a scriverne. L’intenzione era di appropriarsi dell’atmosfera intensamente umana e pregna di tradizione che pervadeva i dopocena estivi quando le famiglie toscane, nei paesi cercavano refrigerio dalla calura del giorno, quando i vicini si attardavano all’aperto seduti “a veglia” per raccontarsi storie sotto un cielo stellato, tra il canto dei grilli.
Noi piccoli seguivamo quelle voci stupiti, a bocca aperta in quel tempo felice in cui c’erano ancora le lucciole.

È per questo che, a volte, cerco di fermare sulla carta il fluire delle parole.

 

Luciano Landini

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