Perché – Racconto di Antonio Zago

4 Settembre 2017

Bellissima!...e grigia. Anzi, intinta nelle sfumature del grigio: una piccola città in grigio-verde, percorsa da stradine, attraversata da marciapiedi e portici, forata da androni, sottopassaggi, rientranze e nicchie, piena degli echi di altri luoghi, di portoni che si aprivano più in là, che si lasciavano intravedere nella penombra. Il grigio

Perché - Racconto di Antonio Zago

Bellissima!…e grigia.
Anzi, intinta nelle sfumature del grigio: una piccola città in grigio-verde, percorsa da stradine, attraversata da marciapiedi e portici, forata da androni, sottopassaggi, rientranze e nicchie, piena degli echi di altri luoghi, di portoni che si aprivano più in là, che si lasciavano intravedere nella penombra.
Il grigio era un pastello che si addensava nei porticati, ma senza mai mutarsi nel nero. Lo si sarebbe detto, piuttosto…un fumo di Londra?…una tinta indossata con disinvolta eleganza.
Era una città che si lasciava prendere piano, con sapiente pazienza.
Anche quella volta però era arrivato troppo presto: un viaggio senza contrattempi.
Così, trovata la residenza del notaio, e dopo essersi assicurato d’aver imparato a memoria il tragitto, decise di regalarsi il tempo guadagnato vagabondando per la città: stradine acciottolate, la fragranza solenne del Duomo, l’Accademia, le aiuole, i giardini…
Insomma, una meraviglia!
Ma seguitando lentamente un’edera antica, stesa su un muricciolo, gli capitò di trovarsi d’un tratto davanti ad una vecchia villa: imposte socchiuse, una cancellata a separarla dalla stradina, al piano terra gli archi e le vetrate di una serra da cui si affacciavano il verde amaro delle piante di gelsomino ed il giallo arrogante dei limoni.
Camminando, si accorse che al confine, posta quasi a pietra d’angolo della recinzione, c’era una colonnina di marmo macchiata dal tempo e dai licheni.
Sopra, ad ali spalancate nell’atto di spiccare il volo, la piccola statua di un rapace, ingrigita anch’essa dagli anni e dalle muffe. Sulla colonnina, in scuri caratteri d’ottone, la scritta:
AL GUFO – P.R S.M.RE MA.D…E..
Di lato restavano i fori dove si erano aggrappate le piccole dita delle lettere mancanti.
“Curioso “pensò.
Guardandosi attorno, vide che la recinzione fungeva da quinta ad un piccolo slargo, un’area pedonale lastricata di ciottoli di fiume: una piazzetta.
PIAZZETTA DEL GUFO – recitava la targa stradale.
“Ah, beh! “commentò sottovoce.
Infine, sulla facciata della casa posta a chiudere gli altri due lati della piazza lesse una piccola insegna colorata.
OSTERIA ALL’ANTICO GUFO
“Accidenti, esclamò tra sé e sé, UN gufo…DUE gufi… però TRE sono davvero troppi! “
E così, col passo deciso di chi vuol capirci qualcosa, attraversata la piazzetta entrò nel piccolo bar: c’era ancora tempo per un caffè e forse anche per ottenere qualche informazione. Dentro, nessun’altro avventore. “Troppo presto anche qua “si disse.
Dietro al bancone, soltanto una ragazza che asciugava stoviglie.
“Caffè macchiato caldo “ordinò.
In realtà avrebbe voluto chiedere subito “Ma…il gufo?…” Invece, sorseggiando, preparò la domanda con cura, non volendo manifestare appieno la propria curiosità.
No! la ragazza non sapeva nulla di gufi…un nome, un’insegna come tante altre.
“Ma aspetti, aspetti…forse la padrona…sa, è vecchia, e m’è parso d’aver sentito che già i suoi nonni …”
Chiamata, venne dal retrobottega una vecchina che gli anni avevano ricoperto di severi abiti scuri, lasciandole però un sorriso gentile e uno sguardo curioso da ragazza.

“Ah si! Certo…
quel posto si era sempre chiamato così, per via di una vecchia storia che da bambina aveva sentito raccontare tante volte dal nonno.
Si diceva che il Gufo fosse un giovanottone del nord, addirittura un “garibbaldino“ uno di quei ragazzi belli e spavaldi che non possedevano niente, tranne ricci e sorrisi.
Lo chiamavano “Il Gufo“ perché era perennemente a caccia di ragazze, usciva anche di notte a cercarle, come un rapace, e quante ne trovava tante ne faceva innamorare. Pare che fosse arrivato in città al seguito di Garibaldi, che era stato invitato dal podestà a tenere alla popolazione non si sa più quale discorso “ patriottico “ e che si fosse fermato per almeno un mese nella villa di un signorotto, requisita appunto per ospitare i soldati, proprio là all’ingresso della piazzetta.
Ma il padrone della villa, vedovo, possedeva anche una figlia, una ragazza dolcissima e ingenua… e così il Gufo non dovette neppure uscire a rapina….
Ma quella volta capitò qualcosa di nuovo e di diverso: capitò che dopo un mese di sguardi e sorrisi, e poi di baci e carezze scambiati in fretta nella garza d’ombra di un corridoio o di un androne, il Gufo si innamorasse davvero di quell’esile gentilezza, come mai gli era successo fino ad allora. Forse era davvero arrivato il tempo che anche il rapace trovasse il suo nido…
Ma il signorotto…noo!! Sua figlia? Sua figlia ad un avventuriero? A uno qualunque, a uno che gli aveva anche occupato la casa?? No, no, no…
E poi, a lui, Garibaldi…mai piaciuto davvero!
Non disse niente, non domandò, non proibì, neppure parlò con la figlia: ma l’ultima sera, alla vigilia del giorno fissato per la partenza, il Gufo non rincasò.
La mattina dopo lo cercarono dappertutto, ma insomma non c’era proprio più tempo, Garibaldi doveva partire per “Fare l’Italia!! “
Così, il Gufo venne frettolosamente dichiarato “disertore“ e fu avviata ufficialmente un’inchiesta.
Lo trovarono per caso, quindici giorni dopo, con la gola tagliata nel vallone delle ginestre.
Venne inviata una missiva anche a Garibaldi (che chissà dov’era e quant’era occupato…comunque non rispose). Il Gufo venne seppellito in fretta, in fondo a nessuno interessava cercare davvero.
Oh, in città se ne parlò, qualcuno cominciò anche a malignare. Ma poi vennero i fatti clamorosi del maggio 1867 e la storia fu completamente dimenticata.
Ma di lì a qualche tempo, e subito dopo la morte del vecchio signore, una mattina due operai misero a dimora, al confine della recinzione come se fosse stata una pietra d’angolo, una colonnina di marmo con sopra la statua di un rapace nell’atto di spiccare il volo verso il cielo intinto di grigio, e la scritta, in piccoli caratteri d’ ottone:

AL GUFO – PER SEMPRE – MADDALENA

La colonnina è ancora là, al confine della recinzione e del tempo, ma adesso quasi nessuno ricorda ancora perché.

 

Antonio Zago

© Riproduzione Riservata