Sei qui: Home » Racconti » Passi di luce e tenebre nel cuore – racconto di Rosalda Schillaci

Passi di luce e tenebre nel cuore – racconto di Rosalda Schillaci

Andrà tutto bene continuo a ripetermi ormai da un anno, ma da ieri sera ho rinunciato a crederci. Come sono lontane le immagini serene della mia famiglia: quando il fogliame degli alberi, del nostro giardino, giocava con i raggi del sole lasciandosi andare, a una danza suggerita dal vento. Dove mi trovo adesso, l’ombra azzurrina dei boschi all’orizzonte diventa più grigia; il nero della roccia lavica rende lugubre il paesaggio. Sono un imprenditore di un’attività fiorente.

Sposato e padre di tre figli. Impresa ereditata da mio padre di cui ancora avverto il fastidio di un tono inflessibile, di parole lanciate come pietre: “sei un buono a nulla, non riuscirai mai a tenerti niente…”.

Mi frana un sasso sotto i piedi, barcollo. Sono frastornato. Cosa mi succede? Cosa sto pensando? Dietro le quinte ho mentito, rubato, tradito, ho seppellito mia madre in un ospizio: come potrei mai rovinare la scena rappresentata per il mondo con un divorzio? Con una verità dura da accettare dovrei riconoscere che mio padre aveva ragione. A quarantacinque anni mi accorgo di essermi perso nella vita così come su questo sentiero, ma mentre le ombre della sera consumano il tempo del giorno, chiudo per un attimo gli occhi e tutto sembra prendere forma con contorni netti, chiari. Senza amici, con mille conoscenti, sono cresciuto viziato, egoista e vuoto.

Queste sono le parole che mia moglie ha pronunciato fra le lacrime ieri sera. Io ho ascoltato in silenzio. Pensavo di averle dato sempre tutto lei mi ha rimproverato lunghe assenze, lunghi silenzi, i tanti tradimenti e la mancanza d’amore per lei e per i nostri figli. Prigioniera in una gabbia dorata ha fantasticato di barche di pescatori che prendono il largo, di grida di gabbiani, del blu di acque profonde, del richiamo di cime misteriose, di profumi inebrianti di fiori che avrebbe voluto mostrare ai nostri bambini. Laura, diventata mia sposa a vent’anni. Sì ho pensato fosse mia: come l’auto, la casa in città, al mare, in montagna. Io il padrone del mondo ieri sera ho visto la mia vita sgretolarsi. Ho riempito una valigia e sono andato via. In albergo non ho chiuso occhio e così all’alba sono uscito.

Il mio fuoristrada, dopo un lungo girovagare mi ha condotto sull’Etna, dove mi sono inoltrato in un percorso poco battuto. All’improvviso mi sento in gabbia anch’io dentro l’auto. L’abbandono. Ho bisogno di camminare, Scorgo il contrasto della natura: fra scarsi cumuli di neve fa’ capolino il nero della roccia. Bianco e nero … come la mia vita che non ha conosciuto tinte grigie. Il tempo sembra essersi fermato, ha un andamento lento, assorto mentre i miei pensieri diventano veloci e non mi danno tregua. Si sono spezzati i fili, troppo fragili, non riescono a tenere unita la mia famiglia. Ho fatto finta di non vedere che mia moglie piangeva di notte, si mordicchiava le unghie, ingoiava antidepressivi e si allontanava da me. Ho un brivido nella schiena ma non è solo per il freddo; mi scopro un desiderio irrefrenabile di regredire, vorrei che nessuno pretendesse più nulla da me, vorrei riposare appagato come un bambino attaccato al seno di sua madre.

Ora sono qui su questo sentiero senza perdono né dagli altri né da me stesso: senza l’ultimo saluto a mio padre sul letto di morte, senza mai una carezza a una madre che non mi insegnato a riceverle e a donarle. Un vuoto doloroso costella la mia storia riempito solo dai rimpianti di ciò che è stato, di ciò che è, di ciò che non sarà mai più. Vorrei scoprire come si cammina senza scarpe sull’erba. Si sta levando il vento, un ramo secco cade ai miei piedi e mi fa’ sussultare. Tutt’attorno la natura sta variando aspetto come sconvolta da una mano invisibile ma potente. Il vento urla, penetra mi avvolge e io come lui non so da dove vengo né dove andrò. Io sono un albero che sta perdendo foglie e non posso fare nulla per fermarle. Mi sento nudo, indifeso come un ramo spoglio e secco. Sono il fantasma di un bambino curioso, di un adolescente turbolento, di un giovane inquieto, di un adulto spregiudicato. E come un fantasma sparisco nella luce del giorno.

La disperazione delle sue lacrime mi ha fatto scavare nel profondo, trovando ira, amarezza e una gran fatica a perdonare tradimenti e bugie, così come per anni ha fatto lei. Non sono stato un compagno presente, Laura mi ha confessato di essersi innamorata di una donna. Non c’è più luce, tendo la mano attraverso un cespuglio, apro un passaggio scostando i rami più intricati. Non vedo nulla al di là di quella barriera di foglie ma sento pungere le spine. Respiro profondamente. Sono stanco di avere il cuore duro come questi sassi, smarrito e chiuso come un riccio. Basta menzogne a me stesso e agli altri. Via la maschera ma quanto dolore per tirarla via! Lacrime e sangue nel sentiero creano la nuova via: una strada con arterie gonfie di paura. Dalla montagna è scesa troppa acqua sporca piena di detriti.

Il cupo brontolare dell’Etna mi sprona al capolinea. Non è più tempo di brancolare nel buio, di vagare ancora senza meta. Devo andare avanti, ormai non posso tornare indietro. Giorgio troppo a lungo sei stato sulla carreggiata sbagliata. Adesso che sei arrivato sull’abisso, mi dico, devi andare dove ti guida la voce profonda che risuona come un’eco. Nella vera strada dove nessuno ti viene incontro dove ci si abbandona alle pulsazioni intime, segrete. La strada spianata da altri per molti aspetti è stata comoda adesso al pedaggio mi è stato presentato il conto. La meta di quella strada è forse il santuario moderno che non ho mai frequentato. Passato il crepuscolo mi restano, un sogno infranto, vetri aguzzi da ingoiare, passi di luce e tenebre nel cuore, mi rivela una lacrima, sentendomi finalmente vivo; mentre la luna mi indica la via.

Né marito né padrone. Finalmente padre e buon amico. Che il tramonto sia alba, che la fine sia inizio. Senza l’ombra dell’addio, ritaglio una speranza fra il chiaroscuro dei giorni delle insolite cose. In attesa di un giorno che forse non arriverà.

 

Rosalda Schillaci

© Riproduzione Riservata