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Nel bosco incantato – racconto di Daniele Bianchi

“Zei proprio zicura ghe è ztazera?”, bofonchiò Ofelia tirando su col naso e spaven-tando i tre corvi neri che fino a quel momento se ne erano stati tranquillamente appol-laiati sui rami più alti del fico centenario.

La notte prima nonostante le raccomandazioni di Morgana, fattucchiera diplomata in trucchi e sortilegi di seconda classe, aveva volato sulla scopa senza il foulard e il giubbino catarifrangente, rischiando un incidente diplomatico e buscandosi un brutto raffreddore, perché lei era una strega moderna e le streghe moderne non portano le calze, indossano il reggiseno a balconcino e soprattutto se ne infischiano delle regole.
“Si”, rispose secca Morgana porgendogli un fazzoletto di stoffa, giacché trovava quelli di carta più difficili da affascinare.
“Grimalda, Centella e Libauria hanno lucidato a dovere i loro calderoni e stanno già raccogliendo le erbe sacre”, bofonchiò scura in volto.
“Cosa vorresti dire?”, gli domandò Ofelia aggiustandosi il cappello a punta tornato di moda tra le giovani generazioni.
“Non saranno certo quattro radici secche a fare la differenza”, aggiunse scocciata.
“Il tempo è prezioso e non deve essere sprecato”, abbaiò Morgana che non amava essere contraddetta.
“Mi spiace ripetere sempre le stesse cose, ma questi atteggiamenti rivoluzionari stanno spingendo il tuo treno su un binario morto. Laggiù scorgo un cespuglio d’ortiche. Guarda com’è verde e rigoglioso. Sarà magnificamente urticante e sicura-mente più efficace dello zenzero”.
“Prendi la cornucopia”, aggiunse inspirata.
“Si”, sbuffò Ofelia.

Assieme alle ortiche raccolsero anche qualche ciuffo di cerfoglio, della borragine e naturalmente del buonenrico e della sanguisorba.
Soddisfatta Morgana estrasse dalla manica della palandrana la sua bacchetta magi-ca e dopo averla agitata pronunciando alcune parole magiche, creò un fuoco azzurro su cui materializzò il pentolone già pieno di un liquido ambrato che iniziò a sobbolli-re.
“Non raggiungiamo le altre?”, le domandò Ofelia sputando la cicca.
“Siamo in ritardo sulla tabella di marcia”, sospirò Morgana agitando nuovamente la bacchetta per vaporizzare quel rifiuto gommoso.
“Getta tutti gli ingredienti nel calderone e poi mescolali con questo”, aggiunse porgendole una bacchetta di sambuco.
Ofelia fece quello che le aveva chiesto e con un boato fragoroso che zittì tutti i cu-culi nel raggio di cinque chilometri, il liquido da ambrato divenne verde scuro, mentre un profumo delizioso si spandeva nel bosco attirando l’attenzione dei fulvi scoiattoli intenti a fare l’inventario delle loro scorte invernali.

“Ma questo è un minestrone”, esclamò la ragazza meravigliata, perché pensava che la strega stesse preparando un filtro d’amore.
“Certo mia cara e dei più appetitosi”, sorrise Morgana dopo averlo assaggiato.
“Stavolta i giudici dovranno ammettermi alla Prova del Fuoco. Sono mesi che mi alleno cucinando manicaretti degni dei più grandi chef senza essere presa in conside-razione, così ho deciso di cimentarmi con dei piatti più semplici: sfido chiunque a re-sistere alla mia zuppa capace di resuscitare i morti”.
Ofelia rise in modo sguaiato.
“Guarda che non sto scherzando”, sospirò Morgana.
“Ora ti faccio vedere”, sussurrò versando un po’ del liquido fumante su un fungo porcino, il quale in realtà era l’estremità superiore di uno scheletro che scattò fuori dalla terra umida come una molla e sparì scricchiolante nel bosco, lasciando la giova-ne senza parole.

(A nonna Pierina e al minestrone che per ore e ore borbottava nella penombra della sua can-tina, stuzzicando lo stomaco e la fantasia di noi bambini).

 

Daniele Bianchi


 

 

 

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