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L’utente da lei chiamato non è al momento raggiungibile – Racconto di Francesca Tamani

Si fa presto a dire “ Io parto”. Già per le persone normali, partire significa fissare una destinazione, magari prenotare una stanza in un albergo, un biglietto aereo, controllare l’itinerario migliore. Per me no. Per me partire è una battaglia contro l’ansia, le paure e problemi logistici di medie o grandi dimensioni. Perché io sono Zoe, faccio l’insegnante e vivo sola con mia figlia. L’estate come ogni anno è arrivata. Da sempre le mie vacanze sono state scandite dai ritmi scolastici, quando ero studente aspettavo giugno per liberarmi dei miei insegnanti e godermi un’estate con gli amici, ora che sono insegnante aspetto giugno per lo stesso motivo dato che non sopporto i miei colleghi. Nella categoria degli insegnanti solo una piccola percentuale paragonabile al 2% rimane sana di mente, gli altri rappresentano un catalogo di casistiche umane che vanno dal frustrato, all’esaurito passando per l’autoritario insicuro e la frescadistudisonodueannicheinsegnomasotuttoio. Ragion per cui giugno rappresenta per me come un’oasi nel deserto, momento nel quale rigenerare corpo e mente e cancellare per almeno tre mesi facce e voci sgradite con le quali convivo durante tutto l’anno. Non parliamo degli alunni. Tolti i due o tre sinceramente affezionati e per i quali provo stima. Spesso sono quelli che mi ricordano come ero io ai bei vecchi tempi. Tutti gli altri sono un concentrato di capricci, pigrizia e puerilità.

“Ma è Giugno! Basta parlare di scuola! – dice mia madre mentre stiamo viaggiando verso il Lago di Garda- anzi facciamo un gioco, chi nomina la parola scuola paga pegno. Dovrà sborsare 5 euro ogni volta”

Mi figlia seduta sul sedile posteriore insieme alla sua amica, si è dovuta far ripetere due volte i termini della scommessa e cosa l’avesse scaturita, dato che era rintronata, con relativo sguardo perso nel vuoto, dalle sue cuffiette con musica coreana. Credo che il rischio di pagare pegno lei e la sua amica non le sfiori neanche. Pronunciare insieme le due sillabe:“Scuo” “ la” costituisce una vera e propria fatica  per un adolescente che si sveglia sempre alle 2 del pomeriggio, si trascina dal letto al tavolo per ingurgitare ad occhi chiusi una merendina per poi  tornare sul letto in modalità online fino all’ora di cena. Poi due sillabe che rappresentano uno degli incubi maggiori per lei. Luogo di profondo sacrificio sgravato dal fatto che, per agevolare almeno l immane sforzo di svegliarsi all’alba e prendere il bus insieme agli altri esseri umani normali, la nonna premurosa la accompagna personalmente in auto tutte le mattine per evitare traumi infantili di qualsiasi genere alla adorata e fragile nipote.

Forse però, mia madre aveva ragione, non sull’accompagnare a scuola mia figlia. Sia chiaro  .Ma sul fatto che dovessi staccare la spina dal lavoro. Dopo tre anni pesantissimi durante i quali Dio solo sa quanti curriculum ho inviato senza ricevere risposta, forse mi meritavo un pò di spensieratezza. Insomma affacciarsi ad un’estate che arriva con quella leggerezza, anche se velata da un leggero strato di rassegnazione, che però ti fa vivere con la testa sgombra da pensieri, dove il tuo primo gesto quotidiano non sia il controllare la posta o il cellulare in attesa di una risposta o una convocazione. Ma si, pensare un po’ a quelle cose che facevo “ prima”, quando questi pensieri non c’erano, la vita era bella e si potevano mangiare anche le fragole. No. Questa è una canzone sto divagando  .Si insomma, “ prima”, quando mi perdevo in soffitta alla ricerca di vecchi mobili da restaurare, da dipingere o tiravo fuori la scatola dei colori e mi mettevo a disegnare giornate intere, poi via in piscina e fuori con gli amici..

 

Tornate dalla giornata al Lago di Garda, mia madre saluta, infila la porta e sparisce. Dalla morte di mio padre è scomparsa anche lei. La sua presenza fisica c’è ma tutto il resto se ne è andato con lui. L’ho sempre detto che sono diventata orfana in un colpo solo. Mia figlia e la sua amica scendono dalla macchina, sempre sotto anestesia  totale, si salutano senza emettere suoni secondo un loro codice segreto fatto di gesti e sguardi che fanno trapelare la vitalità di un bradipo appena sveglio, entra nella sua cameretta, chiude la porta. Sparita anche lei.

Il mio compagno, quello è in perenne assenteismo, lavora sempre fuori casa per trasferte lunghissime. Ogni tanto appare, mangia, si fa una doccia, prepara la borsa per la prossima partenza. Bacio sulla porta e via.

Così io mi ritrovo al centro di un universo nel quale mi sembra di essere il centro statico, sempre presente col corpo e con la mente, attorno al quale ruotano una serie di figure che appaiono e scompaiono e per lo più si fanno vive quando hanno bisogni urgenti da espletare. A volte sono talmente assorti nelle loro sparizioni che sono io a risvegliarli dal loro torpore esistenziale e a riportarli ai loro bisogni preparandomi già nel momento in cui loro avvertiranno questa pulsione a soddisfarli immediatamente. Lo so. Sono io che sto sbagliando tutto. Quante volte mi sono detta “ pensa se sparissi io per qualche giorno” Non lo so che si accorgerebbero della mia mancanza essendo troppo concentrati nella loro.

 

Vado in soffitta per cercare di ripetere gli antichi gesti. Frugare qua e là, aprire qualche scatolone alla ricerca di un soprammobile vintage o per rimirare da lontano un vecchio mobile e immaginarmelo in qualche ambiente della casa. Prenderne le misure a occhio e figurarmelo di un altro colore. Arrivata all’ultimo scalino dal quale, però, è già possibile avere un’occhiata sulla stanza mi accorgo che è semi vuota. Ormai a forza di incursioni, spinta dai miei slanci passati per il fai da te, era rimasto bel poco da restaurare o recuperare. Insomma erano spariti anche gli oggetti. A forza di depredare quel luogo, il piccolo bottino di ricordi si era esaurito lasciando un vuoto paragonabile a quello mio interiore.

Insomma era chiaro ormai al mondo, l’unica che doveva farsene una ragione ero io. Basta con gli schemi reiterati e confortevoli, basta con il ripetere azioni e gesti del passato. Mi viene un’idea.

Scendo di nuovo le scale, mi avvivino alla stanza di mia figlia e faccio per bussare, gesto che compio con molto più timore rispetto a quando busso alla porta del mio capo. Ho avuto un’idea per dare una marcia in più a questa estate che deve essere diversa, nella quale sono vietati la noia e i piagnistei, le attese inutili e le parole come “ scuola” o il nome della mia Preside. Insomma un’idea fantastica!

“ Un viaggio! Io e te da sole! Dove vuoi tu! Sarebbe bellissimo!”.

Silenzio

L’entusiasmo delle mie parole accompagnato da un tono di voce e da gesti simili a quelli dei venditori di materassi nelle televendite, furono seguite dal nulla. Sguardo sempre sintonizzato sul canale dell’inespressività come uno schermo televisivo con le righe orizzontali quando si perde il segnale. Dopo un mio ulteriore tentativo di rianimare quella figura inerme e anche po’ scocciata che mi trovavo davanti, snocciolando tutti i magnifici aspetti di questa mia proposta,  senza cambiare posizione sul letto, senza togliersi le cuffiette,  uscì dalla sua bocca, in un unico sforzo, come un sasso che cade nel vuoto, un:

“ Boh”.

Esco. Chiudo con calma la porta e mi metto sul divano.

Sono calma. Non provo neanche a reagire o a convincere della positività di questa idea.

Prendo il cellulare e controllo i social. Facebook ormai è diventato un ricettacolo di idiozie misto a luoghi comuni e fake news. L’unica cosa che mi interessa sono le proposte di viaggio o i blog che sponsorizzano alberghi o luoghi di interesse. Sono arrivata alla conclusione che la mia voglia di viaggiare sia quasi paragonabile alla dipendenza di un tossico o di un alcolizzato, è l’unico modo che mi fa stare bene e non sentire quelle piccole punzecchiature che spesso mi colpiscono allo stomaco. Ricordi, sofferenza, ansia, paura per il futuro. Quando viaggio non ci penso e sto bene. Quanto vorrei prender la macchina e sparire anche io per un po’. Credo che inizialmente sarebbe difficile trovarsi in un paese straniero tutta sola ma poi credo che sarebbe la cura a tanti miei mali interiori. Stavo giusto controllando il prezzo di un hotel su Booking dove a volte mi diverto ad inserire date a caso e a scegliere un hotel fingendo di dovermi recare seriamente in quel luogo quando mi appare sullo schermo il nome del mio compagno:

“ Ciao amore sto arrivando! Ho una fame! Poi stasera voglio stare un po’ con te! “

In contemporanea dalla stanza accanto mia figlia con un tempismo perfetto:

“ Maaaaa mi devi fare una ricarica e poi ho fame”.

Guardo l’orologio, sono le 7.30 e penso che forse per qualche motivo non ben noto alla mente umana ma forse spiegabile a livello astrale attraverso una particolare congiunzione planetaria si sono risvegliati all’unisono gli istinti primordiali delle figure che vivono attorno a me e reclamano il mio intervento.

Metto da parte i miei programmi di viaggi e il mio cellulare e mi metto ai fornelli. La cena si svolge come tutte le sere. Tv accesa che la fa da padrona, frasi di prassi su come è andata la giornata, stanchezza, sonno, buonanotte. I due figuri che mi avevano così tanto reclamata qualche ora prima spariscono di nuovo fagocitati dai buco nero delle loro vite e io mi ritrovo ancora una volta al centro di questo nulla ma con in più una montagna di piatti da lavare.

 

Sono stanca, mi butto sul letto e do una sbirciatina a facebook. Ogni tanto nelle pagine dedicate alla lettura e i libri si incappa in qualche poesia interessante che salvo nella memoria del telefono.

Vai via,

vai da solo

Portati una mappa

Viaggia leggero

Se devi portarti un cellulare, evita di usarlo

Viaggia via terra

Attraversa a piedi una frontiera

Tieni un diario

Leggi un romanzo che non ha niente a che fare

Con il luogo in cui sei

Fai amicizia con qualcuno”

Paul Theroux

 

Certo, se partissi io, sola, forse a casa si preoccuperebbero, Sono figlia unica e se mia madre avesse bisogno di me? La cena di mia figlia? Il mio compagno potrebbe tornare e avere bisogno di una camicia be stirata e un pasto caldo. Ecco perché non sono una persona come le altre che prende e va. Perchè la mia partenza presuppone una serie di incastri che si fa prima a stare a casa che a volerli risolvere. Ma quanto mi farebbe bene. Misurarmi con me stessa e la mia autonomia, sapere di poter constare solo sulle proprie forze, ma, soprattutto, dimostrare agli altri quanto pesa la mia assenza. Dopo aver sentito sulle mie spalle il peso delle loro forse sarebbe giusto fargli capire quanto vale questo carico in maniera inversa.

Sono le 23.00, è una notte splendida. La strada è pressoché vuota. La macchina fila liscia. Sul sedile a fianco il mio borsone.

Probabilmente domani al manifestarsi dei bisogni primordiali dei componenti della mia famiglia, tutti si affideranno a qualche traduttore online per decodificare il messaggio dell’operatore telefonico del paese nel quale mi trovo:

“Oseba trenutno ni dosegljiva”

“L’utente da lei chiamato non è al momento raggiungibile” quanto impiegheranno a risolvere l’enigma? Tanto quanto impiego io a preparare la cena o a stirare una camicia.

Vedo alla mia destra il cartello: Lubjiana. Chissà come si dice scuola da queste parti.

 

Francesca Tamani

 

 

 

 

 

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