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Low Cost – racconto di Barbara Gramegna

-Mi sembra una vera vergogna, una porcheria, ma ho già avvertito il mio avvocato!
-Ma tranqui sorella, é solo una notte, mica ci sposiamo!
-Prima il guasto, poi il ritardo, ora…ora Lei, uno sconosciuto per di piú…

Qui si zittisce, perché sta pensando quanto nauseabondo odore di patchouli stia emanando quell’assurdo individuo di fronte a lei, con lo zaino sdrucito, infradito di cuoio ai piedi diversamente puliti, anelli di argento alle dita degli stessi, braccialetti di perline, capelli in treccine ormai stoppose e…aiutoooooo, un tatuaggio di un fallo gigante che si intravede dalla camiciola in tela indiana aperta sul petto.

-Da che parte dormi sorella? Io anche per terra. Una luce questo spazio vero? Mi pare di stare nel centro Osho di mia sorella, quella vera intendo, strepitoso!
-Cazzo, nemmeno il cellulare funziona, cos’è? Una maledizione? Non viaggerò mai più in low cost, mai più!
-Mi chiedevo proprio sorella che ci facevi con noi popolo? Stai scrivendo un articolo sui viaggi della speranza su qualche rivista da femmina di uomo?
-Ma chi mi ha spinto a prendere questo volo? Da quando le compagnie aeree ti mettono a dormire con sconosciuti in camere doppie? Perché ho dato retta all’istinto? Ascolto sempre e solo il mio analista…è dai tempi della prima liceo che non sento questo afrore e i pantaloni tenuti su con il cordino poi, mioddio!!
-Senti sorella, numero uno: come ti chiami?
-Lo ritiene poi così fondamentale? ‘Numero uno’ sento se c’è un’altra camera libera, anche se per principio non ritengo giusto di dovere sopperire io alle carenze della compagnia.
-Ma per cosa ti affanni? É giá tardi, io esco un po’, questo posto è romanzo, mi sparo un cannone, tu ti lisci il pelo, vai a dormire, nemmeno mi vedi.
-Ummmmioddio anche un tossico per giunta, non bastava l’odore e tutto il resto.
-Stai rilassata, che quello che ti compri in farmacia è molto peggio e poi, sai dove siamo? Hai visto che questa stanza ė un film?
-Solo un film può essere, ma dell’orrore, oltre che dell’errore. Un film…che cosa mi può importare in una situazione così imbarazzante?!
-Tesissima sei, troppo tesa hermana, hai un uomo? Lo pensi? Lo accogli così nei tuoi pensieri, dentro di te?
-Ma come si permette, ma come Le viene…receeeption, receeption, senta devo assolutamente avere un’altra stanza! Come ‘non ce ne sono’?
-Ciao sorella, vado al faro, ti consiglio di farti un bagno o di venire con me a sentire il rumore del vento.
-Sono io che consiglio a Lei un bagno, chissà da quanto non se ne fa uno, e comunque, non sono una suora e mi chiamo Marina.
-Stiamo facendo progressi, qui il palmo, io mi chiamo Braian, scritto come è detto.
-Bene, ora Braian vada a fare questo giro che io sento l’avvocato, la reception e…
-I pompieri e la protezione civile, ahaha hasta hermana Marina, a dopo. E, se cambi idea, mi trovi al faro!

Marina tira un sospiro di sollievo a vedere sciabattare fuori dalla stanza gli infradito di Braian, scritto come si pronuncia.
Quella stanza poi era dedicata a Manhattan, uno dei film in cui aveva più ammirato Diane Keaton…e la colonna sonora poi…certo ‘Braian’ all’epoca non era ancora nato…una trentina d’anni a occhio e croce.
Perchè però quando si trovava a contatto con certi individui risultava così scostante?
Forse doveva cominciare a considerarla una fortuna quella di parlare con qualcuno di diverso dalla sua solita cerchia, non le capitava più da tempo.
Braian, sotto a quello sporco e a quei vestitacci non sembrava alla fine così male.

Osho però…inquietante l’allusione, solo il nome le faceva venire in mente torbidi giri di donne mezzenude in luoghi spacciati per centri benessere con frasi pseudofilosofiche appese alle parete, candele accese, oli essenziali e musiche tipo rainforest in effetto sorrounding.
Braian però non sembrava cattivo, ma quella pungente battuta sul suo stato di tensione e gli uomini non l’aveva presa molto bene.
Un’occhiata al tablet per vedere meglio dove si trovava e la voglia di mettersi un po’ in ordine e vedere di vivere quella strana avventura con un’altro spirito.

Marina, 53 anni ben portati, ma da alcuni ormai in lotta con pelle secca, sbalzi di umore repentini, desideri improvvisi di plaid e tisane.
Una serata di un buio lucente, una stanza perfetta in un luogo da ‘romanzo’, come aveva già notato il suo compagno occasionale, una compagnia aerea da denuncia, che non riesce a portare a termine la sua tratta e ti ‘offre’ la scomoda opportunità di una notte con un trentenne tatuato.
Marina si cambia, si mette la cosa meno formale che ha in valigia e si fa coraggio, esce, passando dalla reception a fare i complimenti per l’ambientazione della camera e chiedendo un taxi per la Isla Pancha, quella del faro.
Questa sera, in fin dei conti, forse, avrebbe anche potuto cominciare a ‘fumare’.

 

Barbara Gramegna

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