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Le piace Brahms? – racconto di Stefano Zingone

Ma Brahms mi piace davvero? Ero a Parigi per un congresso, che si era rivelato noiosissimo, a proposito delle nuove tecniche odontoiatriche di implantologia al titanio. Il terzo giorno non ce la feci piรน. Con lโ€™animo di un liceale che fa la marachella di nascosto ai genitori, non mi presentai nell’aula dove diversi pedanti conferenzieri avrebbero continuato a pontificare (nel vero senso della parola) sulle nuove tecniche per far felici i pazienti e, di conseguenza, le proprie tasche. Con questo vago senso di colpa per un compito non fatto, ma con la stessa leggera euforia delle prime โ€œsegheโ€ a scuola, quel pomeriggio di aprile uscii dal mio albergo in Avenue Montagne senza una meta precisa, ma deciso a godermi la primavera parigina ed il senso di libertร  che si prova quando nessuno ti conosce e non hai la responsabilitร  di indossare alcuna maschera. Un boulevard dopo lโ€™altro ed alle sei del pomeriggio, stanco della camminata, mi fermai ad un Cafรจ per una birra.

Mi sedetti nella veranda che dava sul marciapiede gettando un occhio distratto sulla varia umanitร  che mi circondava, mentre il liquido ambrato e fresco appannava il bicchiere dandomi il sollievo richiesto dai primi caldi e dalla lunga passeggiata. La mente vagava su pensieri piacevoli. Non poteva essere altrimenti in una cittร  cosรฌ bella. Lโ€™aria fresca faceva ondeggiare i mandorli giร  in fiore e le persone, camminando svelte, sembrava fossero comparse di un film di Cukor.

Avevo lasciato la mia famiglia lontana per il tempo di adempiere a questo noioso dovere e avevo ancora due giorni di giustificata libera uscita che intendevo godermi appieno. Intendiamoci: senza alcun fine malizioso, ma la routine quotidiana fatta di bollette da pagare, lo stress quotidiano della metropoli, i problemi sul lavoro e tutto il resto che si deve affrontare per andare avanti, alla lunga, diventano pesanti.

Mi mancava mia moglie. Ma, se devo essere sincero, sognavo di avere con me non la mia consorte attuale, ma la mia donna com’era quando lโ€™avevo conosciuta o, almeno, i primi tempi del nostro matrimonio. Certo, capisco che anche per lei io non sono piรน lo stesso, e oggi, ambedue accettiamo lโ€™evoluzione che hanno tutte le coppie con un pizzico di rimpianto per i tempi andati. Fatta questa riflessione, se mia moglie, cosรฌ com’รจ, fosse stata qui, avrei volentieri stappato con lei una bottiglia di champagne con la speranza che sarebbe stato il viatico per qualcosa di fuori dall’ordinario.

Stavo quindi sorseggiando la mia birra con un sorrisetto sulle labbra e nel contempo osservando i passanti, quando la mia attenzione fu attratta da una giovane signora. Molto elegante, con un grande cappello grigio, a completare una mise in tinta. Passeggiava lungo il marciapiede ma con unโ€™andatura che denotava o una zoppia molto pronunciata, o un grave problema con la sua scarpa destra. Ad un certo punto, evidentemente, la signora non ce la fece piรน. Si appoggiรฒ al muro del palazzo vicino e, con molta non calanche, si tolse la calzatura. Guardรฒ dentro con evidente fastidio, scrollรฒ la scarpa e ne fece uscire un sassolino, al quale leverei comodamente il diminutivo. Poi, sempre con molta classe, e come se fosse da sola nel suo boudoir, si rimise la calzatura e riprese il suo cammino.

Non so perchรฉ quella scena mi affascinรฒ tanto. Non era successo niente di speciale, e forse era proprio questo. Quella donna aveva compiuto dei gesti quotidiani, e quasi volgari, con una eleganza e con una classe che forse solo una parigina puรฒ avere.
Cosa mi scattรฒ nella mente? Certo non lโ€™istinto predatore del pappagallo latino nรฉ, tanto meno, la voglia di una poco probabile avventura. Mi alzai dal tavolino lasciando una cifra che probabilmente avrebbe pagato almeno cinque delle mie consumazioni, e mi misi appresso a quella donna.

Che intenzioni avevo? Non lo sapevo. Nessuna, se non la curiositร  di vedere come si muovesse un animale tanto diverso dalla fauna alla quale ero abituato. Lei, liberata dal fastidioso impiccio, si mosse spedita verso la strada che conduceva verso lโ€™Opera Bastille. Standole dietro non potei fare a meno di notare come la sua andatura ricordasse il movimento sinuoso delle onde del mare, e di considerare che ciรฒ che in unโ€™altra donna ed in un altro posto avrei considerato voluto e civettuolo, in lei sembrava far parte della sua natura, del suo essere donna fatta per essere ammirata, e forse amata.
Si diresse spedita verso il teatro ed entrรฒ dirigendosi verso il botteghino. Io sempre dietro, con la speranza che non se ne avvedesse. Comprรฒ un biglietto ed entrรฒ nella sala. Mi avvicinai alla locandina per vedere quale spettacolo fosse in programmazione. Era la sinfonia n. 3 di Brahms diretta dal Maestro Von Rischovich con lโ€™orchestra dellโ€™Opera di Berlino.

Mi piace la musica, un poโ€™ tutta. Dovessi fare una classifica metterei prima il rock/blues poi il pop, quindi lโ€™opera e poi la sinfonica. Spesso, la sera, mi siedo al computer per scrivere le mie cose mettendo le cuffie dove risuonano i classici degli anni sessanta. Se proprio mi sento in vena di intellettualismi, posso mandare la quinta di Beethoven o un Mozart; raramente Chopin, troppo triste. Brahms, sinceramente: sconosciuto. Ero arrivato fino a lรฌ, lโ€™avventura รจ lโ€™avventura: comprai il biglietto ed entrai nella sala. Cโ€™era poca gente sparsa senza un ordine preciso. Individuai subito il cappello grigio. I posti erano numerati, ma nessuno mi avrebbe detto niente se mi fossi messo dietro la signora in un posto lasciato vuoto.

Cosรฌ feci. Perchรฉ e con quale scopo? Non so e nessuno, con tutta sinceritร . Lโ€™orchestra era schierata ed, ad un cenno del primo violino, tutti i suoi componenti si alzarono per accogliere con un applauso il Maestro. Due colpi al leggio ed il concerto iniziรฒ. Fui rapito dai primi movimenti, ed il basso accompagnamento dei violoncelli sottolineรฒ una melodia che mi rapรฌ nella sua fascinazione. Il cappello avanti a me ogni tanto si muoveva seguendo il ritmo della musica, sโ€™impennava sottolineando un rullo dei timpani o si voltava da una parte all’altra come per dare maggiore attenzione ad una sezione strumentistica. Finchรฉ non ci fu una pausa tra i due tempi del concerto.

In quel momento osai qualcosa che mai avrei immaginato potesse essere nel mio carattere. Mi sporsi verso la signora avanti a me e le dissi, in inglese visto il mio scarsissimo francese, โ€œmi scusi avrebbe un programma del concerto?โ€ Lei si voltรฒ. Le vidi, per la prima volta, gli occhi. Si dice che quello che affascinรฒ Richard Burton fu il viola profondo degli occhi di Liz Taylor. Non saprei definire, o non ricordo, il colore dei suoi occhi, ma il suo sguardo mi inchiodรฒ alla poltrona del teatro. โ€œLe piace Brahms?โ€ mi chiese. Non seppi rispondere. La domanda era troppo difficile. Lo sguardo troppo impegnativo. Giร  solo il contatto verbale troppo pericoloso. Troppo, troppo di tutto. Biascicai qualcosa in risposta e mi ritrassi spaventato da una Circe che sarebbe potuta essere domata da un Ulisse molto piรน forte di me.

All’intervallo uscii dal teatro fiero di aver resistito alla tentazione di quella sirena, ma anche con un poโ€™ di rimpianto per unโ€™avventura non vissuta. Ho fatto bene o sono fuggito? Mi sono lasciato scappare una Leslie Caron da accompagnare al โ€œLapin Agileโ€ di Montmartre? Je ne sais pas. Forse รจ meglio vivere con lโ€™illusione di un sogno che si sarebbe potuto realizzare piuttosto che con il segno rosso di uno schiaffone sulla guancia. Forse.

 

Stefano Zingone

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