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La Panchina di Raymond – Racconto di Dylan Moriarty

Raymond se ne sta tutto solo sulla sua panchina preferita ad ascoltare il frinio delle cicale. Ha sempre amato gli ultimi caldi estivi… ed ama quella panchina. L’ultima in fondo al viale d’accesso alla casa per anziani Sholom Boston. Nella città di Boston, per l’appunto.
Ogni volta che vede qualche altro anziano che gli ruba il posto, arriva lì con il suo bastone da passeggio mulinandolo minaccioso nell’aria e spaventando chiunque osi occupare il suo posto.
Gli altri anziani ormai hanno imparato a conoscerlo e stanno alla larga dalla sua
panchina, ma capita sempre qualche nuovo arrivo che ignora la legge di Raymond e a cui lui riserva sempre il suo caloroso benvenuto.
Potrebbe stare ore ed ore su quella panchina e non esiste nessuno al mondo che potrebbe anche solo condividerla con lui. Nemmeno per un solo minuto.
D’un tratto un taxi oltrepassa il cancello e percorre il viale che porta allo stabile.
Gli pneumatici stridono sul ghiaino e distraggono Raymond dal suo riposo.
Lui alza leggermente lo sguardo oltre la tesa del suo panama e tenta di spiare
all’interno dell’auto, ma i vetri oscurati non gli permettono di andare oltre il suo stesso riflesso.
Il taxi si ferma in una piccola piazzola giusto qualche metro oltre Raymond, ma lui già non sembra più esserne interessato.
E così Raymond torna a fantasticare sulla sua amata panchina.
Poco dopo i suoi pensieri vengono di nuovo interrotti dall’insolente ghiaino che stride sofferente sotto le suole di un’anziana donna che si sta avvicinando verso di lui.
– Mi perdoni, Signore… è questa la casa di riposo Sholom Boston? Mi hanno detto di venire a chiedere cortesemente a lei. –
– Sì, sì… è questa qui. Mi domando perché ogni volta veniate tutti a chiedere a me.
Non sono mica il custode, qui. –
– Come ha detto, prego? –
– Ho detto che è questa. E adesso mi lasci in pace, che sto riposando. –
– Ma lo sa che lei è proprio un maleducato? Io le ho fatto solo una domanda in maniera educata. Le sembra questo il modo di rispondere? Se questa è l’accoglienza che riservano qui in questa casa di riposo, credo proprio che andrò a cercare altrove. –
– Ah… quindi lei è un’altra cliente? È davvero molto fortunata, sa? La mensa fa schifo, i letti sono scomodi e per quanto riguarda l’aria condizionata, be’… fa più fresco qui su questa panchina che in camera mia. Dicono che il troppo freddo fa male alle ossa dei vecchietti. Però il pollo non è male. Dia retta a me, si scelga un’altra prigione per andare a morire in santa pace. Qui non è davvero il posto giusto per lei. –
– Ah, quindi lei me lo sconsiglia insomma? Però ha appena detto che su quella panchina si sta freschi. –
– E allora? La panchina è mia. È già occupata.Ma ci si potrebbe star comodi anche in due. Mi sembra molto spaziosa. –
– Ma insomma, che diavolo vuole da me? Le ho dato l’informazione che cercava, no? Ora se ne può anche andare, non crede? –
L’anziana donna aggrotta la fronte e si rivolge a Raymond in tono di sfida.
– E invece credo proprio che mi fermerò qui a prendere il fresco. Ma guardi un po’… cosa crede, che quella panchina sia sua? Siamo in un parco pubblico e io posso
sedere dove mi pare. –
– E invece no. Non siamo affatto in un parco pubblico, perché questo è il giardino dello Sholom e le panchine sono riservate a coloro che ci abitano. –
La donna si avvicina sempre di più.
– E allora io le dico che da oggi ho proprio deciso che verrò a vivere qui, quindi ho diritto di sedermi quanto lei. Mi faccia posto. –
Raymond si sdraia sulla panchina e cerca di occuparla per intero.
– Mi faccia posto, le ho detto. –
– Ho detto di no! Questa è la mia panchina. Si levi di torno. Vada a cercarsene un’altra più in là. Ce ne sono tante altre. Perché deve rompere le scatole proprio a questa? –
– Perché è diventata una questione di principio. Adesso la voglio proprio per
puntiglio. E le dirò di più… appena arriverò alla reception mi lamenterò subito di lei. –
Durante tutto il diverbio, l’anziana signora passa da una parte all’altra della
panchina e tenta di sedere senza successo, mentre Raymond le sbarra ogni volta la strada.
Alla fine trova un varco e si siede.
Raymond perde le staffe, la spintona e la fa finire a terra. Un secondo dopo, con
uno scatto insospettabile, le è davanti e le agita il bastone davanti alla faccia.
– Allora che fai? Te ne vai da sola o ti devo prendere a bastonate? –
– Heyyy… che cosa succede lààà? –
Dal taxi scende un uomo grande e grosso che grida contro i due vecchietti.
– Mamma, forza… sali in macchina. Per oggi abbiamo finito con questo posto di
merda. Andiamo a casa. –
L’anziana donna si alza, si spolvera un po’ e torna mestamente verso la macchina, mentre Raymond, forse un po’ dispiaciuto per aver riservato un tale trattamento verso una signora o forse intimorito dal figlio della donna, tiene lo sguardo basso verso terra, ma da dietro i buchini del suo cappello riesce a intravedere la donna che, giusto un istante prima di salire in macchina, gli fa il dito medio.
Raymond serra i pugni fino ad arrossarli.
Il taxi riparte facendo ancora quel fastidioso rumore sul selciato, giunge fino alla porte girevoli dello Sholom Boston per fare manovra e riprende il viale per uscire.
– Mamma, mi spieghi perché ti sei intestardita a voler sedere per forza su quella panchina?La donna, quasi in lacrime, risponde:
– Perché mi sono ricordata che è la stessa dove un milione di anni fa conobbi tuo padre. –
All’improvviso, giunti all’altezza del cancello d’uscita, dei pugni sbattono con forza sui vetri oscurati e i due si spaventano a morte.
– Aprite… tirate giù questi fottuti vetri. –
L’autista del taxi inchioda ed obbedisce al comando.
Raymond, ancora in un tono un po’ adirato a dire il vero, parla per primo.
– Scendi, ti ho fatto posto. Vieni a sedere con me. –
– Oh, ma certo… scendo subito. Hey, autista, faccia presto… sblocchi la portiera. –
L’autista del taxi spinge il pulsante di sblocco e la donna scende dal taxi, mentre Raymond le offre il braccio per aiutarla. I due si avviano sotto braccio, si siedono sulla panchina ed amoreggiano un po’.
– Signore, potrei sapere anch’io cosa sta succedendo? Perché sta piangendo? –
– Oh, mi scusi… ha ragione. È che mi sono emozionato. Quelli lì sono mia madre e mio padre. Soffrono tutti e due di Alzheimer. Io sono l’unico pensionato tra tutti i miei fratelli, e così è toccato a me accudirli. Sono andato ad abitare con loro, ma col passare del tempo hanno cominciato a non riconoscersi più. Bisticciavano tutti i giorni e alla fine hanno cominciato anche a mettersi le mani addosso. La situazione è degenerata a tal punto che non potevo più lasciarli soli e così sono stato costretto a separarli. Ho deciso di portare mio padre qui allo Sholom Boston e di tenere mia madre con me. Ironia della sorte ha voluto che quella panchina lì fosse la stessa panchina dove loro due si sono conosciuti. Una volta c’era soltanto il parco e solo qualche decennio dopo hanno costruito la casa di riposo, che ha rilevato a sé anche il parco davanti allo stabile. Ogni settimana vengo qua per cercare di far
ritrovare loro almeno un barlume di memoria che li possa far riabbracciare per una volta. Tutti e due si sono sempre ricordati di quella panchina, ma mai l’uno dell’altro.
Ma adesso li guardi. Guardi come sono felici e come si abbracciano. No… ma che fa, comincia a piangere anche lei? Suvvia, non faccia così. Prenda pure il mio fazzoletto. Tenga…
Dylan Moriarty

 

 

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