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Il treno delle 6 e 5 – racconto di Daniele Raciti

Può un incontro in treno cambiare la tua vita per sempre?
Suona la sveglia, sono le 5 e 40, quel suono assordante mi fa alzare di colpo. È lunedì, il giorno più pesante della settimana. Ma non è un lunedì come gli altri, oggi è il mio primo giorno di lavoro. Tanti anni di studio, una laurea e un master per finire a fare il commesso per una grande catena di supermercati a 150 km da casa. Quando si dice il sogno della tua vita. Alle 6 e 5 ho il treno per Messina, forse ho messo la sveglia un po’ troppo tardi e anche oggi non farò colazione, non c’è tempo. Scendo dal letto, corro verso il bagno, ho dieci minuti contati per la doccia e per vestirmi, 15 minuti per prendere la valigia e andare alla stazione. Ovviamente i 10 minuti diventano 20 e mi rimangano 5 minuti per fare 3 km a piedi per arrivare in tempo. Ce la posso fare dai non è la prima volta che mi capita di correre per prendere il treno. Quando mai si è visto un treno arrivare in orario a Catania. Arrivo in stazione alle 6 e 10, non c’è tempo per fare il biglietto, lo farò sul treno. Ma per qualche scherzo del destino, il treno è già li, e mi sento parte di uno di quei film americani in cui il protagonista corre dietro il treno che è già partito riuscendo a salirci per un pelo. Allora corro, corro, dietro al treno, vestito in giacca e cravatta con le valigie in mano. Ci sono quasi, l’ho raggiunto, sorrido e lancio sulla coda del treno le valigie, per essere più veloce e saltare sul treno. Un passeggero che era li, stava comodamente appoggiato alla ringhiera fumando una sigaretta, dopo aver schivato le valigie che avevo lanciato, mi porge la mano per aiutarmi a salire. Ma il treno ormai è troppo veloce e non riesco a raggiungerlo. Mi accascio sulle gambe e riprendo fiato.
Ottimo, è il tuo primo giorno di lavoro e arriverai in ritardo.

Il prossimo treno è alle 6 e 40.
Questa è la mia vita e sta finendo un minuto alla volta.
Sconsolato, sudato e senza valigie mi siedo in una panchina della stazione per aspettare il prossimo treno. Mi allento la cravatta e con un gesto di rabbia la lancio a terra, in direzione dei binari. Mi viene voglia di fumare, cerco nelle tasche della giacca il pacchetto di sigarette ma non c’è, lo avrò messo nelle valigie, ormai perse come il treno.

“È vostra questa?” mi chiede una ragazza bionda più o meno sui 25 anni, tenendo in mano una cravatta. Le rispondo di si, la prendo e me la rimetto controvoglia, e le sorrido forzatamente senza neanche guardarla negli occhi. Si siede nella panchina accanto alla mia. Ecco che arriva il treno delle 6 e 40 ovviamente con quasi 10 minuti di ritardo. Salgo e dietro di me pure la ragazza della cravatta. Mi sembra di averla vista già da qualche parte e decido di sedermi non lontano da lei per poterla guardare meglio. Sembrava sciupata, non si potevano non notare le evidenti occhiaie sotto quei bellissimi occhi verdi. Aveva lo sguardo di una che aveva appena finito di piangere. Cercavo nella mia mente di ricordare chi fosse. “Ma certo, Clara” pensai. Clara era stata mia compagna di classe nel quarto anno di liceo. È figlia di un ufficiale della marina e quell’anno suo padre era di servizio al porto di Augusta. Non nascondo il fatto che mi presi un gran cotta per lei. Diventammo amici ma nulla di più. Alla fine di quell’anno suo padre fu trasferito a Messina e non la rividi più. Presi coraggi e mi sedetti di fronte a lei dicendo subito:” Ciao, Clara Ruggeri, giusto? Sono Bruno non mi riconosci?”. Lei mi guardò un po’ accigliata e non rispose subito. D’un tratto un enorme sorriso rianimò quella faccia fin ora spenta :” Bruno Moretti, chi l’avrebbe mai detto”. Quell’ora e mezza sul treno fu uno dei momenti più felici della mia vita. Gli raccontai tutto quello che era successo da quando ci lasciammo, quando eravamo solo degli innocenti ragazzi che volevano diventare famosi, che si credevano immortali e in grado di poter realizzare i propri sogni. Lei mi disse che i suoi genitori divorziarono, mi parlò dei suoi studi in medicina, vuole diventare una pediatra, e che adesso stava ritornando da sua madre a Messina dopo essere stata a Catania all’ospedale dove suo padre è ricoverato per una grave malattia. “Oggi non mi sento di andare all’università a studiare, che ne dici di trascorrere una giornata insieme a ricordare i vecchi tempi del liceo”. Io non l’avevo dimenticata del tutto e c’era ancora una piccola fiammella che bruciava per lei. E più le parlavo più cresceva e non ci pensai due volte ad accettare. Non me ne importava nulla se perdevo quel lavoro. Non voglio fare il commesso dopo aver studiato tanto. Il treno arrivò a Messina e la aiutai a prendere le valigie. Mi chiese dove erano le mie. Le spiegai la mia folle corsa dietro al treno e non finimmo più di ridere.

Non sono uno che crede nel destino, e neanche un tipo religioso, ma forse perdere quel treno è stata una delle cose migliori della mia vita…

 

Daniele Raciti

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