La guerra nucleare era stata lunga e devastante. Il mondo ne era rimasto sfigurato. La catastrofe aveva cancellato ogni traccia di quella civiltร che ci aveva reso tanto superbi ed egoisti.
Gli spettri di creazioni supertecnologhe, del cui uso si era quasi persa la memoria costellavano le lande desolate, le steppe inospitali, e cittร diroccate, percorse delle bande di razziatori.
Dopo mille peripezie Ulisse, con il suo legno, era riuscito a far rotta su Itaca. Lโultimo viaggio era stato pieno di tormenti e di creature mostruose, mutanti orribilmente voraci, giganti con un occhio solo, donne col corpo coperto di squame che emettevano onde ultrasoniche.
Ora perรฒ stava arrivando a casa! Non lโaveva mai dimenticata, neppure quando dai fanghi nucleari erano stati prodotti frutti che annientavano la memoria. La vide, allโorizzonte, la sua Itaca; dapprima scorse le alte torri di difesa, semidistrutte, poi il tetto del suo antico palazzo. Chissร se la virtuosa Penelope lo stava aspettando ancora, integerrima, come alla sua partenza. Era penosamente conscio che le sue lunghe giornate dovevano essere state piene di attesa, terrore e tedio profondo. Come avrebbe potuto svagarsi, come un tempo, davanti al suo terminale ormai privato di un qualsiasi tipo di alimentazione? Quel passatempo sociale cosรฌ divertente, collegato alla piattaforma che consentiva di connettersi ai pensieri degli altri utenti online. Senza di quello, cosโavrebbe potuto fare per dilettarsi? Ricorrere allโantiquato telaio? Passeggiare? No, impossibile nellโaria ancora pregna di gas tossici. O avrร trovato altre distrazioni che non lโavranno lasciata cosรฌ fedelmente oziosa? No, impossibile, lui lo sapeva bene che a detta di tutti era โmolto saggia e nutr(iva) pensieri sapienti/la figlia di Icario, Penelope,โ una virtรน che anche lo sventurato Agamennone le aveva riconosciuto.
Man mano che si avvicinava alla riva, riusciva a scorgere anche le costruzioni piรน basse, e i tetti delle casupole che costellavano la steppa.
La cittร sembrava aver sopportato la sciagura globale meglio di altri luoghi visitati nel suo peregrinare.
La cappa di gas rendeva il panorama tremolante. Ricordava uno scenario cosรฌ tremulo anche quando era approdato a Ogigia, ma allora era calura soffocante che rendeva indistinto lโorizzonte. Fortunatamente su quellโโ isola remotaโ, aveva trovato un fresco riparo nella โspazรฏosa grotta/soggiorno della Ninfa il crin ricciutaโ. Era la bellissima Calipso โdalle crespe chiomeโ, rimasta sola dopo che le sue ancelle cibernetiche si erano esaurite, una ad una. Lei lo adorava, Ulisse, eppure lui non era riuscito ad innamorarsene, sempre lรฌ, a scrutare il mare. con il chiodo fisso della sua patria. Tuttavia aveva accettato di passare โle notti nella cava grotta/con lei vogliosa non voglioso..โ E lร , cercando di darle unโillusione di amore, chiudeva gli occhi, e immaginava la sua terra e la sua sposa.
Nello stordimento causato dai gas tossici, rivide anche Circe, lโammaliatrice, โla Diva dalle belle trecceโ che lo aveva accolto sulle sue โmaritali piumeโ. Non il materasso molecolare a memoria di forma del suo talamo nuziale, che aveva personalmente intagliato, nel tempo libero, nellโ ulivo e intarsiatoโ dโoro, dโavorio e argentoโ, ma delle semplici piume di gabbiano, che Circe aveva steso per terra, e, con le sue arti, aveva saputo rendere sensualissime. Con la sua magia era riuscita addirittura a cancellargli dalla vista lo scheletro della centrale atomica che si alzava lugubre al centro dellโisola.
Gli tornรฒ davanti agli occhi della mente anche il corpo della bella Nausicaa โdalle bianche bracciaโ, che aveva suscitato il suo desiderio una volta appurato che non era unโapparizione divina. Nausicaa, la dolce tenera amante mancata, cosรฌ giovane da non aver memoria di cosa fosse stato il verde mondo prima dellโapocalisse
Lโultimo braccio di mare sembrava interminabile, allora si gettรฒ giรน dalla zattera e si mise a percorrerlo a nuoto, con bracciate frenetiche, impaziente di toccare la sua desolata terra amata
Non cโera nessuno ad attenderlo, le vecchie telecamere di sorveglianza erano tutte distrutte, spettrali relitti di una passata civiltร . Le bandiere sventolavano stanche, a brandelli. Come i brandelli di quella che era stata una cittร fiorente che ora bisognava faticosamente ricucire
Ma ecco qualcuno apparve allโorizzonte , avvicinandosi lentamente nellโarsura della steppa. Non riconobbe subito quella figura, magra e impolverata . Ma poi notรฒ quellโancheggiare ritmico che ricordava bene e scorse il lampo di quegli occhi lucenti, di quello sguardo vivace in cui un tempo adorava tuffarsi. Gli tornarono allora alla mente i lunghi baci umidi, con cui soleva percorrergli il volto e le mani
La figura si stava avvicinando alla riva, sembrava stanca e provata e a Ulisse pareva che quelle sue ultime bracciate fossero senza fine. Tormentosamente interminabili, un supplizio davanti alla pregustazione di quelle labbra premute sul palmo della sua mano. Dapprima con delicatezza poi con una passione sempre piรน vorace. Avrebbe sentito che aspirava con eccitazione lโodore amato. Quellโodore cosรฌ unico, che, Ulisse lo sapeva , doveva aver ossessionato i suoi sogni per tutti quei lunghissimi anni. Venti anni in cui quella creatura cara, trepidante dโamore , forse aveva temuto di averlo perso per sempre.
In un lampo Ulisse rivide i lunghi momenti in cui gli regalava il suo affetto, gratuito, sincero, profondo. E anche ora, lo sapeva bene, quellโamore era vivo. Lโunico modo per placare lโardore sarebbe stato, come sempre, abbandonarsi completamente a esso, senza opporre alcuna resistenza.
La creatura si sarebbe accarezzata contro di lui, lo avrebbe provocato con i suoi assalti carichi di affetto, gli si sarebbe gettata addosso, cosรฌ da fargli percepire il suo peso, il calore, la gioia.
Immensa sarebbe stata lโestasi, indescrivibile, incontenibile. Troppo acuta da sopportare. Troppo!
โE Argo,il fido can poscia che visto
Ebbe dopo dieci anni e dieci Ulisse,
Gli occhi nel sonno della morte chiuse.โ
Luisa Zambrotta