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Il ritmo dell’anima – racconto di Francesca Pizzi

Nella quiete di una mattina d’estate dalla terrazza osservo l’interno della mia casa, mentre sento il rumore di fondo delle auto e vedo tutto intorno la luce forte e calda del sole di luglio.
Davanti a me, oltre la porta a vetri, nella cucina, Anna sta facendo colazione, un po’ più tardi rispetto al solito, perché oggi non andrà al lavoro.
La guardo e penso a come ho imparato ad amarla.
Quando era dentro di me sentivo i suoi movimenti e il ritmo dei suoi singhiozzi, ma nessun particolare sentimento.
Cercavo di immaginare il suo viso mentre mi accarezzavo la pancia, nell’illusione di poterla toccare.
Subito dopo la sua nascita, non capivo cosa provavo per lei e mi chiedevo dove fosse quell’amore materno di cui avevo sempre sentito parlare, ma che non riuscivo a trovare nel dolore fisico, nelle notti insonni e nei pianti incessanti di una neonata.
Quando poi ho capito che quell’esserino era in grado di sorridere e di comunicare con me senza bisogno di parole mi sono innamorata di lei e ogni giorno che passava l’amavo più intensamente, fino a sentirmi completamente riempita del mio amore verso di lei, che era sempre ricambiato, con i suoi abbracci e sorrisi di bimba; espressione di un amore puro e non paragonabile ad alcuna altra forma di affetto.
Per un periodo della mia vita quelle manifestazioni di amore sono state la mia vera forza e il mio coraggio.
In quel periodo riconoscere nel suo viso da bambina alcune mie espressioni e sguardi e sapere che una parte di me era in lei, mi faceva sentire onnipotente e immortale.

Anna sta masticando un biscotto con lentezza, fissando con lo sguardo un punto indefinito della stanza.
In questi ultimi giorni è silenziosa e pensierosa, a causa di Pietro.
E’ almeno una settimana che non lo vede e non lo sente, dopo quell’ultima discussione al telefono.
Lo so che Anna sta soffrendo, ma ammiro la sua decisione di non accettare più l’incertezza sentimentale di quel ragazzo, oramai diventato un uomo.
Anna appoggia la tazzina del caffè sul piattino e comincia a piangere, in silenzio e allora mi avvicino a lei.
Sento il suo respiro che diventa più veloce nel pianto.
Ricordo che quando Anna era bambina, spesso mi avvicinavo a lei mentre dormiva, per sentire il suo respiro e per sentirla vivere.
Il respiro non è solo aria che entra nel corpo, non è solo il petto che si alza e si abbassa.
Il respiro è il ritmo dell’anima, in un corpo vivo.
Anna poi smette di piangere, si asciuga gli occhi e finisce il suo caffè.
Lei reagisce sempre e non si lascia vincere dalla tristezza.
L’amore non è finito, lo proverà ancora per altri e sarà migliore.
Anna lo sa.
Ora sono davanti a lei e la guardo e le sorrido.
Venti anni fa è stata l’ultima volta in cui ho toccato la sua pelle morbida e ho sentito il suo odore di bambina, la sua voce e le sue labbra umide sulla guancia e poi il mio dolore è finito.
Io continuo a sentire ogni suo respiro e a farlo mio.
Io sono quel profumo dolce che a volte percepisce e le riscalda il cuore e il calore del sole sulla pelle.
Io sono il sorriso di un estraneo e il saluto di un bambino.
Io sono l’evento fortunato e le decisioni che lei sente giuste.
Io sono qui, per ogni suo respiro.

Francesca Pizzi

 

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