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Il momento adatto – di Francesca Goduto

“Lo sapevi che non era il momento adatto… è scritto che il momento giusto per piantarle è Marzo – Aprile!”
Edward aveva segnato la propria condanna nel momento in cui aveva regalato il “Manuale del perfetto giardinaggio” ad Emma…
A Maggio era entrata in possesso del cottage che la zia Maggie le aveva lasciato in eredità dopo la sua dipartita. Emma era stata la sua nipote prediletta da sempre… beh in effetti l’unica reale… visto che i figli di George – fratello di James, entrambi figli di Leopold fratello a sua volta di Margareth detta Maggie – non avevano mai avuto rapporti con lei.

Maggie era stata per Emma una dolcissima compagnia durante gli anni dell’adolescenza, l’aveva ubriacata con i racconti dei suoi innumerevoli e fantastici viaggi, compiuti quando Emma era ancora una bambina. Dopo la morte di Katherine, James era rimasto solo a dover accudire la piccola Emma che si affacciava allora alla soglia dei tredici anni. James aveva il proprio lavoro da gestire, era a Londra durante l’intera settimana e solo nei weekend, con cadenza tutt’altro che regolare, tornava nella residenza di famiglia a Southampton1. Così… Maggie si era sentita investita dalla responsabilità di contribuire ad aiutare quel nipote che così alto spirito di sacrificio aveva dimostrato nel prendere faticosamente le redini delle proprietà di famiglia, decisamente malconce a causa della dissennata gestione da parte del di lui padre Sir (ebbene sì!) Leopold Clarendon. Aveva così momentaneamente (sperava) riposto le valigie e si era trasferita nella splendida tenuta di campagna che Leopold e Katherine con immenso amore e appassionata dedizione avevano fatto costruire per poter custodire la loro nuova vita. Per le vicissitudini famigliari travagliate di Leopold erano stati costretti a rimandare più volte il matrimonio, riuscendo finalmente a convolare a nozze in età abbastanza matura: 49 anni lui, 42 lei. Non speravano perciò che la Provvidenza li graziasse con un figlio ed enorme fu la meraviglia quando si scoprì, appena un anno dopo il matrimonio, che Kate era incinta. Purtroppo però il destino aveva in serbo per loro una brutta sorpresa e Kate lasciò bruscamente per sempre il marito e la piccola Emma a causa di una rovinosa caduta da cavallo. Era il 1992. Leopold aveva 63 anni, Katherine 56, Maggie 42.

Maggie aveva deciso di riservare per sé gli spazi del cottage che faceva parte della tenuta: l’edificio principale, diceva, doveva rimanere appannaggio di Leopold ed Emma, lei era solo la zia venuta in soccorso. Però… la piccola Emma… nonostante la dolcezza della buona Patty, la cameriera che era con loro da quando Emma era in fasce, e la straordinaria simpatìa di Marc, il maggiordomo tuttofare, appena rientrata da scuola correva nel cottage di zia Maggie, spesso a farle anche compagnia per il pranzo oltre che per la cena, ormai appuntamento fisso. La zia Maggie non era una grande cuoca ma a Emma non importava: era troppo divertente vederla armeggiare arrancando con stoviglie e fornelli, vestita e truccata di tutto punto, in ghingheri e sempre profumata: quella fragranza di bergamotto e arancio, gelsomino e rosa, vetiver, muschio bianco, vaniglia e patchouli era il suo inconfondibile odore. La maggior parte delle volte finivano per mangiare uova strapazzate, bacon e salsiccia: gli unici cibi semplici da preparare. A volte sperimentavano insieme e si provavano a preparare i dolci, il pudding di riso era il preferito di Emma e il loro pezzo forte. Nei pomeriggi non mancavano mai gli “Scones” con la confettura di fragole e la “clotted cream” per accompagnare il the, spesso Patty portava loro anche i “cucumber sandwiches”.

L’”Eton mess” divertiva particolarmente Emma poiché lo mangiavano in giardino e Maggie aveva sempre un aneddoto su qualche leggendaria partita di cricket che l’aveva vista spettatrice contesa da diversi gentiluomini. E poi “Queen of puddings”, “Banoffee” e “Sponge cake al limone in quantità! La zia Maggie aveva insegnato ad Emma a giocare a bridge e così avevano ogni giorno il loro bel da fare. Tra un’attività e l’altra c’erano i racconti di viaggio: minuziosi, ricchi, affascinanti e appassionanti, mai scontati… Emma non sapeva se proprio tutto tutto quello che ascoltava fosse vero… ma le piaceva troppo e non si poneva neppure la domanda. In primavera cominciavano i picnic, maniacalmente organizzati da Maggie e Patty che mettevano a durissima prova la biblica pazienza di Marc, cooptato come uomo di fatica per spostare tavolini, sedie, panche, balle di fieno, cesti, botti… insomma qualunque cosa la mente di Maggie decidesse che dovesse far parte dell’ambientazione a tema scelta per ogni party. Tutti i compagni di Emma venivano invitati ed era caldeggiata la partecipazione delle rispettive mamme così che zia Maggie potesse affermare appieno le sue potenzialità di intrattenitrice.

Fino al diploma Emma aveva vissuto un’esistenza al riparo da ogni tristezza di sorta. Non aveva quasi avvertito il progressivo distacco dal padre che pian piano aveva cominciato a diradare sempre di più le capatine a Southampton. Il giorno del funerale Emma aveva conosciuto la nuova compagna del padre, molto giovane, una rampante collega, che si era presentata carezzandole pateticamente i capelli. Dopo di allora scomparve nel nulla.
Può darsi che James non fosse adatto a fare il padre, ma non fu mai irresponsabile ed ebbe cura di lasciare la propria figlia nelle migliori condizioni. Grazie alle rendite delle proprietà di famiglia, quelle vecchie recuperate da James e quelle nuove acquisite grazie al suo fiuto per gli affari, Emma poteva ritenersi serena; aveva inoltre dei fondi che erano stati approntati perché potesse provvedere ai propri studi in qualunque università volesse; aveva la residenza di famiglia da poter gestire come meglio credesse… insomma James aveva fatto di tutto per poterle garantire un’esistenza spensierata.

Emma non aveva alcuna intenzione di lasciare zia Maggie e così… si iscrisse presso la facoltà di Storia dell’Università di Southampton.
Durante gli anni dell’università zia Maggie potè rispolverare le sue vecchie valigie… stavolta assieme a quelle nuove di zecca di Emma. Alla fine di ogni sessione di esami si concedevano un viaggetto. Prima si dedicarono all’esplorazione della propria nazione poiché Emma non si era mai mossa dalla sua città: Galles, Scozia, la stessa Inghilterra con la meravigliosa Cornovaglia che rapì il cuore di Emma, Irlanda del Nord… Durante l’estate si dedicavano ai soggiorni di vacanza: Portogallo, Andalusia, Provenza, Italia… ah! L’Italia che invece diversi anni prima aveva ammaliato Maggie…
1971, 7 maggio. Oggi Margareth Clarendon compie 21 anni. Maggie ha atteso questo giorno con un’agitazione indescrivibile. Suo papà, Lord Henry Clarendon, dopo accesissime e faticosissime trattative portate avanti instancabilmente dalla dolcissima mamma di Maggie, Emma, ha ceduto acconsentendo ad un viaggio come regalo di compleanno. La difficoltà delle trattative è scaturita dal carattere per nulla mansueto e convenzionale della giovane Maggie. La destinazione del viaggio è l’Italia. Non la famigliare Firenze, da secoli meta prediletta dagli inglesi, bensì la sperduta e remota Puglia… una piccola regione nel sud del Paese, terra di contadini, terra di mare soprattutto: Maggie adora il mare e ha scelto questo lembo di paradiso da voler visitare poiché qui vive uno zio che ha sposato una donna del posto, conosciuta durante gli anni della guerra2. Maggie tiene da anni una fitta corrispondenza con la cugina Anna, figlia dello zio Theodore detto Theo, e si ripromettono di anno in anno di vedersi e conoscersi finalmente e parlare fitto delle proprie vite… solo che le possibilità che Anna possa recarsi in Onhilterra sono poche: lei ha ancora 17 anni, troppo presto perché possa viaggiare da sola, Maggie invece finalmente quest’anno compie 21 anni e così… quale migliore occasione? Grazie ad Anna, Maggie ha imparato l’italiano; grazie a Maggie, Anna ha imparato l’inglese. Anna vive a Lecce, una perla della regione. La sua è un’esistenza privilegiata: la mamma di Anna , Edda Castrovillari, appartiene ad una delle famiglie più agiate del territorio, grossi proprietari terrieri, gestiscono piantagioni di tabacco, risorsa tra le più importanti del momento per la terra del Salento. Anna ha quattro fratelli: Umberto, il maggiore, 24 anni, appena laureato in giurisprudenza, avviato alla carriera forense; Ettore, 19 anni, studente di medicina, che sogna di divenire cardiologo; Amedeo, 15 anni, liceale, frequenta il Liceo Classico presso il Collegio gesuita della città da allievo modello; Edoardo, il cucciolo di casa, 5 anni, la gioia di tutti.

Theo, stabilitosi a Lecce per amore, dopo il matrimonio ha cominciato ad occuparsi degli affari della famiglia della moglie unitamente ai fratelli di lei. Una serena e sana famiglia del sud… La vita sociale è particolarmente intensa tra riunioni al circolo cittadino per Theo, riunioni presso l’associazione di beneficenza per Edda, partite a tennis, cocktails da organizzare, cene e feste, incontri di lettura… insomma in casa Castrovillari – Clarendon non ci si annoia mai e Anna non lesina nelle sue lettere dettagli entusiastici di questa frenetica attività. Maggie muore dalla voglia di immergersi in questo mondo che vede così fresco e luminoso al confronto con il proprio… stantìo, monumentale, buio e monotono.
Dopo la chiusura delle trattative, in casa Clarendon erano cominciati alacremente i preparativi per la partenza: da Gennaio Maggie e sua madre si erano recate più volte a Londra per l’acquisto degli abiti da portare in Italia, uno per ogni occasione: da giorno, da pomeriggio, da sera, tenute sportive, costumi da bagno, accessori… Ad ogni ritorno si imbattevano nei musi lunghi e nel volto scuro di Lord Henry che si palesava sulla soglia con le mani dietro la schiena, fermo, senza proferire parola sperando nel loro senso di colpa… puntualmente però sciogliendosi all’abbraccio e al “Ciao daddy!” con bacio sella guancia di Maggie.

Il gran giorno arrivò in men che non si dica. La mattina del 7 maggio Maggie salutò mamma Emma, papà Henry e il fratello Leo per essere accompagnata a Londra, dove da Heathrow sarebbe partita nel primo pomeriggio. Dopo diversi scali, l’8 maggio nel pomeriggio giunse a Bari; da qui l’auto dei Clarendon – Castrovillari l’attendeva per condurla a Lecce.
Il primo ad accoglierla fu il piccolo Edoardo che, impeganto nei suoi giochi in giardino con i figli di Giuseppe il giardiniere e Antonio lo stalliere: Giovanni e Lorenzo, appena vide sbucare sul viale d’ingresso l’austera Flaminia cominciò a urlare: “La cugina ingleseee! La cugina ingleseeeeee!” richiamando naturalmente il resto della famiglia. Erano tutti presenti per dovere di ospitalità: bisognava accogliere al meglio la tanto attesa “cugina inglese”. Il personale si tenne a rispettosa distanza presentandosi però all’ingresso. La zia Edda e lo zio Theodore gioviali, rubicondi, espansivi e di un’allegria contagiosa. La zia si affrettò a fare eco ad Edoardo battendo – compostamente – le mani e andando incontro a Maggie appena l’auto si fu fermata, Theo rimase discretamente ad attendere ma era la felicità fatta persona: finalmente una consanguinea! Assieme ad Edda si precipitò verso l’automobile Anna che non stava evidentemente nella pelle! Amedeo timidamente attese sotto il porticato con Theo e con Umberto, che si gustava la scena con le mani intasca, un sorriso sornione, appoggiato ad una colonna.

Umberto… come già detto era il maggiore dei fratelli di Anna ed era uno scavezzacollo. Un affascinante sbruffone, che si beava di tutte le prerogative che il suo status sociale gli riservava, soprattutto la facilissima presa sulle ragazze. Forte della sua posizione e della sua superiorità intellettuale, non era esclusivamente vanesio: era anche pericolosamente intelligente e preparato, sia nel proprio ambito sia in generale, grande appassionato di storia e di arte non era mai a corto di argomenti… e godeva nel lasciare a bocca aperta coloro con cui si rapportava e che aveva cura di scegliere, pena il mancato soddisfacimento della propria vanagloria, tra chi fosse molto al di sotto del suo livello culturale. Si circondava di adulatori che costituivano la sua corte adorante.

Orbene, Umberto dunque si gustava la scena attendendo il proprio momento. Maggie fu travolta dall’entusiasmo dell’accoglienza. Arrivata al portico ignorò Umberto porgendo la mano allo zio Theo che la abbracciò calorosamente introducendola all’interno. Anna accompagnò Maggie in quella che sarebbe stata la sua stanza per i successivi quattro mesi: una bellissima camera al primo piano – dove si trovavano tutte le camere da letto – sul lato della casa affacciato sulla piscina e sul campetto da tennis, ovviamente alla camera degli ospiti era riservata la posizione migliore. La camera consisteva in un ambiente d’ingresso, spazioso ed arredato come un salottino, con un’ampia porta a vetri che conduceva ad un balcone veranda. Sul balcone si affacciava anche la stanza attigua al salottino che era la camera da letto vera e propria, con una toilette personale. Maggie godeva di assoluta privacy poiché adiacenti alla camera erano la biblioteca, scarsamente frequentata dai membri della famiglia, eccezion fatta per Umberto, e la sala da gioco: zio Theo era un appassionato – non accanito – giocatore di poker, passione che coltivava però esclusivamente durante l’inverno.

Maggie fu entusiasta della posizione riservatale, già pregustava i risvegli inondati dal caldo sole di quell’angolo di paradiso e allietati dal cinguettìo degli uccelli acquattati tra le fronde dei lecci, degli ulivi, degli aranci e di tutti gli altri alberi da frutto che brulicavano in giardino.
Anna aiutò la cugina a disfare le valigie, chiacchierarono durante tutto il tempo, le annunciava il ricchissimo carnet d’appuntamenti che le attendeva: era stato tutto programmato minuziosamente perché non ci fosse il minimo spazio per la noia. Feste, cene, balli, partite a tennis, giri alla scoperta delle bellezze del luogo… insomma la attendeva un’estate piacevolmente impegnativa. “Domani sera daremo una festa per presentarti a tutti i nostri amici, dovrai conoscerli: d’estate quasi tutte le sere ci si riunisce ora in casa dell’uno ora in casa dell’altro, per cena o per il dopocena con gelato. Tutti sono terribilmente ansiosi di incontrarti, sai noi quaggiù siamo così: ogni nuovo arrivo è un regalo da scartare! Ti piaceranno e potrai vedere con chi trascorreremo l’estate. I figli degli amici dei miei hanno più o meno la nostra età e le giornate al mare sono spumeggianti di divertimento! Non vorrai più andar via…” . Anna non sapeva quanto quest’ultima frase sarebbe stata vera…

Il suo amore non era stato all’altezza… non aveva saputo utilizzarlo come baluardo per difendere il loro piccolo mondo dalle aggressioni e dalle ingerenze… Si era piegato… ed erano stati sconfitti. Maggie guardava le sue valigie, pronte sulla soglia di quella modesta casa che si era illusa potesse essere la roccaforte di un amore inespugnabile. Si guardò attorno stancamente.. venticinque anni e sentirne almeno venti in più… imposte chiuse, teli sui pochi mobili compagni di tanti momenti incorniciati nella sua mente come preziose opere d’arte… un sorriso amaro, un senso di delusione e di frustrazione la squarciò all’improvviso, gli occhi le si velarono e disse a sé sola circondata dai giorni bevuti d’un fiato fino all’ultima goccia con una sete incolmabile… con una voce sottile che riecheggiò altissima fra quelle mura ormai così fredde… “ne è valsa la pena…”
quattro mesi prima, arrivata sprizzante entusiasmo da ogni poro, non avrebbe immaginato tutto ciò che sarebbe accaduto dal giorno del suo arrivo a casa Castrovillari – Clarendon. Non avrebbe potuto immaginare l’uragano che avrebbe significato la sua presenza nelle indolenti e scanzonate esistenze di quella famiglia e dei loro amici.. no,non avrebbe potuto immaginarlo… Eppure non riusciva a guardare se non con indulgenza a quella sé di quell’estate accecante di vita…
“Ehi cugina!”

Maggie sussultò, intenta com’era ad ascoltare quella musica dolcissima che dal giradischi si diffondeva a bordopiscina. Nonostante gli invitati brulicanti, frizzanti, ciarlieri e rumorosi la musica si imponeva e riequilibrava il tutto.. Maggie si sentiva leggera, inebriata e felice come mai fino ad allora. Quei volti, tutti perfettamente sconosciuti, magicamente la facevano sentire nel posto giusto, nel posto più giusto per lei.
“Ciao Umberto”
“Sì, ciao. Sei arrivata da un giorno e mi hai ignorato per tutto il tempo: non ci sono abituato!”, e le strizzò l’occhio.
“Hai ragione ma, credimi, sono stata travolta dal turbine degli eventi! E’ tutto bellissimo… mi sembra di essere su una giostra…”
“Già, qui è sempre così, non c’è un attimo per pensare… e forse va bene così…” si fermò e per un impercettibile istante un’ombra attraversò i suoi occhi, due occhi profondi, nocciola, sempre un po’ lucidi… Subito si riprese e Maggie fu avvolta dalle sue parole e dai suoi discorsi incantatori. Umberto aveva resistito un’intera giornata senza rimostranze, senza essere al centro delle attenzioni di un essere di sesso femminile al di sotto dei trent’anni: un record. Normalmente la scena era sua sin dal primo istante, ma in quel caso aveva insolitamente preferito rimanere un passo indietro. La sua era una personalità senza ombra di dubbio carismatica. Maggie, dal canto suo, era di una bellezza non banale, delicata. Portava i capelli corti, castani, era minuta, dalla carnagione chiara, occhi neri incorniciati da grossi occhiali che lei sfoggiava orgogliosamente: erano lo schermo attraverso il quale si godeva lo spettacolo. Aveva ereditato la miopia dalla mamma e, dopo averci convissuto dolorosamente per anni, finalmente l’aveva accettata e sublimata: vedeva in questo difetto un segno della sua personalità, non riuscire a distinguere ciò che è lontano implicava il poter fantasticare che fosse qualunque cosa lei volesse; la sua era una realtà filtrata e quando voleva toglieva gli occhiali e si gustava il non contorno, l’indefinito, l’indistinto del mondo…

“Invitarci ad una festa e non degnarsi di presentarci la festeggiata è da gran cafone! Piacere: Matteo!”, “Esattamente. Umberto Clarendon, scansati! Piacere: Ruggero!”, “Che scemi. Ciao… io sono Giacomo.. benvenuta.”. Matteo, Ruggero e Giacomo erano gli amici più stretti di Umberto, nonché suoi compagni nelle innumerevoli scorribande che i loro anni spettinati gli concedevano. Insieme formavano il quartetto più ambito dalle ragazze del posto e più temuto dai loro padri: inguaribili scavezzacollo e tombeur de femmes. Maggie fu così monopolizzata per il resto della sera dalle loro chiacchiere fragorose e travolgenti. Andò a letto quella sera infinitamente grata per quella serata e pregustando tutto ciò che l’attendeva… se le premesse erano queste…

Dopo quello che era accaduto, Umberto e Maggie sapevano che non sarebbero più stati gli stessi, le loro vite sarebbero per sempre cambiate e avrebbero preso una direzione che nessuno dei due… fino alla sera prima… avrebbe mai immaginato o meglio…sognato… perchè sì… lo presentivano entrambi, quella che stava per cominciare non sarebbe stata una storia qualsiasi ma la Storia, quella con la “S” maiuscola.
Si erano amati dal primo istante in cui avevano fatto la comparsa uno nella vita dell’altra. Si erano a lungo accuratamente evitati, dolorosamente consapevoli dell’impossibilità di quell’amore. Si erano acquattati ognuno nel proprio buio per braccare i propri sentimenti e imprigionarli sperando disperatamente che non uscissero allo scoperto. Avevano lottato e combattuto aspramente contro quel sentimento dirompente, devastante. Evitandosi, ferendosi, scontrandosi, ignorandosi… alla fine era straripato e anziché spegnersi non aveva fatto che crescere e divenire sempre più incontenibile e alla fine… avevano dovuto arrendersi…

“Qual è il punto di inizio dell’orizzonte? Dov’è che tutto comincia? Dove si trova il posto cui tutti miriamo? Aiutami…”, sorrise guardandolo, si mise a sedere comoda sul metro quadrato di scoglio non ancora violato dalla marea che saliva nel crepuscolo, trasse un respiro: “Non credo tu possa vederlo e non credo ti serva vederlo… non occorre toccare, odorare, udire, per sentire… devi solo decidere di ascoltare… l’orizzonte, il luogo dove tutto comincia, il posto cui tutti miriamo, non è altro da te… non è altrove da te…”
Lui contrasse per una frazione di secondo i muscoli del viso, per un istante impercettibile socchiuse gli occhi. Quindi distese il cuore, la strinse a sé e guardò nei suoi occhi a centimetri dal proprio viso il riflesso dell’infinito…

Il mattino del giorno più lungo delle loro vite era cominciato un mese prima. La sera precedente al mattino del giorno più lungo delle loro vite Umberto, rincasando dalle sue notti sempre più movimentate e accuratamente cercate, come di consueto si era recato in biblioteca, da un po’ di mesi ormai non sopportava più di essere in camera con Amedeo che trascorreva intere nottate a studiare – questa la motivazione ufficiale – . Il suo trasferimento in biblioteca era stranamente coinciso con l’avvio del fidanzamento ufficiale di Maggie con Giacomo. Ritornando in tarda serata Maggie trovava la luce della biblioteca accesa. Le prime volte si era costretta a non dar peso alla cosa e si era diretta spedita nella propria camera. Col trascorrere dei giorni, Maggie cominciò a trovare oltre alla luce accesa anche la porta aperta. Anche in questo caso fece violenza su se stessa per non bussare e irrompere nella stanza. Una sera, Maggie dopo essersi vestita per andare a letto e aver spento la luce decise di andare a godere del fresco del balcone. Si era appena appoggiata alla balaustra quando ciò che aveva atteso dal primo momento avvenne. Umberto pazientemente aveva aspettato per settimane, anche lui costringendosi a rimanere prima lì fermo dietro la porta chiusa senza aprirla… poi lì seduto in poltrona a continuare a fingere di leggere. Quella sera aveva sentito il bisogno di rinfrescare i pensieri ed era uscito sul balcone. Stava lì appoggiato al muro, mani al solito in tasca, gambe incrociate , al buio.

Non appena Maggie uscì il suo cuore si fermò… e dopo fu tutto così luminoso che temettero entrambi si svegliassero tutti tanto sembrava loro accecante il bagliore di ciò che sentivano da renderlo fisicamente percepibile.
“Allora?”
Maggie non riuscì a fingere di sobbalzare… sapeva che era lì, sapeva che era stato lì a pochi passi da lei da sempre e quella sera proprio non potè dissimulare la consapevolezza.
Si voltò con calma e stette di spalle alla balaustra.
“Allora che?”
“Com’è andata, che avete fatto, ti sei divertita, bla bla bla”
Vedeva la sua espressione contratta e sentiva la propria falsamente indifferente.
Ci furono alcuni istanti di silenzio, il silenzio più fragoroso che esista… dopodichè Maggie capì… si mosse verso Umberto. Lui non fece un gesto un passo un movimento, rimase immobile… e immobile restò lei ad un palmo da lui… serissima lei imbronciato lui… Ad un tratto la mano di Mggie fu sul viso di Umberto a carezzarlo, lui la fermò e chiuse gli occhi… Fu come se il mondo intero in quel momento traesse un respiro amplissimo… come se i nodi strettissimi e avvinti dei loro animi d’un tratto si sciogliessero tutti assieme… Una sinfonia sembrò s’innalzasse e si trovarono a galleggiare insieme sulla superficie della vita scorgendo da lontano la riva che andava allontanandosi sempre più…

C’è un filo invisibile che lega le anime destinate a fondersi fino al punto del non più io né tu ma noi… E all’improvviso Maggie ricordò tutto… i faticosi passi che avevano compiuto per ritrovarsi lì su quel balcone quella sera in quell’istante… e la percezione fu così forte da scuoterla e farla sussultare… la percezione di quell’assenza… più forte di qualunque presenza… E capì… che non ci sarebbe stato più un ritorno, che quella sé era irrimediabilmente perduta… e pianse… ma di felicità…
“Tu sai che tutto questo non è reale vero?”
“Sì, certo… è il nostro sogno… nel quale siamo impantanati”
“Già, impantanati…”
Si voltò a guardarla. Ogni volta si perdeva nei suoi occhi, era stato così sin dalla prima sera in cui i loro sguardi si erano incastrati, durante l’estate del 1971, la sera della festa per la sua accoglienza…
“Ci importa?”, le chiese. E le riservò il suo sorriso più sfacciato e irriverente… lei rise imbarazzata e nascose il viso tra la testa e la spalla di lui… poi risollevò lo sguardo e altrettanto sfacciata gli disse di no… non gliene importava nulla.
Nulla avrebbe potuto distoglierli da ciò che erano diventati, nulla avrebbe potuto sciogliere il loro incantesimo… nulla avrebbe potuto violare il loro segreto…

Sapevano di non poter vivere apertamente la loro storia, Maggie era ufficialmente fidanzata ma soprattutto… erano consanguinei. Sarebbe stato uno scandalo insostenibile per entrambe le famiglie.
Presero ad amarsi però con una libertà talmente sfrenata che cominciarono a dubitare di poterne avere altrettanta se fosse stato il loro un amore convenzionale… l’urgenza di essere l’uno per l’altra era talmente impellente da sublimarsi nell’attesa così da arrivare a possedersi nell’assenza… trascinavano le loro giornate e consumavano le notti. Ognuno apparentemente proseguendo la propria esistenza, schivandosi accortamente e fremendo ad ogni respiro… erano insieme in ognuna delle ore della giornata pur non vivendosi fisicamente e nelle poche ore rubate si annullavano e fondevano in maniera così straziante da uscire da sé…

Sapevano che il loro era un amore giusto e non vi avrebbero rinunciato anche se ciò avesse significato struggersi nella clandestinità.
Capirono che l’amore è rivoluzione… che scardina convenzioni e luoghi comuni e sovverte le illusorie certezze che ognuno pensa di avere… che è un acquazzone scrosciante e non lascia scampo ti inzuppa i vestiti che hai addosso e dopo non puoi che buttarli e indossarne di nuovi… che non si è più gli stessi e quasi ci si vergogna di chi si è stati come se ritrovassimo il pudore della nostra identità e lo percepissimo quasi oltraggiato dal noi stessi di ieri… che spesso è ripudiare alcune scelte perchè avvertite ormai come autoimposizioni delle quali non riconosciamo più l’autorità… Che è essere liberi da se stessi e padroni dei propri sogni… è possedere l’incanto tenendolo stretto in una mano…

 

Francesca Goduto

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