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Il mare e un sogno infinito – Racconto di Federica Moretti

Tbilisi la capitale della Georgia era una città meravigliosa… era incastonata sulla roccia, aveva casette di legno tutte colorate, con le verande, le finestre intarsiate e le strade piene di ciottoli. Da una di queste finestre si scorgeva una ragazza che pensava… pensava… pensava… chissà che cosa le frullava in testa.

Ecco a voi la sua storia!

Carol questo il suo nome, detta Lilì, nasceva l’8 agosto del 1955 a Tbilisi in Georgia dove è sempre vissuta. Figlia di un cantastorie di nome Noah nato il 16 febbraio del 1935 a Tbilisi in Georgia e, di una costruttrice di canestri di nome Helen nata a Tbilisi in Georgia il 21 marzo del 1938, è cresciuta con la passione per l’arte. Per lei l’arte era lo specchio dell’anima. Proveniva da una famiglia umile Carol. Si avete capito bene! Proprio così! Ma, allo stesso tempo era stata l’umiltà a farle vivere la vita sotto un altro aspetto: Bisognava godersi ogni momento della giornata brutto o bello che sia, raccogliere ogni esperienza vissuta dalla più piccola alla più grande perché ogni cosa era un ricordo. La Felicità… questa era la chiave per tutto!! Passavano gli anni, Lilì cresceva e, nel giorno del suo sesto compleanno, in un caldo pomeriggio d’estate, trascorse un momento di complicità insieme al suo Babbo. Seduti uno accanto all’altro, sotto un grande albero maestro che gli regalava un po’ di ombra, con il lago che gli faceva da scenario, raccontandosi storie di galassie, cieli e stelle. Iniziò così a sognare la piccola bambina e, sperava in cuor suo se un giorno avrebbe mai realizzato il suo più grande desiderio: vedere il mare per la prima volta! Nove anni dopo la bambina era diventata una bellissima ragazza… aveva un volto scarnito, esile, gli occhi piccoli, impercettibili, occhi profondi come gli abissi marini e neri come una notte senza luna. I capelli erano biondi e scuri come un campo di grano e mossi come onde danzanti. Le guance erano radiose, gioiose, rosee come le rose e, la sua bocca era scarlatta, rossa come il sangue. Era una persona introversa, riservata, indipendente, che necessitava dei suoi spazi e, che si trovava a suo agio in solitudine. Era amichevole, disponibile verso gli altri, gentile sensibile. Amava organizzare le cose nel minimo dettaglio. Era puntuale, ordinata e calcolava scrupolosamente tutti i pro e i contro. Era anche una persona emotiva, suscettibile. Provava più facilmente emozioni come rabbia, paura, ansia e tristezza. Aveva sempre nuove idee. Stava attraversando il periodo più difficile della sua vita: l’adolescenza. Infatti anche il rapporto con i genitori era scontroso. Passava tutto il tempo con i suoi migliori amici Ana e João. Ma un giorno di primavera, tra racconti di amori e amicizie, mentre passeggiavano vicino al lago Ana cadde in acqua e, non sapendo nuotare affogò. Carol non si era mai perdonata per la morte della cara amica in quanto non era riuscita a salvarla. Era il 1985, Lilì aveva compiuto 30 anni. Si era diplomata all’istituto magistrale “ Montessori “ di Tbilisi in Georgia ed era diventata una ballerina. Lei era una figlia dei fiori. Appoggiava il movimento hippy e quello del Flower Power nato a cavallo tra gli anni ’60 e ’70 come corrente di contestazione giovanile che poi si era prorogato in tutto il mondo. Il ritorno alla natura, il pacifismo e l’interesse per le filosofie erano alcuni dei suoi tratti caratteristici. Erano gli anni delle lotte politiche, della guerra in Vietnam e della legge sul divorzio. Carol era una ragazza che seguiva sempre il suo istinto. Amava far parte di questa corrente ma non le piaceva la moda e, non accettava le discriminazioni di classe, razza e sesso. Credeva e lottava per essere accettati ognuno con i propri difetti. Amava dipingere, ascoltare la musica dei Beatles, le piaceva prendersi cura dei fiori e adorava gli animali. Nonostante tutto ciò, si sentiva dentro di lei che c’erano due pezzi del puzzle da completare e ricomporre: Punto primo: Superare e affrontare la paura del mare che l’avevano traumatizzata dopo la perdita di Ana; Punto secondo: trovare il modo e il coraggio di dire a João che era follemente e incondizionatamente innamorata di lui. João era il suo migliore amico. Anzi, l’unico che aveva. Proveniva dal Portogallo, dalla città di Lagos e aveva 33 anni. Era nato il 10 novembre del 1952. Aveva gli occhi azzurri come il cielo e come il mare, i capelli neri come la pece e neri come il corvo. Labbra carnose. Era un ragazzo estroverso che, a differenza di Carol amava conoscere la gente, il mondo, le varie culture, viaggiare e tutto ciò che gli circondava. Lilì era una ragazza single e, questo la portava anche ad uno stato di malessere in cui si trovava. La ragazza aveva confessato tutto il suo amore verso la persona amata senza essere ricambiata.

Ed ecco ora che ritorniamo all’inizio della nostra storia!

Immersa nei suoi pensieri, appena svegliata, con indosso i vestiti da ballerina, sedeva sul suo letto e scorgeva la finestra della sua camera…

<<Cielo, nuvole, aria… mi state portando via tutto!!

L’allegria, la spensieratezza non fanno più parte di me…

L’acqua e il mare mi hanno allontanato dalla mia più cara amica d’infanzia!!

Come potrò riconquistarli?!

Come potrò realizzare il mio sogno poiché non ho le possibilità economiche né i mezzi per raggiungerlo?!

C’è un altro problema: il mio amico João non ricambia ciò che provo per lui!!

Come io mai potrò avere una vita felice?!

Vi prego stelle, mie sorelle non mi abbandonate mai!!

Ho bisogno tanto del vostro aiuto!! >>.

In quell’istante Carol aveva occhi fissi, pensanti e penetranti, labbra corrucciate e rattristate che esprimevano dolore. Le spalle erano chiuse in avanti e il corpo era accovacciato e rannicchiato quasi si volesse nascondere. Prevaleva un senso di solitudine e timidezza. In quel momento sull’uscio della sua porta compariva João che aveva deciso di strapparla dal mondo che si era costruita, portandola con sé in un lungo e terminabile viaggio. Lilì dapprima scettica poi accettò volentieri capendo che, quello era stato il volere del destino. Era arrivata la preghiera alle stelle che l’avevano ascoltata per tutto quel tempo. Visto che non c’erano né le possibilità economiche e né i mezzi per raggiungere il posto tanto desiderato, iniziarono l’avventura partendo con delle bellissime biciclette. Viaggiarono, viaggiarono verso confini sconosciuti, attraversando paesaggi strabilianti per giorni, settimane e mesi, fino a che non si trovarono in una piccola isola della Grecia sul mare: Mykonos. Una bella isola delle Cicladi che aveva minuscole case bianche con i fiori, finestre e porte blu, dipinte a mano. Strade, mulini a vento e camini. Arrivati sulla spiaggia Carol si levò immediatamente le scarpe dai piedi, si piegò in ginocchio e, con una mano sfiorò la sabbia sottilissima. Iniziava a sentire delle leggere vibrazioni e, cominciò a lasciarsi trasportare. Si alzò, corse verso il mare, andò contro il vento che le scompigliava i capelli. I piedi nell’acqua, le sue impronte. Subito dopo vide accanto quelle di João. Ci fu il bacio. João la vedeva come una persona sognatrice, con la testa fra le nuvole, immersa nei suoi pensieri, a volte un po’ chiusa a causa della sua timidezza alternava momenti di allegria e ilarità. Levarono lo sguardo verso il cielo e, le rondini che lei aveva tatuato sul collo, simbolo di libertà, erano per magia comparse sulle loro teste fra tante mongolfiere e, volavano verso l’infinito e oltre.

Questa era la vera felicità!

<< Non si vede bene che col cuore, l’essenziale è invisibile agli occhi >>

Come è profondo il mare,

come è profondo il mare…

 

 

Federica Moretti

 

 

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