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Il giorno di San Lorenzo – Racconto di Anele Gnommero

“Non esiste la sincerità” pensava Severa.

Seduta su uno scoglio, raggomitolata, osservava la profondità di quel mare che sembrava non avere il fondo. Sua madre quando la vedeva così la chiamava “l’anima in pena”, sottovalutando, insensibilmente, il suo malessere cosmico. Suo padre le faceva il solletico. Si può odiare più intensamente una persona per una manciata di secondi? Allora Severa cercava un luogo dove rimanere completamente sola. Lo scoglio lo aveva scoperto l’estate dei suoi quattordici anni, quando sua nonna, durante il pranzo di Ferragosto, aveva brindato al suo primo ciclo. In quel caso si sarebbe voluta nascondere sotto. Ma quel tufo grande, chiaro, piatto aveva ospitato comodamente le sue lacrime e i suoi improperi di ragazzina prostrata nella più profonda vergogna. Ora, a diciannove anni, ancora era lo scoglio delle paturnie. Se l’avevano chiamata Severa un motivo c’era. Appena nata era pensosa. Seria. Fin lì ci avevano preso. In seguito un po’ poco, a dir la verità. Ed ora, a diciannove anni suonati, si trovava lì a fissare quel blu sconfinato pensando a come fare. A come risolvere la paturnia delle paturnie. Come dire ad una famiglia di persone benpensanti, conformiste, molto religiose, davvero molto, forse troppo, di essere una maga.

Lei detestava quando da bambina le avevano imposto il catechismo e i relativi sacramenti, quando la obbligavano a partecipare alla processione annuale nei panni di Santa Restituta e le toccava oscillare su quel trono barocco mentre tutti le toccavano le vesti, manco fosse Santa sul serio. Crescendo aveva attribuito quel disagio ad un ateismo di reazione. Di rivalsa. In realtà dei segnali da bambina li aveva avuti. Spostare le cose con il pensiero è normale? No. Prevedere le interrogazioni e le domande dei compiti in classe? No, di certo. Parlare con gli animali? Men che meno.

Ma oggi,10 agosto 2018, ne aveva la certezza: era una maga.

Il gabbiano dello scoglio vicino osservava il mare esattamente come lei.

“Caro mio, sono una maga” Severa lo aveva incalzato. E lui di rimando:

“Lo so bene, bella mia, non starei così vicino ad una qualunque. Ora scusa,ma devo accaparrarmi del pesce. Il mio stomaco chiama. Stammi bene” ed era volato via.

Diavolo! Era inquietante.

Quel 10 agosto nulla faceva presagire la definitiva presa di coscienza.

I suoi erano tutti presi dai festeggiamenti per suo fratello Lorenzo, il maggiore, chiamato così non certo a caso. Un grande diacono romano messo a morte sulla graticola. Mica pizza e fichi. La sua Santa era meno nota, ma aveva sofferto anche lei. Cosa che a quanto pare aveva il potere di spingere i genitori alla scelta. Sulla spiaggia di Pyrgi era stata flagellata a morte. Ed era scritto che fosse volata via in Sardegna, dove l’impronta del suo piede era rimasta impressa proprio su una roccia. Roccia… scoglio…alle volte la vita si diverte ad intrecciare i destini.

La sera tutti i parenti erano invitati per l’onomastico. Lorenzo, venticinquenne, sembrava non soffrire affatto del modus vivendi della sua famiglia. Avrebbe accettato le domande indiscrete di ognuno, lodato gli addobbi frivoli di sua madre, la signora Maria, ringraziato per i regali a dir poco insulsi, tagliato sorridente la torta e bevuto lo spumante. Severa lo invidiava. Lei da sempre era fuori posto. Odiava i suoi onomastici sin da quando era bambina. Per di più ci si era messa pure la Chiesa cambiando giorno. I suoi avevano mantenuto il 5 giugno, ma non potevano nascondere di essere molto preoccupati, in attesa di una definitiva disposizione da parte della Curia. Lei, semplicemente, sperava che la cancellassero.

In questo stato di esaltazione famigliare sin dalla mattina all’alba, si era stancamente trascinata in salone con la tazza del caffè. E si era buttata sul sofà. Il cane, messo a mo’ di sfinge, osservava l’andirivieni rumoroso di tutti e lanciava maledizioni a chiunque.

La cosa divertiva Severa.

“Povero caro, non avere paura, la tua tata mette solo gli addobbi! “ gli diceva amorevolmente sua madre.

“L’animadichittemuort”rispondeva la bestiola, anche se era un mastino napoletano un po’ tarocco.

Suo fratello era già splendido di prima mattina. Camicia celeste, pantalone beige. Il ragazzo perfetto. Filiforme, biondino. Girava leggero con un libro di solfeggio sotto il braccio. Suo padre, il signor Giuseppe, era andato dal pasticcere a ritirare la torta. La signora Maria sapeva cucinare abbastanza, ma con i dolci faceva a botte da sempre. E il signor Giuseppe seguiva sempre gli ordini di sua moglie, senza fiatare. I nonni sarebbero arrivati di lì a poco con le bottiglie giuste ma, ahimè, con eccessivo anticipo, tanto per creare ancora più caos, mandare in ansia la signora Maria e far bestemmiare il cane. Severa era provata. Capelli arruffati e faccia assonnata. L’abitino a sottoveste turchese le donava, però. La sua bellezza era questa. L’incompiutezza.

Nell’osservare tanta leziosa perfezione si era trovata, senza accorgersene, ad esprimere un desiderio. Così nella sua testa. Come per gioco.

“Come vorrei che fossimo una famiglia diversa da quella che siamo. In tutto.”

Ecco.

Poi, satura di tutto quel miele, era andata a fare la doccia. Uscita, lo specchio si era appannato, ma le era bastato guardarsi i piedi. Erano neri. Non scuri, non marroni, neri come l’ebano. Così le braccia, le cosce. In fretta aveva fatto un varco nel vapore dello specchio.

I suoi occhi. Belli. Da perdersi dentro tanto erano profondi. I capelli dorati erano riccioli color cioccolato. Ma, di colpo, la sua indagine era stata interrotta da urla. Urla furibonde. Così, infilandosi nuovamente il suo abito attillato, era scesa. La signora Maria nel vederla urlava ancora più forte. Eppure si era fatta una gran bella signora, c’era poco da lamentarsi. Il colore intenso la faceva sembrare molto più giovane. Severa toccava sua madre, la signora Maria toccava sua figlia…diamine non era un sogno. Lo squillo del campanello le aveva fatte sobbalzare. Nonostante la signora Maria facesse di no con la testa, Severa aveva deciso di aprire la porta.

Ecco lì, belbello, suo padre. O almeno così aveva pensato Severa.

Un uomo sulla sessantina, di colore manco a dirlo, catatonico e con i piedi

piombati sullo zerbino. La torta non gliela avevano data, diceva. “Il signor Giuseppe non aveva avvisato che sarebbe venuto il suo domestico a prenderla” ripeteva imitando la voce nasale del pasticcere. Ed era rimasto talmente di stucco fuori il negozio che un tizio, passando, gli aveva messo un euro in mano. Eppure era vestito di tutto punto.

Si guardavano. E non potevano crederci. Mancava solo Lorenzo. Dove diavolo era finito? Era uscito da più di un’ora. Bisognava chiamarlo. La signora Maria inizio’ a cercarlo sul cellulare. Nulla, suonava a vuoto.

Driiiiin

“Merda! I nonni”.

Severa guardava dallo spioncino. Erano loro.

Decisamente rococò nell’abbigliamento e bianchi. Severa ne era certa. Non li aveva minimamente pensati esprimendo il suo pseudo desiderio. Non avevano mai fatto veramente i nonni. Arrivavano solo in queste occasioni. Si riempivano la bocca della loro vita patinata, portavano vini prestigiosi,o almeno così li definivano, facevano domande idiote e sparivano di nuovo. Non si ricordava un solo gioco fatto con loro. Una sola notte passata da loro.

Due estranei.

“Bella Genteee! Siamo venuti a festeggiare!”

E mo?

“Mamma” diceva Severa in un soffio di voce per non farsi sentire, stringendole la mano” smetti di piangere, tocca inventarsi qualcosa”

“Sono negra”

“Mamma, ti prego, è un termine razzista, smettila!”

“Cosa avrò fatto a Dio per meritare questo?”

“Secondo te essere di un altro colore è una punizione? Poi il tuo Dio che è adorabile farebbe di queste cose?

Driiin

“C’e’ nessunooo?” Dall’altro lato della porta i nonni mettevano alla prova le loro ugole.

Severa si era alzata ed aveva aperto, tenendo la porta in modo tale che solo lei fosse visibile.

“Mi scusi lei chi è? “ sua nonna, squadrandola dalla testa ai piedi.

“Ahhh aspetti aspetti , mia figlia diceva tempo fa che aveva bisogno di aiuto per i panni da stirare. Le avevo dato il numero di una filippina veramente a modo. Lei invece di dove è?”

“Sono italiana”

Suo nonno era scoppiato a ridere.

“Certo cara, ma da dove viene?”

“Sono nata qua. Mi chiamo Sibilla. Sono la ragazza di Lorenzo, piacere”

Le bottiglie erano finite a terra. Dovevano essere molto buone davvero, perché non si erano rotte.

C’era stata anche un’esclamazione di suo nonno. Molto poco patinata a dirla tutta.

“Ma entrate, vi presento la mia famiglia. Siamo qui per fare una sorpresa al festeggiato”

La signora Maria e il signor Giuseppe erano seduti sul divano, increduli.

Severa andava in scioltezza. Non recitava affatto. Anzi. Per la prima volta era se stessa.

“Mia madre Abena, mio padre Asante, siamo di origine ghanese”

Le sue amicizie multirazziali la soccorrevano nella credibilità. Non che i suoi nonni si fossero mai interessati di qualcosa di diverso dal loro mondo.

“Cara, come hai conosciuto Lorenzo?” sibilava la nonna con un sorriso mellifluo.

“In vacanza. Un anno fa, all’isola d’Elba. Lui era lì per un concerto, io lo stesso”

“Studi anche tu al Conservatorio? “

“No, io studio Sociologia”

Questo era un affondo. Il nonno, quando Severa l’aveva più volte proposta come scelta, rispondeva sempre, con ghigno maligno, che sociologia era una facoltà di zecche fancazziste.

Gli venne lo stesso ghigno.

Nel frattempo la signora Maria e il signor Giuseppe sembravano due statue di Madame Tussauds. Anche se la signora Maria era incantata a guardarsi le gambe. Così scure le piacevano parecchio.

A questo punto i nonni erano intenzionati a fare un’indagine approfondita sulle professioni di Abena e Asante. Scemi scemi, sapevano benissimo che il Ghana e’ un grande produttore di cacao. Che si imparentassero con ricchi magnati? In quel caso un nipotino caffellatte non gli sarebbe certo dispiaciuto.

Il guaio era che quelle due statue di cera dei suoi genitori non collaboravano. Severa, prontamente, si lanciava in professioni sociali, umanitarie, che aumentavano i sudori del nonno e tiravano pericolosamente il silicone delle labbra di nonna. Più che sorridente sembrava una maschera veneziana.

Eppure Severa non aveva mai parlato con tanta onesta’.

Driiin.

La signora Maria sobbalzo’ a tal punto da cadere dal divano.

“Vado io” disse Severa” la signora Maria mi ha chiesto di fare le sue veci in sua assenza”

Severa aveva aperto.

Lì davanti a lei un ragazzo alto. Magro. D’ebano come lei. Con i rasta. E se non fosse stato per la camicia celeste, i pantaloni beige e il libro di solfeggio Severa non avrebbe intuito certo che fosse Lorenzo.

Solo in un secondo momento aveva notato l’occhio pesto e il labbro spaccato.

“Scusate un attimo, devo scendere. Pare sia arrivato un pacco per il festeggiato”

Così aveva trascinato in cantina suo fratello.

“Ma cosa hai fatto?”

“Sei Severa?”

“Certo che si”

“Ah, quindi questa cosa non è successa solo a me…”

“È successa a tutta la famiglia, veramente”

“Caspita!”

“Ma perché sei tumefatto?”

“Quando è successo ero al bar con gli amici. In bagno. E sono diventato così. Ho avuto talmente tanta paura che sono salito ed ho visto Sara, la conosci,

al bancone. Le sono corso incontro per raccontarle. Lei si è spaventata. Non mi ascoltava. Si era convinta subito che io volessi provarci. Così il tizio del bar è uscito dal bancone e ha cominciato a spintonarmi. “Qua le donne non si trattano così. Tornatene al tuo paese” gridava. Io cercavo di spiegare ma, in tutta risposta, credendo che mi prendessi gioco di lui, mi ha sferrato un pugno. Minacciava di chiamare i suoi amici, urlava che bisogna colpirne uno per educarne cento, così sono corso via.

Lo conosco da sempre. È sempre stato cortese. Non mi sarei mai aspettato tutta quella violenza gratuita. Blaterava cose assurde. Sembrava accecato. Ho avuto paura davvero.”

Severa lo abbracciò d’istinto.

Suo fratello era umano.

Poi lo ragguaglio’ sulla sua trovata e spiegò come avrebbe potuto aiutarla. Così salirono.

“Che caos! Si erano sbagliati. Nessun pacco per Lorenzo. In compenso ho incontrato qui sotto mio fratello che ci stava raggiungendo. È stato aggredito.”

La signora Maria aveva capito al volo. Cosi’ si precipitò ad osservare l’occhio gonfio e il labbro leso.

“Chi ti ha picchiato? Perché?”

“Ipotizzo. Per razzismo.” aveva risposto lapidario Lorenzo, ribattezzato Alex.

“Occorre del ghiaccio, ti si gonfierà” e la signora Maria era corsa in cucina.

Il signor Giuseppe sembrava vedesse un film. Immobile. Gli mancavano solo i popcorn sulle ginocchia.

Il nonno: “Beh questi giovani d’oggi sono gradassi eh. Poi finiscono nei guai”

E Lorenzo: “Io non ho fatto nulla. Proprio nulla. Uno mi ha colpito dicendo di tornarmene al mio paese.”

Al che il signor Giuseppe,come risvegliatosi da un sonno centenario: “Ma era uno straniero?”

Silenzio.

Il classico silenzio prima della tempesta.

“Cioè volevo dire…”

“Straniero?” Ecco il nonno piombare su di lui come il falco che agguanta la lepre che lo fa penare da un po’.

“Straniero nel senso di italiano…”

Dalla padella alla brace.

“Guardi, mi perdoni, non può venire in Italia e poi chiamarci stranieri. Straniero sarà lei”. Il nonno sapeva essere ignorante.

“No… è che mi sono confuso…” il signor Giuseppe era come un elefante sulle punte di gesso.

“No, no lei non si è confuso. Lei ha detto una cosa grave. Ha detto una cosa razzista!”

E Lorenzo: “ Nonna, ti prego”

“Nonna? Ragazzo patti chiari e amicizia lunga: chi ti conosce?

“Mi scusi mi sono…”

“Confuso scommetto. No caro mio, venite qua e fate i padroni. Ecco quale è la vostra confusione. Come in questa casa. Quella apre prende il ghiaccio, quell’altra scende dal postino. Questo si fa menare e incolpa gli altri. Vergognoso!” Anche la nonna sapeva il fatto suo in ignoranza.

La situazione stava per esplodere.

Severa penso’ che fosse il momento di intervenire e rimettere ordine. Non era con la magia che avrebbe cambiato le cose.

“Mamma, papà, Alex è ora di togliere il disturbo. Non posso tollerare che la mia famiglia venga trattata in questo modo. Lorenzo mi aveva descritto persone amorevoli. Forse non conosce così bene chi lo circonda”

“Ah no signorina, non le consento di fare la vittima. È un modo che usate da secoli. Noi ce ne andremo. Accampatevi come più preferite. Ho sempre pensato che mia figlia fosse una cretina battipetto e mio genero un povero deficiente. Non potevano che tirare su due mentecatti. Quando avranno finito di salvare il mondo ditegli di farci uno squillo. Buona festa!”E così, come due teatranti consumati, avevano ripreso le bottiglie certo troppo prestigiose per quel melting pot e avevano sbattuto la porta.

Ora la famiglia era sola.

Riunita ed inebetita. Come un corpo che ha subito spasmi tanto forti da sentirsi indolenzito in ogni parte.

Erano le 15:15 del 10 agosto. Solo

le 15:15 ed erano stanchissimi. Ma soprattutto non sapevano più chi erano.

Severa allora espresse il desiderio che tutto tornasse come prima. Così accadde. Ma solo in parte, in realtà. Solo fuori. Gli animi di tutti erano in subbuglio. Senza dire nulla la signora Maria si era alzata ed era andata al telefono. Chiamava ogni invitato scusandosi. Causa suo malessere improvviso la festa era rimandata. Poi si era sdraiata sul divano. Gli occhi non facevano che cadergli sulla sua pelle. Da quanto tempo non si curava più…Il giudizio di suo padre poi. Era tramortita. Il signor Giuseppe, con il suo solito savoir faire, si era chiuso in bagno. La tensione estrema aveva trovato la sua via di fuga. “Tenersi tutto dentro ammazza” pensava con i sudori freddi. Lorenzo era tornato ad essere perfetto. Eppure sentiva ancora dolore nonostante le ferite fossero sparite.

Con quel pugno secco gli erano crollate diverse certezze.

Severa aveva bisogno di uscire. Si sentiva soffocare.

Eccola lì. Raggomitolata, sullo scoglio delle paturnie.

“Non esiste la sincerità” continuava a ripetersi. Aveva detto più cose sincere da Sibilla in quella manciata di ore di puro delirio che in diciannove anni.

“I demoni hanno fede, ma tremano.” Quelle parole davvero magiche di Dostoevskij le facevano capriole nella testa.

Lei si sentiva un demone.

Eppure non aveva fede. Ma tremava.

Su quella pietra che a poco a poco si tingeva di rosso, guardando il mare, tremava.

Il sole stava tramontando. Era ora di tornare a casa. Era ora di dire cosa era accaduto, chi era e cosa voleva diventare.

Era ora di essere sinceri.

 

Anele Gnommero 

 

 

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