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Il giardino di Maria – Racconto di Maria Pellegrini

La cura delle numerose e rigogliose piante che ornavano i tre grandi terrazzi della sua casa era stata la grande passione di Maria. Quei giardini pensili si erano arricchiti nel corso degli anni con esemplari di piante e arbusti che lei riportava da luoghi vicini o lontani, meta delle sue passeggiate o dei suoi viaggi. Dovunque andasse Maria ritornava con una piantina, sradicata dalla riva di un fiume, da un giardino pubblico, da un bosco, dalle fessure di antiche rovine. Tornata a casa, sistemava i suoi piccoli tesori in un vaso e poi curava le piantine per il piacere di vederle crescere rigogliose. Di ognuna di esse la donna ricordava la provenienza: il castello di Almeria, le rive del lago Balaton, la Senna, il battello sul Reno, il giardino dell’ospedale dove era morta sua madre, le dune di una spiaggia assolata o le cime di una montagna, i boschi alpini e altri infiniti angoli di città e paesi d’Italia e d’Europa. Erano piante comuni di cui spesso non sapeva neanche il nome, né la specie. Era una scoperta per lei vederle divenire arbusti o addirittura alberi, risplendere di strani fiorellini profumati, perdere le foglie e adornarsi di bacche colorate, o rimanere sempreverdi. Alcune erano piante da sottobosco, altre erbe odorose, come la lavanda di Provenza o la menta raccolta sul Gran Paradiso. Le sue amiche la prendevano in giro; loro, tornando dai viaggi, portavano oggetti di lusso, gioielli da Parigi, cristalli dalla Boemia, argenti antichi da Londra, porcellane dalla Bavaria, tappeti dalla Turchia. I souvenirs di Maria viaggiavano avvoltati in pezzi di giornale inumidito o sistemate con un po’ di terra in un vasetto di emergenza, costituito da un barattolo di vetro o una scatola di latta.
In quei terrazzi verdeggianti e odorosi c’era il ricordo e il profumo di pezzi di mondo. Maria ne era orgogliosa e tutti i giorni passava un’oretta prendendosi cura delle sue creature, a volte si sedeva perdendosi dietro laceranti malinconie. A primavera, accarezzando il vagare dei pensieri, seguiva il volo delle rondini che volteggiavano nel cielo, sfrecciavano alte verso il sole, mulinavano nel vento, disegnavano scomposte ragnatele, poi tornavano ad infilarsi rapide nei loro nidi costruiti sotto il tetto della casa. D’estate, delirante per il gran caldo della giornata, sedeva immobile con gli occhi persi verso l’orizzonte ritagliato tra i palazzi, accecata dal bagliore di una luce incandescente.
Quando aveva deciso di abbandonare la casa, il pensiero di non poter portare con sé quel piccolo orto botanico, l’aveva tormentata a lungo. Chi avrebbe messo al riparo dal gelo le piante più delicate, estirpato le erbacce, sorpreso il germogliare dei rami, concimato la terra, annusato il giallo dei primi gelsomini? Non si sarebbe più seduta sulla sdraia al pigro sole invernale in dolci momenti d’ozio, né respirato la fresca aria primaverile, né accarezzato con dita leggere il rosso vellutato delle rose, né si sarebbe inebriata dal fuoco di certi tramonti, o dal silenzio di fresche notti d’estate.
Maria aveva ancora la chiave della sua casa e per un periodo vi tornò ogni mattina, attratta da una forza alla quale non sapeva opporsi. Era la nostalgia della luce, degli odori, dei ricordi depositati in quegli spazi in tanti anni di vita. In quegli ambienti, prima affollati di emozioni e di pulsazioni vitali, ora dominava il silenzio e l’immobilità, ma distaccarsene era doloroso. Anche il verde, non più brillante, dei suoi aerei giardini sembrava risentire della sua assenza e alcune piante iniziarono un lento e progressivo deperimento. Tornare in quei luoghi era una sofferenza indicibile eppure Maria per un po’di tempo vi si sottopose come per punirsi di aver scelto la libertà, ma poi decise di voltare pagina e aprire un nuovo capitolo della sua vita.

 

Maria Pellegrini

 

 

 

 

 

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