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I luoghi dell’anima – di Dina Rea

“Siamo come cani attaccati alla stessa catena”, disse, mentre si avvicinava alla finestra da cui l’uomo, dandole le spalle, osservava il mare e il suo riverbero, attratto da uno scenario emotivo che solo certe notti d’estate sanno donare ai sensi.
Lui era triste, perso. Lei lo voleva nudo, spoglio di ogni armatura, esoscheletro, o comunque l’avessero chiamato quello spazio immateriale, continuamente manipolato, che egli poneva fra se e gli altri.

Era l’unica strada che potesse condurla a far vibrare quell’anima tanto provata e mai troppo amata dal mondo, cui il tempo aveva dato la consistenza di un diamante luminosissimo, ma impenetrabile. Avrebbe puntato il suo dito indice allo sterno di lui, così immaginava, e spingendo con la forza che solo un amore assoluto può dare, avrebbe infranto quella pietra di luce.

Allora, volle raccontargli delle sue notti insonni e tormentate, delle lacrime copiose, dei suoi silenzi, della sua assenza e dei sorrisi solo nei pensieri. Anche lui volle guardarla. E la vide come era realmente: una rosa candida la cui purezza troppe volte era stata offesa e che ora, invece di appassire, levava i suoi petali ad accogliere gocce di rugiada che le ridavano un profumo che nemmeno i miracoli osano immaginare.

Quel profumo gli era penetrato nelle viscere più di quanto fosse disposto ad ammettere, ma non bastava a distoglierlo da una consuetudine quotidiana di falsi miti, vacue mete, illusioni d’amore e certezze agognate incessantemente a placare la sua ansia di perfezione.
Egli era tormentato da tempo da un gioco perverso di fata turchina che ora luce, ora tenebre, lo teneva prigioniero lasciandolo privo di forza vitale ,ogni volta, e cieco verso ogni altro sussulto di vita.

Pur tuttavia, in quella stanza immateriale, aleggiava, pervadendoli, un’essenza pura chiamata, talvolta, destino.
Qualcosa di non definibile, è vero, sembrava avesse ricondotto le loro esistenze nei luoghi dai quali trae origine ogni verità: i luoghi dell’anima.
Proprio lì aveva visto per la prima volta quel volto di uomo desiderato oltre il desiderabile, diventare tenero e indifeso, spaurito come quello di un bambino che ha perso la strada. Ed era stata lei a perdersi, per sempre.

Si fece coraggio, gli si avvicinò, ma osò solo sfiorare le mani meravigliose di lui, timorosa di ricevere un doloroso rifiuto. Non era riuscita a dire più nulla.
Guardò ancora una volta il mare bianco di schiuma e nero di notte senza stelle e pensò che era come lei desiderava, senza inutili sfumature. Simile al suo istinto incorrotto che la portava sempre a scegliere la via netta e pura, senza mezze misure, senza transazioni, e senza paura per il buio che l’avrebbe accolta.

Pensò che amava tanto quel mare, ma non lo poteva possedere.
Si piegò su se stessa, sconfitta, ma non fece in tempo a morire.
Lui, adesso, aveva il volto di bambino e la stringeva a sé per non perderla.
Non sono i corpi, non sono le menti, non sono le emozioni a decidere , ma i luoghi dell’anima.

 

Dina Rea

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